“Ero pieno di frenesia da grilletto. Credevo che meno lupi significasse più cervi: il paradiso dei cacciatori”. Poi Aldo Leopold ha iniziato a “pensare come una montagna”

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Cessione crediti fiscali

procedure celeri

 


Aldo Leopold è stato uno scrittore americano, filosofo, naturalista, ecologo e ambientalista del secolo scorso. Fu uno dei padri dell’etica ambientalista e ispiratore della moderna biologia della conservazione. Leopold era anche un cacciatore. Gli venne affidato il compito di cacciare e uccidere i predatori delle montagne del New Mexico, che causavano perdite importanti negli allevamenti. Un giorno, dopo aver sparato ad una vecchia lupa, Leopold raggiunse l’animale morente giusto in tempo per vedere nei suoi occhi una feroce fiamma verde. Di quell’episodio Leopold scrisse, nel suo libro “A Sand County Almanac” (Almanacco di un mondo semplice):

 

Realizzai allora, e l’ho saputo da quel momento, che c’era qualcosa di nuovo per me in quegli occhi, qualcosa che era noto solo a lei e alla montagna. Ero giovane allora, e pieno di frenesia da grilletto; pensavo che, poiché meno lupi significavano più cervi, nessun lupo avrebbe significato il paradiso dei cacciatori. Ma dopo aver visto morire quella fiamma verde, percepii che né il lupo né la montagna condividevano quella visione. Da allora ho vissuto vedendo Stato dopo Stato sterminare i suoi lupi. Ho osservato il volto di molte montagne appena private dei lupi, e visto le pendici rivolte a sud incresparsi con un labirinto di nuovi sentieri dei cervi. Ho visto ogni cespuglio e piantina commestibile mangiati, prima fino all’atrofia anemica, e poi fino alla morte. Ho visto ogni albero commestibile defogliato fino all’altezza di una sella […]. Alla fine, le ossa scheletriche della mandria di cervi, morta di troppa vita, si sbiancano accanto ai resti della salvia morta, o marciscono sotto i ginepri dai rami tesi. Ora sospetto che, proprio come una mandria di cervi viva nel timore mortale dei suoi lupi, così anche una montagna viva nel timore mortale dei suoi cervi. E forse con maggiore ragione, perché mentre un cervo abbattuto dai lupi può essere sostituito in due o tre anni, un pascolo abbattuto da troppi cervi potrebbe non riuscire a riprendersi in decenni. Così anche con le mucche. Il mandriano che estirpa i lupi dal suo pascolo non si rende conto che sta assumendo il ruolo del lupo nel regolare la mandria per adattarla al pascolo. Non ha imparato a pensare come una montagna. Ecco perché abbiamo terreni aridi, e fiumi che lavano il futuro nel mare”.

Mutuo 100% per acquisto in asta

assistenza e consulenza per acquisto immobili in asta

 

 

Pensare come una montagna è diventato il paradigma del pensiero ecologico moderno. Pensare come una montagna vuol dire comprendere appieno le interconnessioni degli elementi di un ecosistema; connessioni che non sono sciocchezze, perché se togliamo un qualsiasi elemento in queste reti complesse, si producono effetti a cascata che a volte neppure possiamo prevedere. Pensare come una montagna vuole anche dire, per l’essere umano, stare all’interno di un ecosistema in modo consapevole. Non al di sopra e neppure al centro. Semplicemente dentro, da qualche parte, insieme al resto.

 

Pensare come una montagna è qualcosa che avevamo in qualche modo fatto nostro, nel secolo scorso. A fatica e in modo del tutto imperfetto, ma questo paradigma aveva portato alla nascita dei grandi movimenti ecologisti e alle grandi battaglie anche per il benessere degli ecosistemi.

Oggi abbiamo la crisi climatica e, pur nella fatica di farsi strada tra negazionismi e nuovi dispotismi tutt’altro che illuminati, un dibattito esiste e solo pochi anni fa era pure riuscito a riaccendere le piazze. Ma abbiamo anche e soprattutto una crisi della biodiversità e non lo sappiamo, o facciamo finta di non saperlo. Ignoriamo, per mancanza di conoscenza o di volontà, che senza biodiversità ogni altra questione diventa effimera: l’esistenza, l’affermazione e il progresso della nostra specie non sarebbero possibili, senza la biodiversità. Checché ne dicano Musk e cyber oligarchi vari, non bastiamo a noi stessi. 

