Tulkarem, i D9 spaccano in quattro il campo profughi

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«Stiamo entrando nelle roccaforti del terrorismo, abbattendo interi quartieri che sono utilizzati dai terroristi, distruggendo le loro case. Stiamo eliminando i terroristi e i loro comandanti». Per il premier israeliano Netanyahu gli abitanti del campo profughi di Tulkarem e del vicino campo di Nur Shams, uomini, donne e bambini, non sono altro che «terroristi» o «fiancheggiatori del terrorismo» che metterebbero le loro case e le loro strade a disposizione dei combattenti palestinesi all’unico scopo di colpire Israele. Per questo motivo ieri, visitando le truppe israeliane che da quasi un mese occupano ampie porzioni della città di Tulkarem e dei suoi campi profughi – lo stesso ha fatto il ministro della Difesa Katz -, Netanyahu ha ordinato di intensificare le operazioni militari nella città come nel resto della Cisgiordania.

Cosa Netanyahu intenda quando parla di una ulteriore «intensificazione delle operazioni militari a Tulkarem», oltre a quanto ha già fatto l’offensiva «Muro di Ferro», è difficile da immaginare. Perché l’esercito israeliano, con i suoi mezzi pesanti, i suoi blindati e le truppe da combattimento, ha già devastato e trasformato in un paesaggio lunare intere parti dei due campi profughi della città. Un attacco accompagnato da avvertimenti minacciosi continui agli abitanti che sono fuggiti in massa dalle loro case. È avvenuto lo stesso nel campo profughi di Jenin e in quello di Faraa (Nablus). In un mese oltre 30mila civili palestinesi si sono ritrovati senza l’abitazione, lo sfollamento più ampio in Cisgiordania negli ultimi decenni.

L’offensiva israeliana segue direttrici ben precise. A metà settimana è stata annunciata la demolizione di altre 14 case. «In realtà è accaduto molto più di questo» dice il capo del Comitato popolare del campo, Faisal Salama, «stiamo assistendo all’annientamento completo delle infrastrutture civili e di centinaia di case e negozi». Salama ricorda che il campo profughi ha subito più di 60 raid israeliani negli ultimi due anni contro i combattenti della Brigata Tulkarem e che le sue infrastrutture sono state distrutte più di una volta. «Ciò che sta accadendo oggi – spiega – è molto più grave, poiché la distruzione ha interessato tutta la rete idrica, le fognature, l’elettricità, le strade. Non c’è più nulla di intero».

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La stessa sorte subita da centinaia di abitazioni è toccata ai negozi, distrutti a decine, senza contare le automobili schiacciate e ridotte in lamiere contorte. Salama afferma che Israele attua una sorta di riprogettazione e riorganizzazione del campo profughi con l’apertura di arterie che dovranno facilitare le incursioni future dell’esercito e il movimento dei veicoli militari. «Le forze di occupazione – aggiunge – stanno pavimentando strade che si estendono da est a ovest e da nord a sud, e che si incontrano al centro del campo». Un ingegnere, che per non essere preso di mira preferisce darci solo il suo nome, Amir, spiega che quelle strade che vedranno la luce nelle aree distrutte del campo formeranno una croce. Una da Est attraverserà il sobborgo di Dhnaba, i quartieri Al Murabbaa e Balawneh; quindi, passerà per il quartiere di Al Hamam al centro del campo e quello di Al-Shuhada, per arrivare all’ospedale Thabet Thabet, ad Ovest. Un’altra scenderà da nord a sud. Il campo avrà un altro volto. Per la sua ricostruzione, in particolare le infrastrutture, occorreranno anni.

Il numero di sfollati è già di oltre 11mila su 15mila abitanti del campo di Tulkarem. Altri 6mila sono stati costretti a scappare da Nur Shams, per un totale di 3.500 famiglie che in maggioranza hanno trovato rifugio a casa di parenti, le altre nei centri di accoglienza di Shaarawiya, Kafr al Labad, Balaa, la moschea al Rawda a Tulkarem. Presto, temono i palestinesi e lasciano intendere Netanyahu e Katz, toccherà agli altri campi profughi della Cisgiordania. Il 14 febbraio Hagar Shazaf e Jack Khoury hanno scritto su Haaretz che Israele usa «la ‘guerra al terrore’ come scusa per distruggere le infrastrutture, evacuare la popolazione e mantenere una presenza militare permanente. Per i coloni israeliani, che vogliono eliminare la possibilità di uno Stato palestinese, queste azioni sono benvenute».



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