Landini: “Ora rinnovare i contratti contro il carovita. Basta usare le pensioni come un bancomat”

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ROMA. «L’inflazione riparte? Questo rende ancora più urgente rinnovare i contratti, sia nei settori privati che in quelli pubblici e che il governo la smetta di usare le pensioni come un bancomat» sostiene il segretario della Cgil Maurizio Landini che, in particolare, torna a rinfacciare al governo il tentativo di «imporre degli aumenti del 6% di fronte a una inflazione del 17 in un momento in cui i prezzi anziché diminuire continuano ad aumentare».

Voi per questo avete fermato il contratto della sanità ed ora il governo vi accusa di compiere “scelte politiche”.

«Qui c’è un merito, concreto. Lo dice l’Istat: dal 2010 ad oggi i contratti pubblici hanno perso il 14% del loro potere di acquisto. Dal 2022 al 2024 c’è stata una inflazione del 17% e loro stanno proponendo un aumento del 6%. Accettarlo significa avallare una riduzione programmata del potere d’acquisto dei salari. Tra l’altro in settori come quelli della scuola, della sanità e degli enti locali, dove le persone se ne stanno andando favorendo così un processo di privatizzazione dei servizi pubblici. Visto che poi ogni anno abbiamo 100 mila giovani laureati e diplomati che lasciano il Paese, continuare con politiche di precarietà e salari bassi significa mettere a repentaglio non solo il futuro dei giovani ma anche la qualità della vita dell’Italia».

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I prezzi salgono anche perché ripartono i costi dell’energia, che tra l’altro sta mettendo in difficoltà tante imprese.

«Non solo le imprese sono in difficoltà, visto che il costo dell’energia è più alto del costo del lavoro, ma lo sono anche tante famiglie perché non si interviene sulle ragioni si fondo».

Cosa si dovrebbe fare?

«Noi lo stiamo chiedendo da tempo: occorre disaccoppiare il prezzo dell’energia elettrica da quello del gas, rivedere i meccanismi di formazione dei prezzi controllati da un sistema dominato dalla speculazione, tutelare le fasce più fragili, investire e non ritardare le fonti rinnovabili e tassare gli extraprofitti delle aziende energetiche, profitti che in Italia non solo vengono tassati ma non vengono nemmeno reinvestiti perché all’80% se li spartiscono gli azionisti».

Ma di questi temi con voi il governo parla?

«Ad oggi il confronto col governo non c’è. Si limitano a prendere decisioni e a comunicarcele e poi classificano i sindacati in “bravi” o “cattivi” a seconda se sono d’accordo o no con quello che stanno facendo. Ma così si mette solo in discussione il sistema democratico del Paese, perché se si vogliono affrontare i problemi occorre coinvolgere i soggetti sociali rappresentativi».

A proposito di democrazia: come sta andando la vostra campagna referendaria? Raggiungerete il quorum?

«Io sono ottimista: nel nostro paese i referendum sui diritti e la qualità della vita delle persone hanno sempre sorpreso in positivo. Ora stiamo lavorando per costituire comitati territoriali, comitati nei luoghi di lavoro, in ogni comune e territorio e stiamo registrando una partecipazione molto ampia di associazioni, di reti e di tante singole personalità».

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Come comitati dei referendum avete chiesto un incontro al governo: cosa chiedete?

«Visto che a primavera si terranno le elezioni amministrative, chiediamo che ci sia un election day per andare a votare nello stesso periodo e risparmiare sulle spese. Poi chiediamo che venga confermato un provvedimento che permetta non solo agli studenti ma anche ai lavoratori e alle lavoratrici che sono fuori sede di poter votare nel luogo dove si trovano. Ed infine occorre che anche gli italiani che vivono all’estero siano messi nelle condizioni di votare. Mentre alla Rai e alla Commissione di vigilanza chiediamo che i mezzi pubblici forniscano una adeguata informazione alle persone sui quattro referendum».

Sarà un bel test per la democrazia.

«Invito tutte le forze politiche che sono in Parlamento a stimolare le persone ad andare a votare, perché troverei davvero un attacco alla democrazia se passasse invece l’idea di incentivare l’astensionismo o chiedere alle persone di non andare a votare. I partiti possono dare le indicazioni di voto che ritengono più opportune, ma credo che in un Paese dove c’è una crisi democratica, visto che alle ultime europee ha votato meno del 50%, sia compito di tutti i soggetti favorire la partecipazione democratica».

Il ministro del Lavoro Calderone sostiene che il quesito sul Jobs Act sia “sorpassato dai tempi”.

«Noi chiediamo che tutti quelli che sono stati assunti dopo il 2015 e tutti quelli che saranno assunti in futuro abbiano lo stesso diritto rispetto ad un licenziamento ingiusto che hanno quelli che sono stati assunti prima del 2015, che anche loro possano avere il reintegro nel loro posto di lavoro. Questo è un diritto di civiltà, non è superato nel tempo. E banalmente se il referendum raggiunge il quorum, 4 milioni di persone acquisiranno questi nuovi diritti».

E gli altri quesiti a cosa puntano?

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«Vogliamo assicurare più diritti contro i licenziamenti anche a quei 4 milioni che lavorano in imprese sotto i 15 dipendenti, mentre nel campo della sicurezza sul lavoro attraverso il referendum vogliamo che la responsabilità rimanga in capo all’azienda che ha deciso di appaltare il lavoro. In un paese dove muoiono tre persone al giorno e dove ci sono 500.000 infortuni all’anno questo è un altro tema fondamentale. Sulla cittadinanza il referendum assicurerebbe il diritto di cittadinanza a due milioni e mezzo di persone che risiedono e lavorano da anni in Italia».

Il quadro internazionale resta sempre molto complicato. Ma che ne pensa della decisione dell’Europa di aumentare le spese militari?

«Che è una cosa sbagliata. Perché mentre penso che sia giusto andare verso un’Europa che abbia una politica fiscale e sociale comune, che possa anche avere un sistema di difesa comune, trovo pericolosa questa logica di aumentare le spese militari. Noi oggi abbiamo bisogno di rilanciare il ruolo della diplomazia, di costruire la pace non di armare di più gli Stati. E allo stesso tempo abbiamo bisogno di investire sulla sanità pubblica, sul lavoro, per favorire un nuovo modello di sviluppo. Se l’Europa deve recuperare un ritardo, è sul terreno dell’innovazione e della ricerca, e più che sulle armi abbiamo bisogno di investimenti sulle politiche industriali e sull’intelligenza artificiale».

E di Trump che ne pensa?

«Che sta facendo politiche pericolosissime, perché in realtà non c’è un interesse a ricostruire una vera pace nel rapporto tra gli stati e le nazioni, ma semplicemente punta a realizzare il controllo diretto sulle materie prime che oggi sono necessarie nella ridefinizione geopolitica del mondo e nello scontro aperto con la Cina. Quando parla di Ucraina, Trump parla di avere le terre rare, quando dice che vuole comprare la Groenlandia lo fa per lo stesso motivo, quando propone di fare un resort a Gaza spostando tutti i palestinesi lo sta facendo non per ricostruire la pace nel mondo ma secondo una logica in cui profitto e mercato si stanno facendo Stato sostituendosi agli interessi generali delle nazioni e dei popoli. E in questo senso l’Europa deve recuperare quel ruolo di costruttore di pace che non ha avuto negli ultimi anni».

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