Lascio a commentatori politici più preparati e brillanti di me il compito di analizzare il voto in Germania. Per quanto mi riguarda, dopo Francia e Austria, ciò che ci ritroviamo è solo la consapevolezza di una sabbia mobile che è imposta da un equilibrio precario e instabile quanto la nitroglicerina. Tutto cambi, affinché nulla cambi. Perché altrimenti, salta il banco.
E la Germania, in tal senso, offre un precedente e uno spoiler dell’unico, vero rischio che il mondo ha di fronte a sé: il redde rationem con l’iper-inflazione. Non inflazione. Iper-inflazione. Weimar 2.0.
Proverò a spiegarmi partendo da una domanda retorica: nel cono d’ombra garantito dalla guerra tariffaria e dello sbocco diplomatico della crisi ucraina, la Cina ha segretamente dato vita a un Qe? No. Solo alla nuova definizione di massa monetaria M1.
Dalla scorsa settimana, oltre alla valuta in circolazione e alla domanda di depositi corporate, trovano spazio anche i depositi personali – quindi quelli immediatamente disponibili per transazioni – e i depositi detenuti su piattaforme come Alipay o WeChat Pay. Detto fatto, boom. Chiaramente, tutto viene ricondotto a letture molto rassicuranti. La crescita dell’utilizzo di portafogli digitali per i pagamenti, ad esempio. O i depositi personali ormai equiparabili a livello di liquidità a quelli corporate.
Insomma, se la società cambia, persino la Banca centrale del Paese cinese deve adeguarsi. Da oggi, la massa monetaria del Dragone sarà realmente comparabile in base a standard internazionali. Il quadro reale delle liquidità in circolazione aiuterà gli analisti a capire il livello di crescita dell’economia e il peso della Fintech. E bla bla bla.
Date un’occhiata a quest’altro grafico, adesso. Ci mostra un parallelo abbastanza plastico. Quando gli Usa decisero a loro volta di cambiare composizione della massa monetaria M1, includendo i conti deposito, quest’ultima conobbe un aumento implicito, diciamo una rivalutazione, da 4,8 trilioni a 16,2 trilioni solo nel mese in corso. E quel mese era maggio. E l’anno 2020. Ovvero, piena pandemia.
Perché, mentre dovresti essere impegnato solo a livello sanitario, fra mascherine, vaccini e lockdown, decidi invece di porti come priorità la revisione della definizione e della struttura M1? E casualità vuole che il nuovo dato della massa monetaria cinese sia esordito nella versione steroidea nelle medesime ora in cui emergeva un nuovo virus tipo Covid, trasmissibile dal pipistrello all’uomo. Ovviamente, epicentro ancora la Cina. Pandemia all over again? Oppure solo abuso di credulità popolare applicato a un momento storico che, giorno dopo giorno, assume il grado di pericolosità di una piscina di pescecani?
Perché piaccia o meno, pantomima dei dazi o meno, Cina e Usa sono due enormi ubriachi di debito che si reggono l’uno con l’altro per riuscire a camminare. O, quantomeno, a stare in piedi.
Guardate quest’altro grafico. Guardate il livello di indebitamento su carte di credito attualmente tracciato negli Stati Uniti. Record assoluto a 1,21 trilioni di dollari.
E guardate quando è cominciata la parabola: 2021, a fine pandemia e quando ancora sui conti corrente giacevano miliardi di dollari in sostegni federali. E tutto sembrava copribile nel giorno dei Rid. Poi i soldi del Covid sono finiti, però. E i debiti su carte di credito, al netto di un’inflazione fuori controllo e salari al palo, esplosi. Debiti di fatto inesigibili. Ecco perché la Fed taglia i tassi, nonostante la data-dependency. Per permettere alle banche di riaprire un po’ i rubinetti. Ed evitare la Terza Guerra Civile americana. Sublimandola col braccio teso di Steve Bannon
Il problema? Che ora questo playbook diviene sempre meno efficace nella sua replica. Perché ormai abusato. Stra-abusato. Occorre trovare un’altra scappatoia. Guarda caso, dal nulla esplode la crisi dell’oro fisico, l’hedge naturale e l’unico davvero efficace contro i rischi inflazionistici.
Vi pare un caso? E sapete perché? Lo mostrano questi ultimi due grafici, i quali ci presentano senza bisogno di commenti del sottoscritto, le proiezioni inflazionistiche attuali e più aggiornate rese note da due dei tre colossi del debito. Ovvero, Usa e Giappone.
Gli Stati Uniti prezzano sull’arco 5-10 anni, un’inflazione che non si registrava dal 2008-2009. Ovvero dai tempi della crisi Lehman. Prezzi fuori controllo? Questo avviene da mesi. Semplicemente, ci hanno detto che tutto era in fase di normalizzazione, perché – appunto – senza un taglio dei tassi, i rubinetti del credito sarebbero rimasti chiusi. E la crisi sociale peggiorata, avvitata su se stessa. Ed esplosa veramente. Adesso, però, siamo su un campo minato. Perché le gauges inflazionistiche sia americana che giapponese chiaramente prezzano e incorporano un Qe alluvionale in arrivo. Liquidità che esonda. Quindi, sostegni anche per il potere d’acquisto e conseguente effetto placebo sulla rabbia dei cittadini.
Ma quanto è rimandabile un’ammissione di malafede o di policy error da parte delle Banche centrali? Ovvero, il fatto che la Bank of Japan debba obbligatoriamente continuare ad alzare i tassi, sfasciando lo yen e rischiando una nuova crisi del carry trade con lo scorso agosto. E, soprattutto, quanto la Fed potrà rimandare il suo cambio di marcia, stante una Casa Bianca che ha già chiesto costo del denaro più basso o, quantomeno, rendimento del decennale drasticamente ridimensionato? Jerome Powell può permettersi di ammettere che il Re è nudo e alzare i tassi? E Wall Street, può reggere?
Stavolta l’inflazione non farà sconti. Provate a pensare quale sarà l’effetto su salari e potere d’acquisto di un’Italia senza possibilità di spesa, annegata nel deficit e già costretta ai salti mortali sul prezzo delle sigarette per trovare l’argent dei poche necessario a calmierare le bollette, alla faccia del gas russo che non serviva più.
Signori, inflazione. Segnatevi in rosso questa parola. Perché sarà il vero leitmotiv. Il market maker. E l’incubo, soprattutto.
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