La disgregazione della politica e le fibrillazioni delle città: la necessità di partecipazione

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Com’è possibile che una città importante e complessa come Taranto viva la deriva politica, istituzionale e amministrativa degli ultimi tempi, e non solo? Come può accadere che una persona o un drappello di personaggi decidano di amministrare a proprio piacimento un Comune, piccolo o grande che sia, come fosse cosa propria, in virtù di una manciata in più di consensi ottenuti? Come si può arrivare – solo in nome della contesa politica, per quanto aspra – a trascinare per mesi nel fango un capoluogo di regione come Bari, esposto al rischio – e allo stigma – dello scioglimento per mafia, quando era evidente a tutti, per prima alla Procura (e infine anche allo stesso ministero degli Interni, nonostante le pressioni), che non ci fossero gli elementi necessari e sufficienti per procedere?

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Le cronache di questi giorni, di questi mesi, di questi anni, riportano con evidenza un primo grosso problema che, a cascata, ne alimenta altri, pure al netto della presenza di personaggi di indubbio spessore e qualità (espressione tanto vera quanto fumosa, in cui ciascuno, a torto o a ragione, crede sempre di ritrovare sé stesso). È il problema della formazione e della selezione del personale politico chiamato a diventare classe dirigente, esposto com’è – questo fondamentale e delicato meccanismo – all’insidia più evidente: la necessità, nel susseguirsi incessante di elezioni, di massimizzare rapidamente i consensi per raggiungere e moltiplicare il potere.

Una trappola, nell’epoca del leaderismo spinto assurto a sistema una volta tramontati i partiti come soggetti collettivi, che inquina prima i percorsi democratici e poi gli ambiti istituzionali della rappresentanza. Con i risultati sinteticamente esposti all’inizio. Sufficientemente emblematici.

L’evidenza eloquente della trappola esiziale è nella moltiplicazione di fenomeni allarmanti (per restare almeno a quelli emersi in tutta la loro forza). Intanto i collettori di voti, vere e proprie macchine da guerra elettorali, capaci di condizionare il responso delle urne in virtù di pratiche ed espedienti oltremodo spregiudicati (condizionamenti espliciti, ben altra cosa rispetto alle manipolazioni inconsce sempre più di moda, vera afflizione della modernità). E poi l’altro fenomeno, anche questo in rapida affermazione: i voltagabbana in moto perpetuo, capaci di passare da una parte all’altra secondo stagione e convenienza. Un po’ modello “Va’ dove ti porta il cuore”, insomma. Purché si facciano comunque affari, ovviamente.

Degenerazioni di un sistema, si direbbe. Senza dubbio. Ma il problema (a cascata, appunto) si riverbera su tutti. Perché il risvolto diretto e pratico del meccanismo è nella duplice disaffezione dei cittadini. I quali, da una parte, si tengono sempre più alla larga da una partecipazione diretta e attiva, per cui la politica si ritrova a dover rinunciare all’apporto di nuove idee e nuovi fermenti, ulteriori visioni del mondo e della società capaci di arricchire le analisi dei problemi, contribuendo alle soluzioni. Mentre, dall’altra, disertano in un crescendo inarrestabile anche le urne, cosa che riduce le maggioranze a essere rappresentative di una minoranza della popolazione. Con tutte le difficoltà che questo implica quando torna in ballo il tema delicato e scottante della sovranità popolare e della legittimazione democratica.

Se questo è il quadro, e il timore è che – per quanto detto – effettivamente lo sia, occorre aumentare i livelli di attenzione e consapevolezza alla vigilia di una nuova raffica di elezioni. Perché ora è tempo di portare a frutto gli impegni presi a tutti i livelli per uscire dall’emergenza pandemica e rimettere in moto l’economia. Sono gli anni degli investimenti fondamentali, delle occasioni da non sprecare, delle obbligazioni (anche sotto forma di debiti contratti) da onorare fino in fondo per non ritrovarsi alla fine con una montagna di soldi da restituire senza aver innescato, nel frattempo, le spirali virtuose della crescita e del progresso. Girarsi dall’altra parte e dire che è tutto un disastro rappresenta il motore primo e basilare delle profezie che si auto-avverano. In fondo, la libertà (evidente la citazione) resta sempre il portato diretto della partecipazione. Se è consapevole e informata, meglio. Decisamente.
 

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