Salve a tutti e ben ritrovati nella rubrica di Hashtag Sicilia “Così è (se vi pare)”. Oggi due sono le questioni che mi assillano, e che mi fanno girare i cosiddetti “cabbasisi”.
La prima riguarda il prezzo “salatissimo” pagato dagli agricoltori italiani dopo tre anni di guerra; la seconda verte sulle modalità di scelta dei vertici delle aziende sanitarie siciliane. Andiamo ad approfondirle insieme.
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Nomine dei dirigenti sanitari in Sicilia: la valutazione “lampo” in un minuto
La scelta dei vertici delle aziende sanitarie siciliane, in base alla legge, spetta alle Regioni, che però devono “pescare” tra gli iscritti all’elenco nazionale dei soggetti ritenuti idonei. Idoneità che viene accertata mediante la valutazione dei titoli e la concreta esperienza dirigenziale posseduta.
Questa valutazione, sempre in base alla legge, viene effettuata da una Commissione regionale che al termine dei lavori propone al presidente della Regione una rosa di nomi, dalla quale questi “estrae” i soggetti da indicare come direttori generali delle Aziende sanitarie siciliane. Quindi, stando alla norma, tutto dovrebbe essere fatto guardando al merito, valutando titoli e concrete esperienze dirigenziali.
Senonché – denuncia l’onorevole Faraone, un parlamentare di Italia viva, il partito di Renzi – la Commissione regionale preposta alla valutazione dei candidati da inserire nella rosa dei nomi da sottoporre al Presidente della Regione avrebbe impiegato un’ora e quarantacinque minuti per esaminare 102 nominativi. Un minuto per ogni candidato!
Considerato che per potersi iscrivere nell’elenco nazionale occorre essere in possesso di laurea, titoli ed esperienze di gestione, facendo una simulazione mi pare impossibile fare tutto ciò in un minuto. Perché si tratta, per l’appunto, di esaminare la laurea, gli eventuali titoli (diplomi, specializzazioni, pubblicazioni, ecc…) e le concrete esperienze dirigenziali possedute.
Un “lavoro“ che non può richiedere un minuto, almeno occorre impiegare 5-10 minuti. Quindi, o c’è un errore nel verbale sui tempi di valutazione, o siamo in presenza a qualcosa che assomiglia ad una presa per i fondelli. Personalmente propendo per questa seconda ipotesi.
Dico questo perché i giornali delle settimane e dei giorni precedenti alla scelta dei vertici regionali delle aziende sanitarie siciliane erano pieni di resoconti e di cronache di riunioni nelle quali si fa riferimento all’appartenenza del partito x o del partito y, del legame dei prescelti con il potente o i potenti di turno.
Detto quello che c’era da dire sulle scelte dei vertici delle aziende sanitarie siciliane, che continuano a non premiare il merito e la professionalità, e a non risolvere i problemi delle chilometriche liste di attesa e delle strutture sanitarie dell’entroterra siciliano; vengo adesso al merito dell’altra questione di cui volevo parlare.
Il peso della guerra sull’agricoltura: aumenti ormai insostenibili
Il prezzo pagato dagli agricoltori italiani dopo tre anni di guerra è salatissimo; anche a seguito degli aumenti dei costi di produzione, che complessivamente sono cresciuti del 21 per cento.
Basti pensare che il costo dell’energia è aumentato del 66 per cento e il prezzo del gasolio agricolo è cresciuto del 22 per cento.
Ricordo – tra l’altro – che sugli agricoltori italiani incombe in questi giorni anche il pericolo dei dazi al 100 per cento sui fertilizzanti che verranno introdotti dall’Unione europea per proteggere l’industria dei fertilizzanti.
Una misura, quest’ultima, che si tradurrà in un ulteriore aumento dei costi degli agricoltori dal 20 al 100 per cento. Considerato però che le conseguenze della guerra non sono solo quelle che si ripercuotono sugli agricoltori e sui consumatori, ma sono soprattutto i morti, le atrocità, le devastazioni di città e campagne, personalmente spero che questa follia finisca al più presto.
Pertanto oggi parlare di alzare la spesa militare dall’1,9 ad almeno il 3 per cento del Prodotto interno lordo mi sembra una follia. Un ritorno ad un passato che sembrava dimenticato, un ritorno alla corsa agli armamenti. Dico questo anche perché non corrisponde alla verità il fatto che la Russia spende in armamenti più dell’Europa.
A dirlo non sono io, nè Peppe Nappa, bensì l’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica, diretta da Carlo Cottarelli, uno studioso serio che non può essere accusato di simpatie putiniane.
L’Osservatorio al riguardo ci dice, numeri alla mano, che il sorpasso della Russia sull’Europa in tema di armamenti non corrisponde alla realtà: la spesa militare europea nel 2024 (a parità di potere d’acquisto) ha toccato i 730 miliardi di dollari; il 58 per cento in più dei 462 spesi da Mosca.
Esaminando solo le spese militari dell’Europa a 27 stati viene fuori che l’UE spende 574,5 miliardi di dollari contro i 462 della Russia.
Pertanto aumentare la spesa al 3 per cento del Prodotto interno lordo equivale ad aumentarla del 50 per cento rispetto alla spesa della Russia.
Alla luce di tutto questo penso che la cosa migliore sia quella di concentrare tutti gli sforzi sul cessate il fuoco. Ma come si può arrivare alla pace? Come dovrebbe iniziare a muoversi l’UE che – in questi tre anni non ha fatto nulla per attivare o assecondare un’iniziativa diplomatica? E davvero il neo-eletto presidente degli Stati Uniti Donald Trump potrebbe spostare l’ago della bilancia verso il cessate il fuoco?
Ne parleremo insieme questa sera! Non ci resta che darvi appuntamento alle ore 20.00 con la nostra prima visione trasmessa sulla nostra pagina Facebook, sul nostro canale Youtube, e sui nostri altri canali social. Non mancate!
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