Pnrr, solo il 30% delle risorse spese. L’allarme Assonime: il piano non sostiene il pil italiano

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Dice il proverbio: mal comune, mezzo gaudio. Deve crederci anche il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, convinto che «non in Italia ma in Europa la scadenza del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza a giugno 2026 verrà rivista per il caro-materiali, il caro-energia e le guerre».

Nessuno del governo di Giorgia Meloni, di cui Salvini è uno dei due vicepremier, però vuole pronunciare quella parola da tempo sulla bocca di tutti quelli che si occupano a vario titolo del Pnrr. La parola è: ritardo. Tutti gli esponenti del governo magnificano al contrario i risultati raggiunti, a cominciare dal ministro Tommaso Foti, che ha sostituito Raffaele Fitto, nominato commissario a Bruxelles. «Sono convinto che arriveremo a raggiungere tutti gli obiettivi anche se ci sono tanti gufi sulla strada», ha dichiarato giusto una settimana fa.

Assonime: speso solo il 30% del totale delle risorse Pnrr

Fra gli uccelli del malaugurio è senza dubbio da annoverare pure la Corte dei Conti, a cui lo stesso Foti con una proposta di legge presentata recentemente vorrebbe spuntare le unghie e che nelle sue relazioni non smette di segnalare il problemino della lentezza nella spesa dei soldi del Pnrr. Sempre fra le righe, s’intende, dopo aver preso subito qualche bacchettata per l’eccessivo zelo.

Adesso ai gufi si aggiunge l’Assonime (l’associazione fra le società per azioni presieduta da Patrizia Grieco), che difficilmente può essere accusata di pregiudizi nei confronti dell’attuale esecutivo. La sua analisi, appena pubblicata, non è propriamente trionfalistica. «La quantità di risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza già ricevute e l’avanzamento dell’assegnazione delle risorse ai circa 270 mila progetti registrati contrastano ancora con il modesto progresso nel loro utilizzo in termini di spesa», è scritto nel rapporto.

Che poi aggiunge: «Secondo quanto riportato sul sito Italia Domani sulla base dati Regis, al 13 dicembre 2024 risultavano spesi soltanto 58,6 miliardi di euro, circa il 30% del totale delle risorse del Pnrr a disposizione». Dunque «restano da spendere 135,8 miliardi di euro entro il 2026». Significa che per rispettare la scadenza del 30 giugno 2026 il ritmo della spesa nell’ultimo anno e mezzo (ormai un anno e quattro mesi) dovrebbe accelerare a 7,5 miliardi di euro al mese o 251 milioni al giorno.

Oltre metà della spesa effettuata è stata assorbita dagli incentivi fiscali

A giudicare dai numeri, tuttavia, quell’obiettivo non sembra molto vicino. «Dei 42 miliardi pianificati sul sistema Regis per il 2024, ridotti a soli 22 miliardi nelle stime del governo inserite nell’ultimo documento programmatico di bilancio», rileva l’Assonime, «al 13 dicembre 2024 risultavano spesi 13,5 miliardi di euro, circa il 32% di quanto programmato per l’anno appena concluso».

Il fatto è che per l’80% delle misure la «spesa rendicontata» non raggiunge neppure il 30% delle «risorse stanziate». E l’elemento che forse meglio di qualunque altro è in grado di far comprendere lo stato dell’arte è che oltre metà della spesa materialmente effettuata è stata assorbita dagli incentivi fiscali: 31,2 miliardi di euro. Di questa somma, 16 miliardi sono andati alle imprese. Gli altri 15 miliardi sono stati invece destinati a famiglie e soggetti privati, principalmente per gli ecobonus: in questo caso la spesa ha raggiunto il 100% programmato addirittura con molti mesi di anticipo.

Ritardi registrati in tutti i settori

Assai diversa è la situazione, per esempio, per i lavori pubblici, dove secondo i numeri riportati nella relazione la spesa avrebbe raggiunto appena il 21% del budget: 16,7 miliardi, cifra appena superiore a quella già assorbita per gli incentivi fiscali alle imprese.

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Per Assonime la spia dei ritardi che si registrano pressoché in tutti i settori (con l’esclusione appunto dei benefici fiscali concessi ai privati) è nei dati della rendicontazione della spesa relativa ai progetti la cui conclusione era prevista entro la fine dello scorso anno. Si tratta di 150.276 progetti (su un totale di 269.282 mila registrati). Ebbene, per 117.003 di questi la spesa non sarebbe stata ancora rendicontata. E «se tale dato riflette effettivamente l’avanzamento del progetto», conclude il rapporto, «si può stimare che nel 78% dei casi si sono riscontrati ritardi nell’attuazione».

Il Pnrr non alza il pil 

Tutto ciò non può che riflettersi anche sulla crescita economica dell’Italia. Il rapporto ricorda come l’Ufficio Parlamentare di Bilancio abbia già ridimensionato dal 3,4 al 2,9% la stima dell’impatto cumulato degli investimenti del Pnrr sulla crescita del prodotto interno lordo nazionale.

«Se in linea con le ultime previsioni dell’Upb la crescita del pil dovesse risultare a consuntivo nel 2024 pari allo 0,7% e allo 0,8% nel 2025, sarebbe evidente che a più di tre anni dal suo avvio l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza non sembra produrre gli effetti sostanziali sulla crescita economica che ci si attendeva», è il commento dell’Assonime. «Sebbene abbia indubbiamente contribuito a sostenere la ripresa dopo la pandemia, il suo impatto positivo sul potenziale di crescita, che rappresentava uno degli obiettivi principali del Pnrr, appare finora modesto».

Le ragioni sarebbero diverse. Intanto l’efficacia delle riforme previste dal Piano, che potrebbe risultare limitata a causa delle note carenze strutturali della pubblica amministrazione in Italia. Ma soprattutto la scelta, tutta politica, di distribuire a pioggia i fondi del Pnrr a una miriade di progetti piccoli e piccolissimi con effetti concreti assai limitati sull’economia del Paese. (riproduzione riservata)



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