Nuovo Giornale Nazionale – GERMANIA, ERA TUTTO PREVISTO…

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di Roberto PECCHIOLI

E così sono passate anche le elezioni anticipate in Germania. Il cambiamento è rinviato sine die , la cosiddetta coalizione-semaforo, giallo rosso verde, è stata sconfitta, ma non troppo. L’alternativa nel sistema ha vinto, ma non troppo. L’opposizione al sistema- nelle sue forme più diverse e incompatibili (divide et impera) è cresciuta, ma non abbastanza. Era già tutto previsto, cantava Riccardo Cocciante. Tutto previsto anche in Germania: lo scialbo Scholz incassa la sconfitta storica della socialdemocrazia ma rimarrà al potere, poiché così vogliono l’Unione Europea, forse gli Usa, certamente la finanza e le classi dirigenti dell’ex motore produttivo d’Europa. I Verdi, portabandiera dell’ala più guerrafondaia d’ Occidente, campioni di tutte le transizioni green ed ecoclimatiche, arretrano a e non sarà necessario includerli nel nuovo governo.

Era già tutto previsto: i democristiani post Merkel al comando, uniti agli avversari di sempre, i socialdemocratici in ritirata. A Berlino come a Bruxelles, maggioranza Ursula – del resto la contessa Von der Leyen sorella di Crudelia Demon è tedesca – affinché nulla cambi presso un popolo confuso, diviso tra urgenza del cambiamento e paura del nuovo, da ottant’anni privato della sovranità, consolato con la ricchezza oggi gravemente compromessa.  Le procedure formalmente democratiche sono state rispettate, ma quel poco che cambia è affinché nulla cambi. Singolare contraddizione gattopardesca per un paese in pesante crisi industriale, a cui gli alleati ( ucraini, baltici, britannici, americani? Lo sapremo vivendo) hanno distrutto la principale infrastruttura strategica, il gasdotto North Stream che pompava energia russa all’industria tedesca.

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Una nazione sconfitta nell’anima dal 1945, spezzettata, parzialmente ricomposta nel 1989, ma privata di identità, sfregiata da un’immigrazione che dal 2015, per iniziativa di Angela Merkel- fedele vassalla americana- è diventata il problema più sentito, unitamente alla potente crisi industriale che minaccia di farla finita con il modello mercantile (vasta esportazione di manufatti con giganteschi avanzi monetari). Chiudono stabilimenti della Volkswagen, un simbolo della Germania. Ci vorrà tempo per riprendere lo sfruttamento delle risorse minerarie abbandonate, mentre l’azione congiunta di potentati economici, interessi energetici, paure diffuse, forze politiche (Verdi e non solo) hanno allontanato da decenni l’alternativa nucleare. Nonostante questo scenario, tutto o quasi rimarrà come prima. La resa dei conti è rimandata, ma non si vede all’orizzonte, in Germania come nel resto dell’Europa al tramonto, una nuova classe dirigente capace di invertire la rotta. Non è ancora chiaro se i robusti segnali di opposizione – sociale, culturale, identitaria- siano gli spasmi dell’agonia o la fase germinale di un reinizio.

Certo nessuno può pensare che Friedrich Merz, settantenne avvocato d’affari, consulente di lungo corso di multinazionali come la Bosch, dirigente del ramo tedesco di Black Rock, il più grande fondo finanziario del mondo, rappresenti un cambiamento. Il sistema ripiega, cambia alcune facce, ma resta il pilota automatico finanziario, liberista, europeo e atlantico, al di là delle dichiarazioni di facciata. Le porte girevoli del potere: da Black Rock e dalla Confindustria tedesca al governo federale: promozione o retrocessione? Da politico rotto a ogni giravolta, in un solo giorno ha smentito gli impegni sulla stretta all’immigrazione; sembra che il Ministero dell’Interno, nel bel mezzo del crollo della sicurezza e di attentati mortali compiuti da immigrati- resterà ai socialdemocratici. A spegnere l’incendio gli stessi che l’hanno appiccato. L’alleanza CDU-SPD è detta pomposamente, con sprezzo del ridicolo, Grosse Koalition, grande coalizione. Nella vecchia Germania Ovest l’alleanza capitò in alcuni frangenti, ma i due partiti rappresentavano oltre il 90 per cento dell’elettorato. Oggi raggiungono a malapena il 45 per cento. Democrazia dimezzata in cui governa la minoranza perché così vuole il livello superiore, quelli che comandano davvero.

Nulla di nuovo, nell’Europa oligarchica: in Romania annullano le elezioni, nella parte occidentale sono più raffinati. Inventano sistemi elettorali che mantengono al potere sempre gli stessi. Il resto lo fa la propaganda h.24 che rende innocui i popoli e, all’occorrenza, i brogli elettorali. In Gran Bretagna l’attuale governo laburista ha una schiacciante maggioranza parlamentare con il 34 per cento dei voti. In Francia la demonizzazione della destra sociale identitaria e la divisione della sinistra consentono a Macron di governare nonostante l’avversione di gran parte dei francesi. In Spagna il sistema elettorale è costruito in modo da impedire maggioranze “nazionali” indipendenti da movimenti separatisti o localisti di ogni tendenza che hanno balcanizzato il paese.

