I centri per migranti in Albania e il concetto di “paese sicuro” alla prova della Corte di giustizia Ue

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Dopo l’udienza davanti ai giudici di Lussemburgo, l’avvocato generale della Corte presenterà le sue conclusioni il 10 aprile. Il verdetto dovrebbe arrivare a maggio. «Ci sono una serie di altri profili particolarmente critici», spiegano i legali di uno dei cittadini del Bangladesh che hanno fatto ricorso

Il progetto Albania è all’esame della Corte di giustizia dell’Ue. Di fronte ai quindici giudici europei del 25 febbraio si è discussa l’interpretazione di un concetto chiave per il funzionamento dei centri di trattenimento, per migranti provenienti da paesi sicuri, realizzati dal governo Meloni in accordo con Tirana. L’attesa però non è finita: il 10 aprile l’avvocato generale della Corte Ue presenterà le sue conclusioni, mentre la pronuncia dovrebbe arrivare a maggio.

Provenire da un paese sicuro per un richiedente asilo significa essere sottoposto alle procedure accelerate. E, quindi, avere meno garanzie, tempi ristretti e una buona possibilità che la propria domanda di protezione internazionale venga rigettata perché, secondo valutazioni governative, la situazione del paese sarebbe tale da presumere che sia infondata.

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«L’esistenza del progetto del governo in Albania non dipende solo da questa decisione. Ci sono una serie di altri profili particolarmente critici». A parlare a Domani sono gli avvocati Dario Belluccio e Stefano Greco, legali di uno dei due cittadini del Bangladesh che dopo essere stati portati nel centro di Gjadër a metà ottobre hanno presentato ricorso contro il diniego della domanda di asilo.

Il collegio – di cui fa parte anche Massimo Condinanzi, professore ordinario all’Università degli Studi di Milano, a cui il governo ha conferito l’incarico a gennaio 2023 – ha ascoltato gli interventi degli avvocati dei richiedenti asilo, dell’avvocatura dello stato italiano e di altre parti, che hanno avuto la facoltà di intervenire. Tra queste, la Commissione europea che si è detta disposta «ad accettare che la direttiva» sulle procedure d’asilo «consenta agli stati membri di designare paesi d’origine come sicuri» anche con alcune «eccezioni per categorie di persone».

La stessa linea adottata dai rappresentanti del governo italiano: la sicurezza di un paese, per l’avvocato dello stato Lorenzo D’Ascia, non deve necessariamente «essere soddisfatta egualmente per tutti gli individui». Non esiste, ha sostenuto in udienza, un «concetto di paese sicuro in senso assoluto, privo di alcun margine di insicurezza personale».

È questo il quesito principale attorno a cui ruota il progetto Albania. E, cioè, è possibile considerare sicuro un paese di origine che non può essere definito tale per alcuni gruppi di persone? Come ad esempio soggettività Lgbtq+, oppositori politici, attivisti, o minori. Un interrogativo che coinvolge Bangladesh ed Egitto, le nazionalità prevalenti delle persone portate in Albania.

Oltre a questo, i giudici del tribunale di Roma hanno sottoposto alla Corte altri quesiti: se il diritto dell’Ue impedisca al legislatore nazionale di elencare i paesi di origine sicuri in una norma primaria; se sia compatibile con il diritto Ue la decisione del legislatore di non «rendere accessibili e verificabili le fonti» usate per definire un paese sicuro; e se il giudice nazionale possa o meno «utilizzare informazioni sul paese di provenienza, attingendole autonomamente» da fonti individuate dalla direttiva Ue. 

Principi traditi

«Il governo italiano ha tradito i principi di legalità, certezza del diritto, divieto di arbitrarietà del potere esecutivo, tutela giurisdizionale effettiva, uguaglianza di fronte alla legge», ha evidenziato Belluccio in udienza, attaccando la designazione dei paesi sicuri. Sono ben 19 gli stati nell’elenco del governo italiano «contro i nove della Germania»: una sproporzione che dimostra, ha detto l’avvocato, la «volontà dei governi di piegare i diritti di asilo alle logiche del diritto dell’immigrazione».

Si aggiungono, ha ricordato Belluccio, i «veementi attacchi subiti dai giudici per aver disapplicato il diritto interno in palese contrasto con il diritto dell’Unione». Il governo ha messo in discussione due aspetti fondamentali, spiega l’avvocato a Domani: «L’autonomia e l’indipendenza della magistratura e il primato del diritto europeo sul diritto italiano».

Argomentazioni, queste, portate anche davanti ai giudici della Corte. Ma, per Belluccio, «siamo solo all’inizio»: il protocollo porta con sé «molte altre questioni costituzionali, come quelle relative al diritto alla difesa».

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