LA FASCINAZIONE DELLA DESTRA PER PUTIN

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di Pierluigi Castellani

Sono molti oramai gli indizi che portano a concludere che la destra, sia europea che quella trumpiana, subisce il fascino della Russia di Putin ed il recente e clamoroso duro scontro tra Zelensky e Trump nello studio ovale della Casa Bianca ne è, caso mai , una conferma. Il perché ciò avvenga può essere ricercato in molte ragioni. Innanzi tutto nella destra europea sta nel non  aver accettato fino in fondo le forme della liberaldemocrazia ritenendole un intralcio all’esercizio del potere da chiunque rivestito. Questo avviene anche perché la destra, soprattutto quella europea, non ha fatto fino in fondo i conti con la cultura del retaggio neofascista  , che dall’inizio l’ha informata. Lo si vede nella suggestione nei confronti dell’autoritarismo, nella necessità di un capo, nella nascita e nel proliferare  di partiti personali legati ad un capo , che li domina e che offre sicurezza e rifugio. Così è per il partito di Orban in Ungheria, per il partito di Marine Le Pen anche se  il suo rappresentante alla convention repubblicana di Washington ha lodevolmente rifiutato di parlare dopo l’ostentazione del braccio destro alzato da parte Steve Bannon, per lo spagnolo Vox con il suo fondamento neofranchista e così, almeno in parte, anche nella lega di Salvini di cui è difficile dimenticare che voleva scambiare più di un Mattarella per mezzo Putin. Ma c’è ben altro e lo si può rivedere  in quanto è avvenuto in Russia  dove Putin nella ricerca di ancorare il suo partito ad un deposito culturale e nazionalistico, pur non dimenticando di essersi formato nel Kgb, lo ha fatto riscoprendo l’imperialismo zarista e nella suggestione della gran madre Russia sotto il cui ombrello sono vissuti anche i paesi satelliti e servendosi del deposito culturale della chiesa del patriarca Kirill, che, ricordiamo, ha benedetto l’invasione dell’Ucraina, come una santa guerra contro il corrotto Occidente. Di questa suggestione per la identità russa ci sono storicamente esempi anche nella vastità della letteratura russa. Basta rileggere un racconto di Nikolay Gogol’ come Tarass  Bul’ba per meglio comprenderlo. Gogol’, pur di origine ucraina, è pienamente assorbito dalla fedeltà alla identità russa e narra la guerra dei cosacchi ucraini di Tarass Bul’ba contro i polacchi cattolici, insidiosi alla frontiera, per la difesa della identità e tradizione russa e della chiesa ortodossa che cementa quella identità. Alla nostra memoria va comunque   la benedizione dei gagliardetti da parte di alcuni prelati ai tempi del fascismo. Putin non potendo evocare il comunismo ha siglato un’alleanza con la chiesa di Kirill per dare sostanza all’esercizio del suo incontrastato potere rispolverando, in modo però sbilanciato verso l’esecutivo, le antiche teocrazie dei secoli scorsi, che mai hanno portato frutti fecondi alla pace ed alla concordia tra i popoli. Del resto la destra di oggi, che si professa filoputiniana, sta facendo in altri termini la medesima operazione. Nella destra sia trumpiana che europea, c’è il sovranismo ed il primato dello stato-nazione, nel confronto politico e , in modalità diverse negli Usa, c’è il contornarsi di compiacenti chiese del variegato universo del protestantesimo americano come dimostra la foto di Trump nello studio ovale circondato da rappresentanti delle tante chiese che negli Usa hanno abbondantemente proliferato. E sul versante europeo?  Mentre è evidente il richiamo in tutte le destre all’esasperato nazionalismo ed al sovranismo è più difficile trovare questo fenomeno di identificazione con una chiesa se non nella comune avversione alla chiesa di Bergoglio, che dichiarandosi cattolica e quindi universale non può prestarsi a qualche vassallaggio nei confronti del potere. C’è quindi questa matrice, che è anche culturale, a  legare l’ idea di stato forte suffragata da un cemento culturale di vaga ispirazione teocratica  a fare emergere questa medesima identità di vedute tra le destre, che le subordina a subire la suggestione per il capo dl Cremlino. Questo comporta anche un nuovo posizionamento degli Usa e dei suoi alleati, anche involontari, nel nuovo preoccupante contesto geopolitica in cui stiamo vivendo.



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