In Germania la soglia di sbarramento al 5 per cento – utilizzata per evitare la frammentazione- stavolta è servita per escludere dal parlamento i liberaldemocratici,  vittime dell’improvvida partecipazione al governo uscente che hanno abbandonato in ritardo, e soprattutto il nuovo movimento populista di sinistra – ma anti immigrazione e fortemente anti sistema- creato da Sahra Wagenknecht, moglie di Oskar Lafontaine, forse l’unico dirigente politico tedesco davvero di sinistra nella storia della Repubblica Federale post bellica. Che combinazione, perfino per i serissimi tedeschi: il partito della Wagenknecht, che sarebbe stato un serio ostacolo per le politiche “continuiste”, si ferma al 4,97 per cento. Su cinquanta milioni di voti, esce di scena per tre centesimi di punto. Sembra che il voto dei tedeschi all’estero sia stato manomesso. Chi dà le carte e decide le regole difficilmente perde. In più, nell’ultima settimana preelettorale sono stati diffusi sondaggi manipolati che davano il partito al 3 per cento, deludendo e smobilitando i suoi potenziali elettori. Missione compiuta: l’assenza della Wagenknecht permette al duopolio popolari-socialisti di avere una pur risicata maggioranza parlamentare. Filotto. Era già tutto previsto.

Tuttavia si rafforzano i segnali della Germania reale, quella in cui dilagano disoccupazione, insicurezza, in cui i salari crollano per la pressione migratoria e la crisi industriale, in cui è dura pagare l’affitto (la percentuale di tedeschi proprietari dell’abitazione è bassa) e i giovani perdono speranza. Il partito che ha davvero vinto le elezioni. Alternative fuer Deutschland, balzato al 20,8 per cento nonostante le accuse di nazismo e le grandi manifestazioni organizzate contro di esso, è il primo nelle regioni dell’ex Germania Orientale, ma soprattutto nelle preferenze di lavoratori, disoccupati e giovanissimi. Lo riferisce con preoccupata pignoleria statistica la Faz, Frankfuerter Allgemeine Zeitung, il quotidiano più autorevole del paese, moderatamente progressista. Risorge anche la sinistra post comunista, Die Linke, premiata anch’essa dal voto giovanile, pesantemente impregnata del mondo LGBT e dalla cultura woke. Oltre il trentacinque per cento dell’elettorato ha votato “contro”, mentre popolari, liberali e socialisti ( il blocco di potere dominante nell’UE) conservano il consenso delle classi più agiate, dei pensionati e dei ceti garantiti. Anche questa è una chiave di lettura, non solo tedesca. Chi sta bene contro i perdenti della globalizzazione, chi vuole mantenere diritti sociali e identità nazionale contro il cosmopolitismo vuoto del potere occidentale. Funziona ancora il riflesso antifascista che bolla Afd come nazista e etichetta Bsw ( il partito della Wagenknecht) con l’accusa di “rossobrunismo”. Reductio ad Hitlerum ridicola per Bsw, poco credibile anche per Afd, la cui leader è una lesbica sposata con una donna asiatica e il cui programma economico sociale è tutt’altro che nazionalsocialista. 

Ma si sa, il grande nemico del grumo di potere occidentale è la realtà, che riesce a nascondere o piegare alla sua narrativa in quanto controlla la quasi totalità dell’informazione, della cultura e dei laboratori di formazione del consenso. Ciononostante, settori sempre più consistenti della popolazione passano all’opposizione. Divisa, incapace di coalizzarsi, ma crescente. Come faranno vecchi avversari come Cdu e Spd a risollevare la Germania senza una visione comune, senza una prospettiva energetica che rilanci l’industria, senza surplus di bilancio che proteggano le fasce deboli e contemporaneamente finanzino la ricerca nella tecnologia e nell’innovazione? Come faranno i socialdemocratici a rinnegare le politiche green senza offrire spazio ai Verdi? Che cosa deciderà il governo dopo la fine della guerra in Ucraina sul cruciale versante geopolitico, in cui tornerà centrale il tema delle relazioni con la Russia? Potranno- o vorranno- smarcarsi dalla secolare tenaglia britannica ereditata dagli Usa, decisa a impedire l’amicizia e la collaborazione tra le due potenze di terra? In tema di immigrazione, i democristiani daranno retta al loro elettorato e alla volontà della maggioranza dei tedeschi, o seguiranno le follie della Merkel e delle potenti lobby immigrazioniste  con sponda di governo nella Spd? L’UE continuerà a dettare l’agenda della principale potenza industriale del continente? La visione dell’amministrazione Trump sugli alleati- vassalli europei permetterà politiche non diciamo sovraniste, ma almeno attente agli interessi nazionali della Germania sbaragliata, annichilita nel 1945?

Molte, troppe domande. Temiamo che la corsa della storia degli ultimi anni e l’accelerazione impressa dalle prime mosse di Trump troveranno impreparate –inadeguate, oltreché servili- le classi dirigenti tedesche. Il vento però cambia in fretta e chi non orienta la sua rotta naufragherà senza scampo. Era già tutto previsto: l’uomo di Black Rock alla cancelleria, alleato con l’altra gamba del sistema. Basterà a rianimare il gigante renano ferito? Non lo crediamo, ma inquieta l’assenza di alternative credibili. Dovranno crescere in fretta, o vinceranno ancora i soliti noti. E perderà il popolo tedesco.        

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