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Questo articolo è tratto dal capitolo “Trasformazione digitale” dell’Annual Report 2024 di FPA (la pubblicazione è disponibile online gratuitamente, previa registrazione)


13 luglio 2021, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) dell’Italia è definitivamente approvato. Il Dipartimento per la trasformazione digitale si troverà di lì a poco a gestire 6,7 miliardi (oltre 13, considerando il capitolo reti ultraveloci) per la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione (PA). Come già osservato, la più grande operazione di digitalizzazione della PA mai vista che, con altissime probabilità, non si rivedrà per lungo tempo. La missione è la “numero 1”, seconda per stanziamenti solo alla “rivoluzione verde”. Difficile pensare che il posizionamento sia casuale e non risponda invece a una reale e fondamentale necessità – numero uno, appunto – di ammodernare la PA italiana per far ripartire l’economia del Paese. Difficile non essere scaramantici, in quella fase, e non pensare nemmeno per un secondo, al rischio della mission più nota, quella impossible.

Troppo spesso – nel dibattito relativo al PNRR – ci si dimentica delle sue origini, che sono da ricercare nella pandemia, un momento in cui la vita dei cittadini del mondo veniva sovvertita, dove le nazioni europee sperimentavano diverse forme di chiusura per tentare di fermare il Covid19. La DAD, celeberrima “didattica a distanza (DAD)”, la spesa online (qualcosa di sconosciuto per la gran parte dei cittadini italiani sino a quel momento), le piattaforme per trasformare riunioni in call. E poi, infine, i servizi digitali. Chiusi in casa, gli italiani, che avevano mediamente più di un cellulare e mezzo a testa e che compravano con fiducia attrezzi da giardino ma anche telefoni e giocattoli sulle piattaforme di e-commerce ma le cui competenze digitali venivano posizionate tra le peggiori in Europa, si scoprivano bisognosi di accedere ai servizi digitali di Comuni, scuole, ospedali. In primis, a quelli legati proprio al momento pandemico: la già citata DAD per i più piccoli, ma anche i buoni spesa, i ristori per i lavoratori in difficoltà, il Fascicolo sanitario elettronico – fondamentale per verificare l’esito di un tampone (il nuovo sgradito compagno di vita di quei mesi) -, insieme ai servizi necessari per mantenere un minimo di “normalità”: i certificati dello stato civile, i servizi per gli studenti universitari, i tributi e tanto altro.

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Se molto è stato detto dell’esito dell’esperienza pandemica a partire dal tema dell’abitare, centrale nel raffrontare l’esperienza di chi aveva sperimentato la quarantena in spazi ampi, magari con il terrazzo o il giardino, rispetto a chi si è trovato in case piccole in cui l’esperienza è stata più simile a quella di “cattività”, meno si è trattato del tema dell’accesso ai servizi, della radicale differenza di esperienza – e della conseguente qualità di vita – che hanno avuto i cittadini che hanno avuto a disposizione servizi digitali adeguati e funzionanti (oltre a una buona connettività, elemento fondamentale) rispetto a chi non ha avuto la possibilità di accedervi. Poco si è parlato di chi di fatto si è trovato isolato, “scollegato”. È però su queste basi che si sono costruiti i pilastri delle misure per la PA digitale che si sarebbe voluta per gli anni (decenni) a venire.

