Sette attentati gravi, con diciassette morti e parecchie decine di feriti, nel giro di soli otto mesi, tra il 31 maggio del 2024 e il 13 febbraio scorso. Tutti in Germania – a Mannheim, Francoforte sul Meno, Stoccarda, Solingen, Aschaffenburg, Magdeburgo, Monaco – più uno a Villach, nella vicina Austria. Tutti, eccetto uno (ma è da vedere se si tratta proprio di un’eccezione), attribuiti al terrorismo di matrice islamista. Tutti seguiti immediatamente da manifestazioni dell’estrema destra chiamate a raccogliere la paura e la rabbia dei cittadini “normali”. Anche chi, per carattere e cultura politica, è lontano da ogni propensione al complottismo non può evitare di farsi qualche domanda. Perché una sequela così grave di violenze da parte di “lupi solitari” presunti affiliati alla jihad proprio (e solo) nel paese in cui la presenza di immigrati e richiedenti asilo è al centro di pesantissime campagne di odio destinate, secondo il parere di tutti, a condizionare il voto delle elezioni di domenica prossima?
Sarebbe da ingenui ritenere che quel perché trovi qualche risposta ed è anche vero che nel mondo come in politica esistono pure le coincidenze. E però è un fatto indubitabile che c’è chi si è affidato a sostanziosi calcoli politici sulla certezza che una parte notevolissima dei pensieri e delle emozioni con cui i cittadini delle Repubblica federale tra pochi giorni andranno alle urne sarà condizionato dalla questione dell’immigrazione. O, a metterla in negativo, della Remigration come, con un neologismo geniale e perfido, i capi di Alternative für Deutschland indicano il progetto di rispedire a casa loro tutti gli stranieri che si trovano in Germania. Tutti, legali, illegali, legalizzati, occupati, disoccupati, familiari e cani sciolti, a cominciare ovviamente da quelli che pregano Allah. Secondo un modello ideale che richiama più le file dei poveracci incatenati che piacciono alla Casa Bianca che gli strapaesani föra da i ball alla Umberto Bossi: anche la crudeltà, col tempo, si raffina.
Eh sì. Purtroppo, alla vigilia di elezioni tedesche inevitabilmente destinate ad avere un grande peso politico in tutta questa Europa sconquassata dal neoimperialismo di Trump, il tecnofascimo di Musk e dalla propria inveterata incapacità di darsi una politica, le cose stanno così. L’estrema destra è riuscita ad ottenere che al centro delle scelte politiche di molti milioni di tedeschi si sia piazzato un fantasma che fa tanta paura quanto poca è la sua reale consistenza. Gli immigrati in Germania sono molti, ma non sono affatto un problema ingestibile, né per il loro arrivo né per la loro integrazione. Come non lo sono in Italia e in nessun altro paese del sazio e civile (?) occidente. In fondo non sono passati neppure nove anni da quando, aprendo le frontiere a un milione di profughi siriani, Angela Merkel si conquistò consenso e simpatie dicendo “wir schaffen’s”: ce la facciamo a prenderli tutti e saranno per noi una ricchezza.
Che cosa è cambiato da quell’agosto del 2016? C’è stata una guerra, lo spappolamento di un concetto di sicurezza europea di cui la Germania si sentiva al centro, non solo dal punto di vista geografico. C’è stata una crisi economica che era cominciata, senza che molti se ne accorgessero, già prima delle disastrose difficoltà della Volkswagen del crollo della produzione industriale e dell’astronomica ascesa del prezzo dell’energia. Un modello di sviluppo fondato troppo sulle esportazioni, estraneo a ogni considerazione sulla necessità che lo sviluppo sia in equilibrio con la natura e ossessionato dal moloch della disciplina di bilancio.
Anche in Germania, come negli altri paesi, la destra ha saputo cavalcare la tigre delle contraddizioni del capitalismo maturo. Ma non saremmo, oggi, a chiederci se Alternative für Deutschland supererà la soglia del 20% se non fosse riuscita anche in Germania l’operazione di montare una campagna mondiale che indica negli “altri” che vengono a toglierci quello che è “nostro” il nemico assoluto, la fonte primaria di tutti i problemi.
Si tratta di una distorsione del pensiero politico della quale non siamo in grado, per ora, di misurare tutti gli effetti in Europa. Da quel che si capisce, in Germania Friedrich Merz, il candidato cristiano-democratico alla cancelleria, parrebbe intenzionato a non portare fino in fondo la sua propensione ad adeguarsi al nuovo Zeitgeist che la destra estrema fa soffiare dall’America. Ha anche opposto educate e ragionevoli proteste agli insopportabili endorsement di Musk e di Vance per Alternative für Deutschland, forse per far dimenticare che lui stesso aveva cercato i voti di Alice Weidel e camerati per far passare una legge vergognosa contro il diritto di asilo. È probabile, anche se per niente certo, che il matrimonio tra i moderati (a parole) e gli ultrà come quello che si è cercato, per ora invano, di celebrare in Austria, a Berlino non sarà neppure tentato e che ci si avvii a faticosissime trattative per un governo fondato su una große Koalition con i socialdemocratici e magari i Verdi.
Lo vedremo da domenica sera in poi. Per ora restano i dubbi sulla straordinaria “attenzione” che il terrorismo islamico avrebbe mostrato nei confronti della Germania e gli effetti emotivi che ha introdotto in una campagna elettorale già molto tesa. È stato proprio dopo l’attentato più odioso, quello che ad Aschaffenburg è costato la vita oltre che a un quarantenne anche a un povero bambino di soli due anni che Merz, sull’onda della rabbia popolare, è arrivato a cercare l’accordo parlamentare con i deputati di AfD. E molti interrogativi si pongono sulla strage di Magdeburgo – sei morti tra cui un bambino di sei anni – sul cui autore sono emersi molti particolari inquietanti, come una presunta radicalizzazione anti-islamica e una passata, e non chiarita, militanza nella stessa AfD. Senza gridare al complotto, ci sono molte cose che dovrebbero essere chiarite.
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