Per come sta evolvendo e viene trattato, il dibattito è bel lontano dall’avere la visione olistica suggerita dal paradigma di Leopold. Stiamo creando dei compartimenti stagni in cui clima, ecosistemi e biodiversità vengono considerati come questioni separate tra loro.

Scriveva Ferdinando Cotugno qualche mese fa: “Siamo invecchiati in una decisione presa 32 anni fa, Earth Summit di Rio: clima e natura sono problemi diversi, avranno istituzioni diverse (UNFCCC e CBD), COP diverse, rapporti scientifici diversi, linee di credito diverse, perfino tipi umani diversi. L’iperspecializzazione dei processi poteva sembrare ragionevole negli anni ’90, quando pareva una buona idea che il mondo funzionasse come un’azienda. È quando abbiamo deciso che ospedali e scuole dovevano essere aziende, lì abbiamo anche trasformato clima e natura in due multinazionali multilaterali in concorrenza.

 

Prestito personale

Delibera veloce

 

E così anche l’anno scorso abbiamo avuto la Cop16 di Calì sulla biodiversità, dal 21 ottobre al 1 novembre e la Cop29 di Baku sul clima, dall’11 al 22 novembre. Due Cop che si rincorrono nel tempo e che corrono nello spazio come due rette parallele destinate a non incontrarsi mai, quando invece dovrebbero essere un’unica linea che ci guida verso un futuro diverso dal presente. E se la Cop29 sul clima ha avuto una qualche eco, la Cop16 è passata pressoché inosservata, nonostante la crisi della biodiversità sia per molti versi ancor più grave e preoccupante di quella del clima. Una Cop16 così invisibile che la prossima settimana ospiteremo a Roma una Cop16.2 e quasi nessuno lo sa.

La Cop16 di Calì, nonostante alcuni risultati positivi, era stata sospesa in sede di plenaria finale a causa del mancato raggiungimento del quorum su una decisione importante, rimandata quindi alla sessione che si terrà a Roma dal 25 al 27 febbraio: l’istituzione di una strategia di mobilitazione delle risorse che garantisca, entro il 2030, 200 miliardi di dollari all’anno che le parti dovranno destinare a favore della conservazione della biodiversità e del ripristino degli ecosistemi e la riduzione di almeno 500 miliardi di dollari l’anno, entro il 2030, degli incentivi dannosi per la biodiversità, come quelli indirizzati all’uso di pesticidi e fertilizzanti o le pratiche agricole eccessivamente idrovore.

 

Questioni certamente fondamentali, come lo sono quelle discusse nelle Cop sul clima, ma che non possono e non potranno mai essere affrontate in maniera davvero efficace finché manteniamo la dicotomia tra due crisi intimamente connesse tra loro. Gli stessi movimenti ambientalisti, come ci ricorda Emanuele Bompan in questa riflessione, sembrano aver perso un po’ per strada l’importanza della biodiversità e del considerarla come parte fondamentale anche del dibattito climatico.

Nel mondo dell’attivismo italiano c’è per fortuna qualcuno che questa cosa ce l’ha bene a mente e che prova a pensare come una montagna. Gli Stati Generali dell’azione per il Clima hanno recentemente pubblicato il Libro Bianco, un documento che raccoglie 33 proposte suddivise in sei sezioni principali, tra cui le risorse naturali e il territorio. Questa macro area contiene 6 proposte, in cui la biodiversità riveste esattamente il ruolo che le spetta, ovvero quello di protagonista, senza cui nessun’altra crisi può essere affrontata: dal consumo di suolo alla gestione delle risorse idriche, passando per la gestione forestale fino ad una proposta ad hoc proprio per favorire gli investimenti necessari a creare reti ecologiche, promuovere il ripristino degli ecosistemi e integrare la conservazione della biodiversità nelle politiche locali e nazionali. La biodiversità viene inoltre considerata, all’interno del Libro Bianco, nelle sezioni relative all’educazione e alla formazione, ai sistemi agroalimentari, ai modelli economici e di giustizia sociale e perfino nel capitolo relativo ai sistemi energetici. Gli Stati Generali stanno insomma provando a mettere insieme i pezzi, a costruire una visione del problema e un’idea di futuro il più complete possibile.

Chissà se un giorno riusciremo ad avere anche un’unica, grande Cop e se riusciremo a crederci davvero.

 

Carta di credito con fido

Procedura celere

 

Henry David Thoreau affermava: “Nella selvatichezza è la salvezza del mondo”. Ecco, torniamo ad essere un po’ più selvatici e impariamo a pensare come pensano le montagne.





Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link