In primis (1.1 e 1.2) la messa in sicurezza dei dati e degli applicativi di comuni, scuole, ministeri, enti centrali sul cloud, per rendere dati e servizi sempre disponibili ai lavoratori in Smart Working, in epoca pandemica e molto oltre, ma soprattutto garantire la sicurezza di applicativi resilienti e scalabili, evitando il pericolo di compromissioni e perdite di dati conservati per gran parte fino a quel momento su server fisici, non adeguati alla complessità dei servizi digitali e di nuove minacce cyber. Poi, (1.3.1) la necessità di realizzare una reale interoperabilità dei sistemi informativi e delle basi di dati delle Pubbliche Amministrazioni e dei gestori di servizi pubblici e l’avvento di una piattaforma (la PDND) volta ad abilitare lo scambio di informazioni e di servizi tra enti per realizzare in modo più efficiente e veloce procedimenti complessi, migliorando costi e tempi di gestione e riducendo i margini di errore e la necessità di siti web semplici, standard, di facile utilizzo per tutti (1.4.1) Se nel 2020 l’Italia aveva appena iniziato a familiarizzare con pagoPA e app IO, sistemi unici di pagamento verso i servizi della PA e per accedere a tutti i servizi digitali disponibili a livello nazionale, regionale, provinciale e comunale grazie al proprio cellulare, questi servizi andavano rafforzati e ampliati e resi disponibili a tutti i cittadini (1.4.3). Ma nessun servizio è davvero utile e funzionante senza accesso unico e sicuro grazie all’identità digitale (1.4.4) che proprio nei mesi di pandemia aveva visto una potentissima accelerazione. Se durante la quarantena i servizi postali hanno continuato a essere attivi, la necessità di non doversi recare fisicamente in un ufficio per ritirare un atto (molto spesso, per altro, tedioso come una multa o un tributo arretrato da saldare) è diventata quanto mai necessaria. Da lì la progettazione della misura 1.4.5 per digitalizzare il sistema di notifica degli atti della PA e l’avvio di SEND. Non solo “avvisi”, le grandi Città e le Regioni hanno potuto presentare progetti innovativi per sperimentare una nuova idea di mobilità, una Mobility As A Service (1.4.6). Infine, ma non per importanza, le competenze digitali, l’avvio di un vero e proprio Servizio Digitale per i giovani, nativi digitali in veste di formatori, e dei punti di facilitazione digitale (3.000 su tutto il territorio) per aiutare cittadini di tutte le età a formarsi sui servizi utili a una vera cittadinanza digitale (1.7.2).

A che punto siamo, tre anni dopo la progettazione di queste misure? La piattaforma PA Digitale 2026, pensata come unico punto di riferimento per l’adesione end to end alle opportunità di finanziamento introdotte, è oggi un database contenente oltre 19.000 enti registrati, da Comuni a scuole, Regioni, ASL, ministeri ed enti centrali, Province e università, AFAM e così via, con preziose informazioni su come questi enti stanno attuando la trasformazione digitale grazie ai finanziamenti PNRR. Tra questi il 99% dei Comuni e l’88% delle scuole, da Nord a Sud in egual misura, altro dato senza precedenti, hanno almeno una candidatura attiva (mediamente di più) per un totale di 64.000 progetti complessivi. Numeri che non sarebbero mai stati nemmeno immaginabili se non fossero state introdotte le misure a lump sum, o a importi forfettari, (focalizzare il raggiungimento del risultato per ottenere i fondi anziché l’iter della spesa, una vera e propria rivoluzione copernicana resa possibile dalle regole di Next Generation EU). Oltre 31.000 le asseverazioni positive già certificate (e dunque, progetti completati con successo) di cui 21.000 già liquidati per un importo di 405 milioni di euro. Siamo quindi in una fase molto avanzata di realizzazione: quasi una metà dei progetti sono nella direzione del completamento delle attività.

Grazie a una fase di studio e di co-progettazione con il Ministero dell’Istruzione e del Merito e a un confronto costante con il mondo della fornitura dell’ICT delle scuole per verificare che le misure fossero adeguate al contesto degli istituti italiani, gli istituti scolastici, enti piccoli e spesso sprovvisti delle competenze digitali necessarie, sono, nonostante questo, particolarmente avanti: il 56% ha già completato le attività. Non solo digitalizzazione della PA: un impegno sempre più deciso è stato volto a supportare i piani previsti dalla M1C2, i 5 piani per favorire la diffusione della banda ultra-larga e il 5G: Italia 1 Giga, Scuole Connesse, Sanità Connessa, 5G, Isole Minori. Rispetto al PNRR nel suo complesso. Tutte e 34 le milestone e i target previsti dal PNRR entro settembre 2024 nell’ambito digitalizzazione della PA sono stati raggiunti ponendoci così aldilà della prima metà del Piano che prevede 67 obiettivi.

