L’apostata “jihadista” che ha sconvolto la Germania

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Un ex musulmano saudita rifugiato in Germania, critico feroce dell’islam, si radicalizza in un complottismo di estrema destra e compie una strage nel mercatino natalizio di Magdeburgo. Il caso riapre il dibattito sul disagio degli apostati in Occidente. Affronta il tema Valentino Salvatore sul numero 1/2025 di Nessun Dogma. Per leggere la rivista associati all’Uaar, abbonati oppure acquistala in formato digitale.


Una macchina falcia la folla in un mercatino natalizio nella città tedesca di Magdeburgo. È la sera del 20 dicembre 2024, il tragico bilancio è di cinque morti e almeno 200 feriti. Il sospetto viene subito arrestato: la reazione di tanti è credere che sia l’ennesimo estremista islamico. Ma stavolta non è così.

Partiamo dal terrorista: si chiama Taleb al Abdulmohsen, è un medico psichiatra cinquantenne di origine saudita, arrivato in Germania nel 2006. E apostata dall’islam. La sua storia, che racconta alla stampa tedesca nel 2019 e prima ancora nel 2017 a media arabi e statunitensi, è quella di tanti atei oppressi in terre islamiche.

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Di famiglia sciita, nel 1997 diventa incredulo ma si finge osservante e approfitta di un tirocinio all’estero per lasciare l’Arabia Saudita. Dal 2012 su forum on line arabi laici e liberali critica la religione. Riceve minacce e persino in Germania nasconde l’apostasia perché lavora con musulmani, teme gli facciano terra bruciata. Apre nel 2016 il profilo Twitter, si rivela ateo e viene marginalizzato dalla famiglia.

Si proclama «il critico più aggressivo dell’islam nella storia» e denuncia l’applicazione della sharia, specie contro le donne. Entra in contatto con la galassia degli ex musulmani e apre un forum per aiutare soprattutto giovani donne a espatriare: pure la Bbc racconta il suo impegno nel 2019. Abdulmohsen ottiene l’asilo in Germania nel 2016 perché in patria rischia la vita. Si stabilisce a Bernburg, a una quarantina di chilometri dal luogo della strage. Lavora dal 2020 in una struttura sanitaria per reclusi tossicodipendenti.

Sembra una storia a lieto fine, ma c’è l’altra faccia della medaglia. Il personaggio è turbolento e c’è chi specula che si sia portato dietro una forma mentis “islamista” pur abbandonando la fede. Cova germi di paranoia e ostilità verso le istituzioni che sarebbero esplosi.

Nel 2013 minaccia un ordine dei medici alludendo all’attentato jihadista contro la maratona di Boston di pochi giorni prima perché gli contestano il riconoscimento degli esami da specialista. Un tribunale lo sanziona ma le indagini non trovano prove di un possibile attacco. La sentenza non gli va giù, diventa un piantagrane ma viene preso sottogamba dalle autorità. Forse perché rischierebbe la vita se rimpatriato?

Il Paese natale ne chiede l’estradizione con accuse di terrorismo e traffico di esseri umani. Per l’illiberale monarchia wahhabita infatti essere apostata, dissidente e aiutare donne a sfuggire ai “guardiani” maschi sono reati. I sauditi poi dal 2023 avvertono le autorità tedesche quando il personaggio si è davvero radicalizzato, ma senza successo.

Negli anni la visione politica di Abdulmohsen sprofonda in un odio anti-sociale e anti-islamico, i rapporti con gli altri ex musulmani si deteriorano. Si aggiungono disagi personali e lavorativi, isolamento e manie di persecuzione anche verso la polizia; sarebbe anche finito in cura per disturbi psichiatrici.

Su X fa post complottisti, esprime stima per la formazione di ultradestra anti-immigrati Alternative für Deutschland (Afd), il magnate trumpiano Elon Musk, il politico olandese Geert Wilders, il militante della destra britannica Tommy Robinson e il cospirazionista Alex Jones. Nel conflitto in Medio Oriente si schiera con Israele.

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Non si limita a criticare la gestione dei rifugiati, ma accusa la Germania di voler «islamizzare l’Europa». Una decina di giorni prima dell’attacco lo intervista una fondazione della destra statunitense a sostegno dei valori giudaico-cristiani e contro il comunismo e l’islamizzazione: dice di essere «di sinistra» ma di aver «scoperto che quelli di sinistra sono i peggiori criminali» perché sarebbero complici del complotto.

L’uomo è furioso con le organizzazioni di apostati, che ritiene in combutta per islamizzare l’Europa. Prima verso il 2018 vuole collaborare con la Atheist Refugee Relief – Säkulare Flüchtlingshilfe, ong tedesca che supporta ex musulmani esuli dai Paesi d’origine. Ma poi la accusa di essere infiltrata e di alimentare un traffico di prostituzione e droga di cui sarebbero vittime le rifugiate. Si scaglia pure contro la Zentralrat der Ex-Muslime, principale associazione di apostati in Germania. Denunciato dalla ong nel 2019 per offese e diffamazione, viene condannato nel 2023.

Diversi attivisti ex musulmani ricevono nei mesi prima della strage messaggi farneticanti con cui Abdulmohsen pretende di tirarli dalla sua parte. Tra stalking, insulti e minacce si proclama parte di una fantomatica «opposizione militare saudita» (e sulla copertina del profilo X campeggia un kalashnikov).

