La crescita della disuguaglianza economica degli ultimi decenni non dipende tanto dalla globalizzazione o dall’automazione, quanto dalla crescita del potere di mercato delle grandi multinazionali innescato dalle innovazioni tecnologiche.
Questa è la tesi di un importante libro di Mordecai Kurz (professore emerito di economia a Stanford), “The Market Power of Technology” pubblicato nel 2023 dalla Columbia University Press.
La ricchezza monopolistica
Perché cresce il potere di mercato e, quindi, la possibilità di praticare prezzi ben superiori ai costi? Le grandi innovazioni conferiscono ai loro creatori un vantaggio competitivo e, di conseguenza, potere di mercato che può essere ampliato e consolidato utilizzando varie strategie, tra le quali la creazione di una serie di brevetti attorno all’innovazione iniziale per impedire l’ingresso di concorrenti e l’acquisizione della tecnologia dei concorrenti al fine di svilupparla o sopprimerla, poiché potrebbe rappresentare una potenziale minaccia.
Solo per fare due esempi, Microsoft in trent’anni ha acquisito 237 imprese, Google in vent’anni 236. La possibilità di attuare queste strategie dipende dall’ordinamento giuridico e, quindi, dalle politiche pubbliche.
Le leggi sui brevetti e sui segreti industriali stabiliscono il livello di protezione garantito agli innovatori. La politica antitrust determina quali innovatori sono autorizzati a consolidare il proprio potere, ad esempio acquisendo imprese concorrenti.
La lettura comunemente proposta è che il potere di mercato associato al controllo di una tecnologia sarà di breve durata: la concorrenza promuoverà alternative tecnologiche superiori. Le conseguenze della protezione legale garantita alle innovazioni sarebbe quindi un piccolo prezzo da pagare per godere dei grandi benefici del progresso.
La tesi di Kurz è che, invece, il potere di mercato degli innovatori tende a consolidarsi, il meccanismo della distruzione creativa della concorrenza non funziona e quel potere va ben oltre la durata della protezione legale garantita a una particolare innovazione.
Potere di mercato e Gilded Age
L’indicatore cruciale usato per quantificare il potere di mercato è la ricchezza monopolistica: la differenza tra il valore di mercato di un’impresa (la capitalizzazione in Borsa) e la ricchezza netta (il valore degli asset dell’impresa). Differenza che riflette l’aspettativa di futuri profitti monopolistici in eccesso del costo del lavoro e del capitale.
La tesi della persistenza del potere di mercato delle grandi società tecnologiche viene illustrata nel libro con un esempio che riguarda un gruppo di sette grandi società (tra cui Microsoft, Apple e Google) create tra il 1975 e il 1999. Nel 2019, a una distanza di tempo dall’innovazione iniziale compresa tra venti e quarantacinque anni, la ricchezza monopolistica costituiva per queste imprese l’83,3 per cento di un valore di mercato totale pari a 3.572 miliardi di dollari.
Guardando al complesso del settore delle società di capitali americane, le stime di Kurz dal 1959 al 2019 sono impressionanti: il rapporto tra la ricchezza da monopolio e il valore di mercato delle imprese era vicino a zero nel 1985 ed è salito a circa il 75 percento nel 2019.
La ricchezza da monopolio è un’immagine delle aspettative di profitto. Kurz propone anche una stima di lungo periodo (dal 1889 al 2017) della dinamica della quota dei profitti effettivi sul reddito totale, distinguendo nel reddito da capitale la componente dei profitti da quella della remunerazione del capitale investito.
All’inizio degli anni ’80 la quota dei profitti sul reddito totale del settore societario americano era di circa il 6 per cento. Da allora è cresciuta costantemente raggiungendo il 24 per cento nel 2017. Corrispondentemente sono scese (di diciotto punti) le quote del lavoro e del capitale. Un livello così alto della quota dei profitti ha un precedente nel 1901, all’apice della prima Gilded Age (Età dorata) americana (che va dalla fine della Guerra di secessione ai primi anni del XX secolo).
