Gentile Direttore, all’inizio di questo mese, nell’imminenza del rituale per l’iscrizione dei giovani, piccoli o in via di matura formazione a scuola, tentavo di trovare un motivo, una spiegazione plausibile che venisse in soccorso alla soluzione, o almeno alla riduzione, del grave fenomeno della dispersione scolastica, in cui la Campania ha il triste primato europeo. Scrissi anche sul Suo autorevole giornale cose che sembrano ovvie, ma che , venendo confinate nella banalità, portano l’opinione pubblica, le famiglie, le stesse istituzioni al disinteresse, non trovando una continuità di azioni riparatrici nel tempo. Ci si ferma alla notizia, tutt’al più con commenti sconsolati o iniziative farlocche per simulare l’attenzione della nostra società acchè non si formi una generazione “passiva”, che si accontenta del “posticino”, cercando soluzioni solo attraverso i servizi sofisticati che offre il telefonino, un iPad o l’ultramoderno computer, già dotato di qualche inserimento elettronico di “intelligenza artificiale”.
La banalità cui mi riferisco è il paradigma: poca scolarizzazione, abbandono prematuro degli stessi studi obbligatori portano al naturale sbocco nel mare della delinquenza organizzata, o, nella “migliore” delle ipotesi, nel bullismo incontrollato e manifestazioni paranoiche di percezione di “grandezza”, specie se ”postati” con migliaia di follower. Leggo, come tutti i giorni, il Suo giornale, Direttore, e nell’edizione di martedì c’è un’intera pagina dedicata alla Scuola, intitolata “tra i banchi”. Si parte dalle scuole dell’infanzia, per giungere alla mitica Università. Un ottimo servizio per la collettività, specie per quelle famiglie che hanno figli impegnati nell’apprendere o che sono alle prese, assieme agli stessi studenti interessati, al tipo di studi da affrontare. Chi ha avuto la bontà di leggere la mia riflessione di due settimane fa, sempre sul Suo giornale, ricorderà che criticavo quella gran parte dell’opinione di professionisti, industriali, persone attive nel mondo del lavoro, che si scagliavano contro lo studio della lingua Latina, per non parlare del Greco, perché il Liceo Classico, ormai, è ritenuto non più funzionale all’occupazione. Viva le scuole tecniche, si diceva e si dice, in quanto permettono, alla fine del ciclo di studi, di immettersi nel circuito produttivo.
Confutavo e confuto questa assurda affermazione o concetto, perché ritengo ancora oggi lo studio delle lingue classiche e della relativa letteratura, che ci ha dato la vera Civiltà, uno strumento di arricchimento e profondo ragionamento della nostra mente umana, che ha bisogno di continui stimoli per poter raggiungere ancora traguardi inimmaginabili. Lo studio dei classici non inibisce certo la conoscenza delle materie scientifiche, né priva di professionalità in altre materie, più moderne, ma anch’esse figlie del progresso che solo le riflessioni, i pensieri, l’impegno degli antichi nostri progenitori hanno generato. Per fortuna, dopo la mia “lettera al Direttore”, due giorni dopo, il 14 febbraio, il più grande cantautore, da tutti celebrato, il prof. Roberto Vecchioni pubblicava un articolo che così sintetizzava nel titolo: “Non ho paura di niente perché ho fatto il Liceo Classico. Chi lo frequenta sa tante cose, le uniche che servono nella vita”. Mi è bastato leggere queste righe e il seguito del contenuto per “riconciliarmi” con me stesso, temendo di essere assalito dalla sola aggettivazione che oggi i mediocri sanno esprimere: “sei antiquato”. In questa “lettera”, però, è doveroso far risaltare un problema ancora più grave: non è all’ordine del giorno lo studio classico, scientifico, commerciale o tecnico.
Qui si parla di “non studio”, sin dalla più giovane età. E la nostra regione, l’ex “Campania Felix”, quella dove sono nati e studiato i Vico, i Tasso, i Vanvitelli, i Ferdinando Russo, gli Scarlatti, le Serao, i Pontano, le Pimentel Fonseca, i Giuseppe Moscati, i Gemito, i Di Giacomo, i Pino Daniele, i Domenico Cimarosa, i Caccioppoli, i Caracciolo, i Basile, e centinaia di altri intellettuali che ancora oggi illuminano la nostra terra nel mondo dello spettacolo, della musica, del sapere, della politica , degli studi giuridici con ben tre Presidenti della Repubblica napoletani (De Nicola, Leone, Napolitano) registra nel terzo millennio il triste “ primato” di essere l’ultima nella classifica europea per frequenza scolastica. Altro che differenze tra “Classico” e “Scientifico”; “Commerciale” o “ Tecnico” o “Linguistico” o “Musicale”. Qui, se non si corre ai ripari, cominciando con il potenziamento dei servizi sociali che controllino le tante “famiglie a rischio” e una campagna di iniziative culturali, la Campania dovrà confrontarsi con la classifica e le percentuali di chi sa scrivere e leggere e chi no, con buona pace di un ritorno al Medio Evo.
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