Fa sinistre allusioni: «la probabilità che io massacri a caso cittadini tedeschi, a causa dell’insabbiamento messo in campo dalle autorità tedesche, è più alta della probabilità che io fermi il mio attivismo contro questa organizzazione corrotta». C’è chi lo ignora o lo blocca, e chi come la fondatrice di Faithless Hijabi Zara Kay lo denuncia alle autorità, che però non intervengono.

L’esule iraniana Mina Ahadi, presidente della Zentralrat der Ex-Muslime, in un comunicato dopo la strage spiega: «non ci è estraneo, dato che da anni ci terrorizza. Inizialmente sospettavamo che potesse essere una talpa nel movimento islamista. Tuttavia ora penso che sia uno psicopatico che aderisce alle ideologie cospirazioniste di estrema destra».

«Siamo esplicitamente critici nei confronti della religione, ma non combattiamo contro i musulmani liberali bensì per loro, poiché sono molto spesso vittime dell’islamismo», precisa. Un approccio tollerante che Abdulmohsen non sopporta: persino durante l’udienza di appello in tribunale nell’ottobre del 2024 proclama che avrebbe salvato l’Europa dall’islamizzazione.

Circa otto anni fa, riferisce inoltre Ahadi, Abdulmohsen dona soldi all’associazione, salvo poi richiederli indietro e minacciando una campagna ostile. Fin dai primi contatti appare «confuso e aggressivo» e una persona che lui tormenta fino a fargli perdere il lavoro lo denuncia.

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L’involuzione di Abdulmohsen è parallela a quella di stragisti xenofobi come Anders Breivik: accusa i governi occidentali di accogliere troppi musulmani e si dà al terrorismo credendo di risvegliare le coscienze. Dopo la strage di Magdeburgo le realtà ex musulmane subiscono attacchi dagli apologeti islamici, che approfittano per delegittimarne l’attivismo bollandolo come “islamofobo” e violento (da che minbar – pulpito, in arabo – verrebbe da dire). Ma le associazioni laiche sono da anni attaccate anche dalla destra sovranista per il sostegno senza distinzioni ai migranti, il rifiuto di abbracciare la retorica anti-musulmana e perché rivendicano laicità e diritti civili.

La comunità ex-muslim è sgomenta, ma diversi apostati negano che lo stragista sia ateo. Si diffondono dietrologie secondo cui Abdulmohsen sarebbe un islamista: grida «Allah akbar» (sulla base di video con pessimo audio), scrive frasi da jihadista (in realtà commenti fuori contesto), colpisce il mercatino di Natale perché mira ai cristiani (ma ha risentimento per tutti i tedeschi) e l’automobile contro la folla sarebbe tipica (il car ramming non è però un’esclusiva: si veda l’attacco a Charlottesville del 2017).

Un video dell’esule iraniana Maral Salmassi, musicista e militante anti-woke, diventa virale con il rilancio su X del suo proprietario Elon Musk, che accusa i media europei di fare «propaganda» negando la matrice islamista. Il terrorista si sarebbe finto ateo per infiltrarsi, esercitando la taqiyya.

Ma la pratica di rinnegare per finta la fede – un jolly nella polemica anti-islam per tacciare i fedeli di subdola dissimulazione – è storicamente un modo con cui le minoranze sciite si difendono dalle persecuzioni sunnite, o si adattano i moriscos (musulmani costretti a convertirsi al cristianesimo dopo la Reconquista della Spagna).

Le incoerenze dell’attentatore e le testimonianze di chi ci ha a che fare rendono poco credibile la lucida macchinazione. Questo complottismo antireligioso soddisfa però la prevedibile ostilità verso l’islam di tanti apostati. Ma è illusorio come negare la matrice islamista di tanti attentati per non fare il gioco degli xenofobi.

L’attentato fa riflettere sui disagi degli ex musulmani che pure in occidente rischiano di isolarsi e coltivare risentimento. Spesso subiscono discriminazioni sia dagli autoctoni perché stranieri, sia dalle comunità di conterranei perché apostati. Non tutti riescono a realizzarsi e a socializzare, alcuni sprofondano in un disagio che può generare mostri.

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Anche le istituzioni e l’accoglienza (dove pesano le confessioni religiose, cristiane in primis) di solito sono più sensibili alle esigenze dei migranti credenti, sia pure musulmani. I non credenti incontrano ad esempio le angherie dei musulmani nei centri di accoglienza o maggiori difficoltà di essere creduti per ottenere l’asilo. Spazi su internet e associazioni laiche fanno tanto per l’integrazione, ma non sempre basta. E a volte creano delle bolle, alimentando un risentimento indiscriminato contro i musulmani.

Sul lato sociale e politico, fa notare pure l’attivista ateo pakistano ora in Canada Ali A. Rizvi, il panorama degli apostati si è diversificato. Storicamente spiccano quelli di sinistra scampati alle teocrazie ma oggi crescono quelli che pendono a destra, vocianti tanto contro l’islamismo quanto contro il “politicamente corretto”.

Questioni come il massiccio afflusso e il comunitarismo dei migranti musulmani e il polarizzante conflitto tra Israele e Palestina preoccupano sempre più gli ex musulmani che accusano governi, media e sinistra di condiscendenza verso l’integralismo. Temono di perdere le libertà di una società laica e di finire nel calderone della xenofobia.

Tanti antirazzisti si mostrano freddi verso gli apostati dall’islam, che finiscono per sentire più affini certi populisti identitari islamofobi. La deriva estremista di Abdulmohsen, tra disagio mentale, complottismo e ideologia politica anti-islam, è uno specchio deformante dentro cui la comunità di ex musulmani è costretta oggi a guardarsi.

Valentino Salvatore

 


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