Il parallelo con la nostra epoca è lo stesso messo in evidenza dal lavoro di Picketty e Saez sulla disuguaglianza della distribuzione del reddito personale. Cosa unisce queste due fasi così distanti nel tempo? Secondo Kurz l’emergere di innovazioni rivoluzionarie, come la macchina a vapore, l’elettricità o Internet, che cambiano il paradigma tecnologico (Kurz le indica come “tecnologie ad uso generale”).
Quando emerge un nuovo paradigma (un evento raro), si apre un periodo di turbolenza. Le imprese esistenti che utilizzano le vecchie tecnologie possono competere, reinventarsi e sopravvivere. Alcune imprese più vecchie non riescono ad adattarsi e scompaiono. Nascono nuove imprese che diventano leader della nuova tecnologia e godono di un potere di mercato persistente. Una seconda categoria comprende tutte le nuove imprese che utilizzano la nuova tecnologia per innovare con applicazioni che trasformano diversi settori dell’economia.
Anche se, in una fase successiva, dovesse emergere un concorrente superiore e un monopolista tecnologico fosse rimpiazzato dall’innovazione di un rivale, il vincitore sarebbe semplicemente un nuovo monopolista. Indipendentemente dal fatto che l’impresa esistente sia riuscita ad adattarsi alla nuova tecnologia o che sia stato il concorrente a conquistare il mercato, il risultato è che, in fasi di rapido progresso tecnico, consumatori e fornitori si trovano di fronte a una sequenza di imprese riorganizzate e talvolta nuove, dotate comunque di potere di mercato.
In sintesi, la competizione tecnologica è caratterizzata da pochissimi leader e, eventualmente, da qualche ritardatario. Non assomiglia mai al modello di concorrenza perfetta, con la sua moltitudine di imprese atomistiche.
Le politiche pubbliche
Il potere di mercato non ha conseguenze solo sulla distribuzione del reddito ma anche sull’efficienza (come è ben noto agli economisti). Le strategie di difesa da concorrenti potenziali rallentano la creazione di innovazioni.
Ma, soprattutto, la possibilità di praticare prezzi molto più elevati dei costi rallenta la diffusione delle nuove tecnologie. Questo aspetto è ben documentato nel libro da un’ampia illustrazione del ruolo della General Electric nel rallentare la diffusione dell’elettricità negli Stati Uniti nei primi decenni del secolo scorso.
Veniamo alla politica pubblica. Durante la Gilded Age il potere delle istituzioni democratiche americane si era molto indebolito: si diceva che J. P. Morgan fosse più potente del Presidente. Il punto di svolta è l’avvento di Theodore Roosevelt con la sua visione a favore di un forte intervento regolatorio dello Stato che portò tra l’altro al rafforzamento delle norme antitrust e alla costituzionalità dell’imposta sul reddito.
Nel nostro caso, la svolta, di segno opposto, si ha con la presidenza Reagan, la riduzione dell’aliquota di imposta sui redditi più elevati (dal 70 al 28 per cento) e sulle società (dal 46 al 34 per cento) e la spinta alla deregolamentazione e all’indebolimento della politica antitrust.
Oggi il tema è trovare un punto di equilibrio tra favorire l’innovazione (con la protezione legale) e contrastare le tendenze monopolistiche. Le proposte che Kurz avanza alla fine del libro si concentrano sulla riforma dell’antitrust, soprattutto per limitare le acquisizioni attraverso le quali innovazioni di altre imprese amplificano nel tempo il potere del monopolista.
Oltre a ciò sarebbe fondamentale una riforma della tassazione, aumentando in misura sostanziale l’aliquota dell’imposta personale sui redditi più alti e articolando l’imposta sulle società in modo da tassare in modo distinto la remunerazione del capitale investito e i profitti di monopolio. L’alternativa è lasciare crescere ancora la disuguaglianza e deprimere ulteriormente le quote di lavoro e capitale sul reddito, con esiti, conclude Kurz, alla lunga incompatibili con la democrazia.
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