Israele manda tank e ruspe in Cisgiordania: «Contro i terroristi»

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Lanci di pietre contro i carri armati. Polverone, ragazzini che fuggono, puntati dalle mitragliatrici delle torrette. Era dal 2002, al tempo della Seconda Intifada, che non si vedevano scene come questa in Cisgiordania. Diversi carri armati sono nelle città palestinesi da domenica, quando l’esercito israeliano ha sfollato 40mila abitanti da Jenin, Tulkarem e Nablus. La cifra è fornita dal ministro della Difesa, Israel Katz. Covi di terroristi, ha accusato il premier Benjamin Netanyahu. Annunciando che i militari sono lì per restare «anche un anno». «Jenin è una replica di quanto è accaduto a Jabalia, l’hanno resa inabitabile», ha detto un portavoce dell’amministrazione locale riferendosi al campo profughi nel nord della Striscia di Gaza. Gli sfollati sono stati accolti da parenti oppure ospitati in scuole e in rifugi improvvisati.

I bulldozer non sono una novità. Erano entrati più volte a distruggere strade e case, tranciare fili elettrici e demolire sistemi idrici e fognari. A Jenin avrebbero abbattuto 120 abitazioni, danneggiandone altre decine. Anche a Qabatiya, sotto coprifuoco da 48 ore, sarebbero state distrutte infrastrutture e strade. L’operazione contro i nuclei urbani palestinesi, isole a enorme densità abitativa in un mare di insediamenti e avamposti ebraici, era scattata all’indomani della tregua a Gaza. Il 21 gennaio, due giorni dopo il cessate il fuoco, il governo indebolito dall’uscita dell’estremista di destra Itamar Ben-Givr, aveva annunciato l’operazione “Muro di ferro”, di cui si era avuta un’anticipazione alla fine di agosto 2024 con l’irruzione in «Giudea e Samaria» (come Tel Aviv chiama la Cisgiordania) di centinaia di militari e ruspe.

«Solo quest’anno, 17 bambini sono stati uccisi in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est. Tutto questo deve finire» ha denunciato su X la direttrice generale dell’Unicef, Catherine Russell. Da gennaio i morti sono 27 e 580 gli arrestati, 365 negli ultimi due giorni. «Non possiamo nascondere la preoccupazione per quanto riguarda la Cisgiordania» ha detto l’Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas, alla riunione a Bruxelles del Consiglio di associazione Ue-Israele.

«Ciò che stiamo facendo è difendere la nostra sicurezza» ha ribattuto il ministro degli Esteri israeliano Gideon Saar. Quanto alla tregua a Gaza, ha ribadito: «Siamo impegnati nella liberazione dei nostri ostaggi e negli obiettivi di guerra che abbiamo fissato». Sulla questione dello scambio tra gli ostaggi di Hamas e i palestinesi nelle prigioni israeliane, in Cisgiordania la tensione è alle stelle dopo che Tel Aviv ha bloccato la scarcerazione di 602 detenuti che era prevista per sabato scorso. Si tratta per lo più di sospetti arrestati a Gaza (445, tra cui donne e minori), ma anche di una cinquantina di pluriergastolani e di una sessantina di condannati a lunghe pene detentive. Il ministro estremista Bezalel Smotrich (Finanze), portavoce dei coloni, ha rivendicato il proprio ruolo nella decisione di fermare il rilascio, nonché nell’operazione militare in corso in Cisgiordania: «A due anni dalla rivoluzione dei coloni che abbiamo guidato, ora insieme al ministro della Difesa stiamo guidando il cambiamento del concetto di sicurezza». Ai mediatori di Egitto e Qatar, Tel Aviv ha posto una condizione, per le scarcerazioni: che la restituzione dei corpi di quattro ostaggi – l’ultima prevista per la fase uno – avvenga in maniera rispettosa, senza gli umilianti show propagandistici visti finora. Secondo Channel 12, Hamas sarebbe disposto a trasferire due corpi in Egitto, in cambio di 301 detenuti. Per poi ripetere l’operazione con la stessa formula.

All’inviato americano per il Medio Oriente, Steve Witkoff, il ministro degli Affari strategici Ron Dermer, molto vicino a Netanyahu, ha detto che «Israele non è impegnato nel piano di tregua in tre fasi dell’amministrazione Biden, anche se lo ha firmato». L’obiettivo, stando ai media israeliani, è di far liberare tutti i 63 ostaggi rimasti in un’unica tornata e scarcerare i palestinesi. Il piano B, scrive Haaretz, è noto come “piano dei generali”: «Israele tornerà a una guerra intensa a Gaza, creerà aree di rifugio per i civili e consentirà alle organizzazioni internazionali di distribuire cibo solo in quelle aree». La data chiave sarà il 6 marzo, quando si insedierà il nuovo capo di stato maggiore, il generale Eyal Zamir. Cinque giorni dopo la fine della prima fase della tregua.





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