le radici nere non gelano mai

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La liturgia, sempre la stessa: “Camerata Mantakas”, “Presente”. Il rito, immutato. Tramandato da un secolo, ripreso dai neofascisti in democrazia sullo stile delle camice nere che onoravano i caduti dei fasci di combattimento.

In via Ottaviano, davanti alla storica sezione che fu del Movimento sociale italiano, anche quest’anno è andata in scena la commemorazione di Mikaeli Mantakas, per i camerati semplicemente Mikis il greco. Barbaramente ucciso il 28 febbraio 1975 da due estremisti rossi. Ma nessuno ha davvero mai pagato per questo omicidio. Mezzo secolo fa, tanto è trascorso da quel delitto politico cui seguì una scia di vendetta.

Presente

La liturgia del ricordo ha seguito un copione ormai noto, come per Acca Larentia: la mattina la sfilata istituzionale davanti alla targa con inciso il nome del ragazzo, tra i presenti alcuni esponenti di Fratelli d’Italia, incluso Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera. Di sera, intorno alle sette, un centinaio di neofascisti in blocco: «Per il camerata Mantakas», «Presente», e braccia tese verso il cielo. Tra i nostalgici anche gruppi di camerati stranieri, greci in particolare. A sancire la rete internazionale dei movimenti neofascisti.

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Ancora una volta, quindi, le anime della destra sociale, quella di palazzo e quella più nera si incrociano in uno dei templi sacri della loro storia comune. Il 7 gennaio ad Acca Larentia, il 28 febbraio a Prati. Sempre a Roma, ogni anno.

«Perché le radici non gelano», ripete sempre chi sta al governo, che non riesce, al di là di timide prese di distanza dai saluti romani, a recidere i fili che legano il presente conservatore al passato neofascista. «Venivano a prenderci fino nelle sedi, sotto scuola, negli atenei, sapevano che sarebbero rimasti impuniti perché protetti dal sistema…Volevano ammazzarci tutti, politicamente e fisicamente… Siamo ancora qui e qui resteremo, ciao Mikis», scriveva Rampelli sui social il 28 febbraio dell’anno scorso. Dimenticando di ricordare la rappresaglia che i nuclei armati rivoluzionari, quelli condannati per la strage di Bologna del 2 agosto 1980, portarono a termini dopo i fatti di Acca Larentia, nel 1978, a tre anni esatti dall’uccisione di Mantakas.

«Il 28 febbraio di quell’anno, i Nar uccisero a Roma Roberto Scialabba, nell’anniversario della morte di Mantakas. Scialabba fu scelto a caso tra un gruppo di ragazzi», spiega Davide Conti, storico esperto di neofascismo e consulente delle procure che hanno indagato sulle stragi fasciste. Da Acca Larentia a Ottaviano, due sedi unite dal sangue e dalla vendetta. «Martire europeo, anche in suo ricordo continuiamo la nostra battaglia per non consegnare l’Europa a burocrati e poteri forti», lo ricordava così Giorgia Meloni nel 2019.

Fuan

L’agguato a Mantakas davanti alla sede dell’Msi di via Ottaviano seguì a una giornata di durissimi scontri tra neofascisti e estremisti rossi, che volevano impedire la manifestazione dei primi davanti al tribunale della capitale in occasione del processo contro gli assassini (militanti di Potere Operaio) dei fratelli Mattei, morti nel rogo di Primavalle nel 1973. Mantakas era un giovane militante del Fronte universitario d’azione nazionale, il Fuan, l’articolazione degli studenti legata al Fronte della gioventù e al Movimento sociale italiano.

In quegli anni nel Fuan sono cresciuti i futuri dirigenti della destra sociale di governo e anche i terroristi neri che aderiranno con convinzione alla lotta armata nei Nuclei armati rivoluzionari (quelli della strage di Bologna) e in Terza Posizione (il cui leader era Roberto Fiore, ora a capo di Forza Nuova).

Il Fuan romano con base alla facoltà della Sapienza era conosciuto con il nome di Fuan Caravella. Un nome che ci riporta ai nostri giorni, a via della Scrofa 39, la sede del partito Fratelli d’Italia e anche della fondazione Alleanza nazionale. Proprio la fondazione, che detiene gli immobili in uso alla formazione fondata da Meloni, ogni anno organizza il premio Caravella. Lo hanno ricevuti in molti: dalla premier a gruppi rock identitari che scrivono testi di lotta con riferimenti al neofascismo.

L’ideatore del riconoscimento è Domenico Gramazio, considerato il pontiere tra Fratelli d’Italia e i movimento neofascisti come Casapound: c’è lui dietro l’accordo, svelato da Domani, che ha permesso agli estremisti neri di acquistare la storica sezione di Acca Larentia con un contributo a fondo perduto della fondazione filogovernativa, ritenuta la cassaforte immobiliare del partito della presidente del consiglio.

Il Fuan è stata una terra di mezzo. Di certo attraversata da molti diventati poi, molti anni dopo, esponenti apicali di Fratelli d’Italia, per esempio Rampelli. O altri le cui strade si sono separate dopo la fine di Alleanza nazionale, come Maurizio Gasparri e Gianni Alemanno. L’elenco è lungo.

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Il Fuan però è stato anche un incubatore di estremisti duri e puri. «Il Fuan della sezione di via Siena 8, a Roma, è stata la sede dell’attività politica dei Nar», dice Conti, «Giusva Fioravanti e Francesca Mambro e molti altri erano tutti lì. E non a caso la sede di via Siena viene chiusa dall’autorità giudiziaria dopo l’omicidio del militante di Lotta Continua Walter Rossi, nel 1977, e riaperta dopo qualche giorno. Viene chiusa perché si immaginava che da li venissero assassini di Rossi».

Un altro camerata dal Fuan romano era Alessandro Alibrandi, tra i fondatori dei terroristi dei Nar, ucciso durante uno scontro a fuoco con la polizia. «Le sezioni dove si ritrovavano i militanti del Fuan sono un esempio del rapporto spurio mai formalizzato tra gruppi neofascisti e la destra sociale istituzionale», prosegue Conti. Tra la figure che hanno ricoperto ruoli di vertice nel Fuan troviamo anche Pierluigi Concutelli, tra i fondatori di Ordine Nuovo, al centro di trame misteriose e killer, condannato all’ergastolo, del giudice Vittorio Occorsio, era uscito dal carcere nel 2011 ed è deceduto da uomo libero nel 2023.

C’è poi un altro aspetto che riguarda la figura di Mantakas. Il ragazzo greco raggiunse l’Italia negli anni in cui ad Atene era terminata da poco la dittatura dei colonnelli. «Il rapporto tra Movimento sociale e il regime greco è il non detto di questa vicenda. Cosa aveva portato un ragazzo greco a militare nei neofascisti italiani? Quel legame con il mondo della Grecia dei colonnelli», aggiunge Conti.

«I rapporti sia di Ordine nuovo sia dell’Msi con la dittatura greca erano solidissimi, si organizzavano viaggi, per esempio, per formare i militanti dell’Msi. Già il fatto che il partito lasciasse formare i suoi militanti da una dittatura è sufficiente a capire il contesto».

Le radici non gelano, appunto.

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