Quanto inquinano le pale eoliche

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Amezza Italia girano le pale: dall’Umbria alla Calabria passando per la Sardegna – dove la presidente «in bilico» Alessandra Todde (dipende da come va nei prossimi giorni l’udienza sui contributi elettorali non certificati e che potrebbe sancirne la decadenza) è alle prese con un raro esercizio di cerchiobottismo in fatto di rinnovabili – monta la protesta contro i cosiddetti parchi eolici. Si tratta in realtà di foreste di acciaio e vetroresina popolati da giganti di 200 metri d’altezza, con colate di tonnellate e tonnellate di ferro e cemento che sfrattano alberi secolari, che distruggono habitat delicatissimi, che accerchiano aree archeologiche in nome di una riconversione energetica più ecologica. Le comunità che si battono contro questi mulini a vento sembrano Don Chisciotte e la politica, soprattutto i partiti di sinistra assai accondiscendenti all’ideologia «verde», assomigliano a Sancho Panza.

È successo così poche sere fa alla Comunanza agraria di Cancelli, nei pressi di Foligno, provincia di Perugia. Siamo sui contrafforti dell’Appennino umbro-marchigiano. La leggenda vuole che lì si fermarono gli apostoli Pietro e Paolo e, per ringraziare dell’ospitalità, concessero ai discendenti maschi della famiglia Cancelli di «segnare la sciatica». Da secoli si arriva fin lassù per farsi guarire da questa infiammazione dei nervi, tra pecore minacciate oggi da lupi, tra torri che risalgono al Mille, tra foreste di lecci e ulivi. Ebbene là, e in una fascia di territorio che va da Gualdo Tadino a Comunanza con particolare concentrazione a Foligno, Sellano, Assisi, Trevi, vogliono istallare oltre 100 generatori a vento, sconfinando nel parco regionale di Colfiorito e in quello nazionale dei Monti Sibillini. La petizione che vi si oppone ha già raccolto settemila firme. Nel confronto con gli amministratori e la neopresidente della Regione Umbria Stefania Proietti (Pd con afflato francescano, dunque si presume molto ambientalista) pareva appunto di leggere Cervantes, con i cittadini nel ruolo del cavaliere della Mancha e con i politici in quello del suo scudiero: «Guardi bene la signoria vostra, soggiunse Sancho, che quelli che colà si discoprono non sono altrimenti giganti, ma mulini da vento, e quelle che le paiono braccia sono le pale delle ruote, che percosse dal vento, fanno girare la macina del mulino. Ben si conosce, disse don Chisciotte, che non sei pratico di avventure; quelli sono giganti, e se ne temi, fatti in disparte e mettiti in orazione mentre io vado ad entrar con essi in fiera e disugual tenzone»…

Già: la politica è bloccata tra l’ascolto delle giuste ragioni della popolazione e l’obbedienza, e spesso la convenienza, al dettato ambientalista. Succede così anche in Sardegna con la pentastellata Todde che sotto la pressione dei cittadini – sono state raccolte 20 mila firme contro le pale eoliche – dichiara «la nostra regione sarà quasi tutta area non idonea per l’eolico»; ma poi dice no al referendum e soprattutto si vede bocciata dal Consiglio di Stato la norma di salvaguardia per impedire l’installazione degli impianti. Le contraddizioni a sinistra sui «mulini a vento» sono le più evidenti. Il Parlamento europeo – con un convintissimo sostegno del Partito democratico – ha fissato già da due anni al 42,5 per cento dei consumi la quota minima obiettivo di energia da fonti rinnovabili al 2030, con un obiettivo auspicabile del 45 per cento. Significa fotovoltaico ed eolico ovunque. Ma poi a livello locale ci sono continue defezioni dai progetti per realizzare queste strutture. In Puglia, dove l’alta velocità ferroviaria è stata bloccata trent’anni per non disturbare il Fratino, che è un uccello migratore, e anche oggi i treni devono rallentare per questa ragione nel tratto Pescara-Bari, da più di un secolo aspettano il raddoppio della ferrovia Termoli-Lesina: ma tale collegamento non si può realizzare, si sostiene, per non «ferire» l’ecosistema. Peccato che, appena si scollina da Poggio Imperiale, la foresta di pale eoliche appare nella sua immensità e strangola proprio il lago di Lesina. Le autorizzazioni per una simile costruzione le ha concesse la giunta regionale di Michele Emiliano, a trazione integrale Pd; ma ora lo stesso partito non vuole il parco eolico off-shore (in mezzo al mare) davanti a Foggia. In questo coacervo di contraddizioni chi va a nozze sono gli installatori che hanno piazzato i loro «mulini a vento» ovunque. In Italia se ne contano già 7.500, per una potenza di 12.500 megawatt: Puglia, Campania, Calabria, Basilicata, Sicilia e Sardegna ne ospitano quasi l’80 per cento ed è evidente che ora l’offensiva si sposta in Appennino. Da qui la «rivolta» in Maremma, Umbria, Marche, Abruzzo e sulle montagne reggiane.

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È però difficile fermare il vento con le mani. Anche perché secondo l’Europa da oggi a cinque anni l’Italia dovrebbe installare 70 gigawatt di rinnovabili. Supponendo che un terzo di questi derivi da eolico significa immaginare almeno altre 5.300 pale (ognuna produce, se sfruttata bene, al massimo quattro megawatt all’anno). Ma si tratta davvero di energia pulita? Non del tutto o forse quasi per niente e contro questo «inganno» si scagliano le proteste. Ogni pala eolica – che ha una vita media di circa 20 anni e dopo la scadenza è un problema smaltirla – occupa un ettaro di terreno e pesa 80 tonnellate. Le pale vere e proprie sono lunghe circa 40 metri, le torri alte 200. Per sostenere ogni struttura occorre una gettata di almeno 500 metri cubi di calcestruzzo ad alta resistenza (400 tonnellate) a cui si aggiungono 100 tonnellate di ferro. Senza considerare i disboscamenti per realizzare le strade di accesso necessarie e l’inquinamento prodotto da camion e cantieri. La turbina ha poi bisogno di 80 litri di olio lubrificante, che si estrae da 12 mila litri di petrolio. Va cambiato e smaltito una volta all’anno. Ogni «mulino» è composto come minimo per 15 per cento da vetroresina. Sono circa 19 tonnellate di materiale che si disperdono nell’ambiente. A tutto ciò si aggiunge il rumore. Un impianto di medie dimensioni genera circa 45 decibel, il traffico veicolare ne fa 70. Ma cento pale che girano insieme significano 4.500 decibel e in zona appenninica vuol dire desertificare di animali e uccelli un’area vasta almeno mille ettari. Per i verdi duri e puri sono solo numeretti, ma per chi da secoli pascola le greggi tra boschi millenari e castelli che hanno sfidato e fatto la storia è tutto un altro paio di maniche. Maniche oramai «a vento».

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