E domani? What’s next (generation EU)?

Ogni anno, sul finire dell’anno, numerosi report tratteggiano gli sviluppi che potremo aspettarci negli anni a venire: da viaggi spaziali a nuove invenzioni hi-tech e consegne via drone. Ma la realtà, lo sviluppo rapidissimo dell’IA generativa ha ancora una volta sparigliato le carte e ci ha mostrato come il futuro fosse ancora più imprevedibile, persino dei report più visionari. Gli investimenti PNRR per il digitale avranno aiutato l’economia italiana? Avranno portato i cittadini a maturare le competenze necessarie per utilizzare i servizi digitali o per ottenere un servizio basterà dialogare con una IA? Riusciremo a smettere di portare faldoni di analisi ai medici che potranno consultare ogni esame e tutta la nostra storia medica dal nostro fascicolo sanitario, ovunque ci troviamo? La rotta della digitalizzazione è tracciata, le sfide del futuro si giocheranno però sulla sostenibilità degli interventi realizzati, e sulla qualità dei processi attuati. Nell’epoca dell’IA molto si giocherà sulla qualità del pensiero umano che ha progettato la trasformazione digitale di ciascun ente. Una trasformazione che mette al centro le persone, dai cittadini al personale delle PA che gestisce i servizi, e che punta a semplificare e diminuire le operazioni necessarie per erogare un servizio, è una trasformazione destinata ad avere successo, operazioni realizzate senza la dovuta attenzione per questi aspetti andranno sicuramente riviste e migliorate nel futuro. Per comprendere gli impatti del PNRR e orientare le iniziative future, il Dipartimento ha attivato insieme ad ANCI la Mappa dei Comuni digitali, un’indagine, unica a livello nazionale per portata e caratteristiche, sullo stato di digitalizzazione del territorio italiano, prevista anche dal Piano Triennale per l’Informatica nella PA 2024-2026. L’attività si inquadra nell’ambito dell’Osservatorio sulla trasformazione digitale nel territorio italiano, strumento nato per accompagnare le scelte di policy con un’attività di monitoraggio e misurazione degli impatti, fornendo elementi oggettivi di valutazione delle politiche pubbliche e di pianificazione di nuovi interventi. Un ruolo dirimente per la sostenibilità delle trasformazioni attuate sarà inoltre giocato dalle competenze digitali di chi gestirà i servizi digitali negli enti, e in particolare nei Comuni. Anche qui, attraverso l’accordo con ANCI il Dipartimento ha avviato l’Accademia dei Comuni digitali, un percorso volto ad arricchire le competenze del personale degli enti locali che vedrà sempre più coinvolte le istituzioni e le realtà rilevanti sui temi della trasformazione digitale.

Non solo trasformazione digitale, in questa avventura come Dipartimento abbiamo imparato preziose lezioni su come è possibile accompagnare una policy con successo, scongiurando gli esiti modesti che il nostro Paese ha sempre dimostrato nei fondi strutturali europei. Alcuni ingredienti centrali, oltre alla piattaforma PA Digitale 2026 e dai lump sum, sono stati anche un sistema di relazioni istituzionali in grado di dialogare con tutti gli stakeholder coinvolti e a una rete territoriale capillare e presente, capace di stabilire relazioni e di affiancare ogni ente nel percorso di trasformazione. Oltre alle sfide dell’intelligenza artificiale, la capacità – tutta umana – di non disperdere questi asset e queste importanti lezioni imparate sarà un buon banco di prova per capire quanto riusciremo a essere protagonisti delle trasformazioni che verranno.



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