Negli ultimi anni molti governi hanno tagliato la rivalutazione delle pensioni, cosa che di fatto ha portato a una perdita d’acquisto per gli assegni medio-alti. Un calcolo della Uil ha stimato che una pensione da 3.500 euro al mese, negli ultimi dieci anni, abbia perso quasi 10mila euro di potere d’acquisto.
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Il taglio della rivalutazione delle pensioni non è una novità introdotta dal governo Meloni: anche se l’esecutivo di destra ne ha fatto un ampio uso negli ultimi anni, già nel periodo precedente più di un governo aveva deciso di limitare l’adeguamento degli assegni al costo della vita. Una misura che ha riguardato solo gli assegno medio-alti, e che ha comportato un’importante perdita del potere d’acquisto. Soprattutto quando, negli ultimi due anni, l’inflazione è schizzata verso l’alto e i tagli sono diventati molto più ‘pesanti’. La Uil ha calcolato che, per un assegno da 3.500 euro, negli ultimi dieci anni si sono persi circa 10mila euro di potere d’acquisto.
Poche settimane fa, la Corte costituzionale ha stabilito con una sentenza che ridurre l’adeguamento delle pensioni, per gli assegni che superano di quattro volte il trattamento minimo, non va contro la Costituzione. I giudici hanno ritenuto, infatti, che sia “ragionevole” alzare di meno gli assegni più ricchi e tutelare quelli più bassi, anche a costo di causare una perdita di potere d’acquisto per i primi. Una sentenza che ha evitato più di un grattacapo al governo: se la Corte avesse stabilito che i tagli erano incostituzionali, si sarebbero aperte le porte a centinaia di migliaia di ricorsi, e probabilmente a ingenti rimborsi da parte dello Stato.
Fatto sta che, anche se si tratta di una misura legittima, i tagli alla rivalutazione sono ‘costati’ parecchio ai pensionati. A fare i conti per chiarire quale sia stato l’effetto delle varie riduzioni è stata la Uil.
Quanto sono costati i tagli alle pensioni
Nel 2014, il primo anno preso in considerazione, le pensioni esposte ai tagli erano tutte quelle superiori a circa 2.256 euro al mese, cioè quattro volte l’assegno minimo Inps. Per chi all’epoca riceveva questa somma, negli ultimi dieci anni la perdita di potere d’acquisto è stata di oltre 2mila euro.
Infatti, se questo assegno avesse sempre ricevuto una rivalutazione pari al 100% dell’inflazione, oggi dovrebbe valere circa 2.684 euro. Invece, i tagli hanno fatto sì che oggi quella pensione arrivi a circa 2.615 euro. Può sembrare una differenza contenuta, ma si parla di quasi 890 euro all’anno. Dal 2014 al 2024, poi, la perdita complessiva è stata di circa 2.067 euro.
L’impatto è ancora più visibile su un assegno più alto. Una pensione che nel 2014 valeva 3.500 euro, se fosse stata sempre rivalutata per il 100% dell’inflazione, oggi dovrebbe essere di 4.136 euro circa. Invece, lo stesso assegno oggi è di 3.825 euro all’anno. Una differenza da 318 euro al mese, ovvero circa 4.134 euro solamente nel 2024. Guardando a tutti gli anni precedenti, si arriva a 9.619 euro persi.
Perché durante il governo Meloni i tagli sono stati più pesanti
È vero che il governo Meloni non è stato l’unico esecutivo ad applicare un taglio delle rivalutazioni. Ma, essendosi trovato a governare proprio nel periodo in cui l’inflazione ha toccato i picchi più alti degli ultimi decenni, i suoi tagli sono quelli che si sono fatti più sentire. Con le leggi di bilancio varate a fine 2022 (quando era in carica da pochi mesi) e a fine 2023, infatti, la riduzione degli assegni è stata particolarmente significativa sia in termini percentuali, sia in numeri assoluti.
Basta pensare al già citato assegno da 3.500 euro nel 2014. Fino al 2022, la sua perdita di potere d’acquisto complessiva era di poco meno di 57 euro al mese. L’anno dopo, con il primo taglio del governo Meloni, si è trovato con circa 200 euro al mese in meno. Nel 2024, poi, la differenza è arriva a circa 318 euro al mese. In un periodo in cui l’aumento dell’inflazione già contribuiva alla perdita del potere d’acquisto per tutti, anche per chi prendeva una pensione più bassa.
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