Se la scelta delle scuole superiori amplifica i problemi delle università

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Pochi giorni fa, per la prima volta nella mia storia di genitore, nella scuola di mio figlio, in terza media, è stata inviata una circolare con un’argomentata e accorata presentazione, con tanto di brochure allegata sulla filiera tecnologico-professionale “4+2”. Si tratta di un nuovo indirizzo di scuola superiore in istituti tecnici e professionali per conseguire un diploma in 4 anni e con la possibilità di proseguire altri 2 anni per un’ulteriore specializzazione tecnica. Questo indirizzo è stato scelto da 5449 studenti, circa l’1%, ovvero 8,6 studenti per classe: pochini considerando che ne servirebbero 25 per attivare una classe nelle scuole che hanno aderito alla filiera. I dati appena pubblicati dal Ministero dell’Istruzione indicano che, nonostante gli sforzi di promozione, questo nuovo corso di studi non ha incontrato gli interessi delle famiglie italiane. È andata anche peggio al percorso “Made in Italy” previsto in 92 scuole in tutta Italia. Ci sono state solo 375 iscrizioni, meno dello 0,1% di quanti, quest’anno, hanno dovuto scegliere la scuola superiore. In media poco più di 4 studenti per classe. I dati del Ministero dell’Istruzione sono inequivocabili e non possono essere considerati come un successo. È stata anche prospettata la possibilità di ridurre il numero minimo di studenti per attivare una classe: cosa molto bella che sarebbe da fare in tutte le scuole perché se vogliamo formare meglio i nostri ragazzi le classi dovrebbero avere 15-20 studenti e non 26-30 come ora. Questi progetti, immaginati per creare un percorso professionale utile a valorizzare prodotti ed eccellenze italiane o per formare nuove professionalità, non hanno riscosso la fiducia necessaria per giustificare l’investimento in capitale umano (i professori) e i costi. Ma il punto è un altro. Ogni proposta deve rispondere a un progetto formativo.

Perché offriamo sempre più corsi, sempre più indirizzi e sempre più varietà di offerta? Ma a cosa servono? E ancora: a quale progetto rispondono? Da genitore di tre figli che vanno alla scuola media, superiore e università noto una panoramica di offerte formative anche troppo ampia. Ai miei tempi (che suona un po’ di antico) c’era il liceo scientifico, il classico, le magistrali e gli istituti tecnici, senza fronzoli. Non è un rimpianto, solo una constatazione. Non credo che l’ampliamento dell’offerta formativa alla scuola secondaria sia molto utile agli studenti; si tratta di marketing acchiappa studenti tra scuole in competizione. Tuttavia, a logica, se promuoviamo gli istituti tecnici stiamo dicendo ai nostri studenti che riteniamo che il loro futuro sia legato ad una professione per lavorare già a 18 o 20 anni, come dimostrato dal fatto che negli istituti professionali trionfa l’alberghiero.

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Se volessimo aumentare il numero di figure professionali di alto profilo dovremmo spingere per i licei, in particolare quelli a carattere scientifico, che preparino gli studenti ad un percorso universitario. Ma è questo che vogliamo? Sembra di no.

E come sono i dati italiani rispetto ad altri Paesi? Non esiste un dato omogeneo per tutta Europa, tuttavia, i dati italiani vedono i licei scelti dal 57–58% degli studenti e gli istituti tecnici da circa il 30% degli studenti. In Europa, i percorsi equivalenti ai nostri licei vengono scelti dal 75–80% degli studenti mentre solo il 20–25% opta per il percorso equivalente all’istituto tecnico italiano. Guardando ai paesi più vicini a noi: in Spagna, il 60–70% opta per il bachillerato (il nostro liceo), mentre il restante 30–40% sceglie percorsi di formazione professionale. Il sistema tedesco prevede una distinzione tra il Gymnasium, analogo al liceo, e le scuole tecnico-professionali che si dividono a metà gli studenti. Il nostro vero obiettivo dovrebbe essere, a mio avviso, quello di colmare la distanza tra il numero di laureati che produciamo in Italia e quello prodotto nelle più avanzate democrazie del mondo, a partire dall’Europa. L’Italia è ultima dei G7 per percentuale di laureati tra i 25 e i 34 anni (attorno al 30%), mentre Paesi come Canada e Giappone superano il 60%. L’Italia nell’UE è ancora sotto la media europea (42-44%) e resta fra gli Stati membri con i valori più bassi. Se l’obiettivo fosse quello di orientare il più possibile i nostri studenti delle superiori verso l’università dovremmo pensare a scelte diverse dal promuovere gli istituti tecnici. Se analizziamo i dati relativi ai laureati italiani siamo numericamente ancora molto deboli nelle discipline scientifiche mentre abbiamo una percentuale alta di laureati in legge, economia o altre materie umanistiche. Ma per essere competitivi dobbiamo puntare all’innovazione tecnologica scientifica dalla medicina all’ingegneria, dalle scienze ambientali a quelle fisiche e chimiche. L’idea di una scuola che cerchi di spingere verso la formazione di profili tecnici di livello non elevato, non credo possa corrispondere agli obiettivi di un Paese, come l’Italia, che ambisce a restare tra le più grandi potenze economiche industriali del Pianeta.

*Ecologo. Università Politecnica delle Marche Presidente della Fondazione Patto con il Mare

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