Capire cosa stia accadendo nel Pd e nell’area del centrosinistra e cosa stiano facendo o abbiano in mente di fare i cattolici democratici presenti in quest’area, rappresenta una domanda chiave per capire come potrà evolvere l’intero quadro politico italiano nei prossimi due anni. Quelli che presumibilmente mancano alle prossime elezioni.
Una cosa che non manca di sorprendere gli osservatori del mondo politico è la forza centripeta che spinge a muoversi verso il centro ogni volta che cresce il disagio e il malessere nell’ambito dei grandi partiti, sia a destra che a sinistra. Si ipotizzano nuove forme di scomposizione e di ri-aggregazione, nuove alleanze.
Il fenomeno interessa prevalentemente l’area cattolica. Lo hanno confermato alcuni recenti incontri, come quelli di Milano e Roma, da cui è emerso con chiarezza come i cattolici non si sentano a loro agio nel Pd.
Quando Elly Schlein fu eletta, a sorpresa, come nuova segretaria dem, si impegnò ad abolire le correnti, considerandole una patologia del Partito democratico, senza tener conto però della natura anomala del Pd, che nasceva dalla confluenza tra Ds e Margherita. Il primo, erede diretto del Pci, e la seconda erede di quella Margherita in cui erano confluiti molti, moltissimi ex democristiani.
Che si potesse sopravvivere in uno stesso soggetto politico senza correnti era ed è tuttora improbabile, e non a caso torna spesso a riaffacciarsi il rischio di una divisione, che altro non sarebbe che un “ritorno alle origini”. Un ritorno che per alcuni ha un sapore di nostalgia, ma che per molti altri implica una rivisitazione della propria identità cattolica.
La Schlein, volendo tener unito il partito a tutti i costi, ha finito col determinare al suo interno una linea di scissione sempre più profonda e dopo due anni di “cura Schlein”, nel Pd ci sono molte correnti attive. Col risultato che ora potrebbe nascere una corrente di ispirazione cattolica, pronta ad allearsi con altri soggetti politici, anche loro in evoluzione. Una componente cattolica certamente aperta a sperimentare nuove alleanze che le consentano di immaginare una possibile vittoria alle prossime elezioni. I suoi esponenti sanno che la Schlein potrà forse garantire un buon risultato al Pd, ma non la vittoria per governare il Paese, né ora né mai.
Lo sanno bene Dario Franceschini di Area Dem e quanti fanno affidamento a lui, a cominciare da sua moglie Michela De Biase e dalle fedelissime Chiara Braga, attuale capogruppo alla Camera, e Deborah Serracchiani, precedente capogruppo Pd alla Camera. Tre donne che ambiscono a fare concorrenza alla stessa Schlein.
Ma anche Stefano Bonaccini, attualmente presidente del Pd ed europarlamentare, con radici nel Pci, è a capo di una corrente assai più riformista di quanto facciano supporre le posizioni della Schlein arroccata nei suoi “no” sistematici a tutto. Ma Bonaccini, come l’altro potente past president Nicola Zingaretti, sono stati spediti a Bruxelles, fedeli al vecchio detto: promoveatur ut amoveatur.
Dunque correnti diverse che potrebbero dar vita a nuove forme di alleanze proprio dall’esilio dorato di Bruxelles, mentre in Parlamento Graziano Delrio, di schietta e sicura matrice cattolica, è il grande influencer della nuova componente del Pd: Comunità democratica. C’è lui dietro la grande operazione nata con le Settimane Sociali di Trieste, che tanto successo ha avuto recentemente alla Domus Mariae. Da un Pd diviso al suo interno, più di quanto non traspaia dalla stampa, potrebbero emergere mani tese, a destra e a sinistra.
Che la Schlein voglia aggregare Conte e il M5s in una sorta di vassallaggio che porti voti per un’ipotetica vittoria della sinistra alle prossime elezioni, è cosa nota. Ma dal Pd potrebbe staccarsi anche una corrente, con dignità di partito, capace di guardare a quella parte del centrodestra ligia ai dettami di Bruxelles, come ha lasciato intendere Marina Berlusconi in una sua recente intervista (e come Il Sussidiario ha anticipato da tempo).
Insomma, un soggetto centrista sulla falsariga della famosa maggioranza Ursula. D’altra parte nel centrodestra, al di là delle affermazioni formali, Forza Italia sembra non perdere occasione per distinguersi da Lega e FdI.
È accaduto in tutte le questioni rilevanti in tema di giustizia e di politiche fiscali, di migrazioni e di salute. E in politica estera non sfugge a nessuno come all’adesione convinta di Salvini e Meloni a Trump, corrisponda un diverso atteggiamento di Tajani e di Lupi, che guardano soprattutto allo sviluppo delle alleanze in Europa. Il timore diffuso nei centristi di un orientamento eccessivamente ancorato alla destra, confermato dalle recenti elezioni negli USA e in diversi Paesi europei, probabilmente anche in Germania, sta suscitando una contro-reazione per opporre un argine ad una linea che non può essere sconfitta da un sinistra in linea con la Schlein, in un’opposizione ostinata e senza contenuti.
L’asse Trump-Putin preoccupa profondamente l’Europa e influenzerà anche la riorganizzazione politica che è nell’aria; ma l’alleanza con Putin, storico avversario dai tempi della Guerra fredda, rende ancora più anomala l’alleanza con Trump. Esaspera le tensioni e le contrapposizioni già presenti nella maggioranza Ursula perché mette insieme tendenze estreme a destra e a sinistra.
La politica italiana risente di queste tensioni, che mettono in crisi vecchie e nuove alleanze, dentro e fuori dalle coalizioni, non solo a livello europeo. I cattolici a disagio nel Pd lo hanno capito e stanno accelerando la riflessione e i tempi. Certo, molto resta ancora da fare, soprattutto sul punto più delicato: la leadership. Ma su questo occorrerà tornare.
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