Il vertice di Washington tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky, con la firma prevista sull’accordo tra USA e Ucraina sulla sfruttamento delle terre rare nell’ex repubblica sovietica, avrebbe dovuto rappresentare una tappa sulla via dell’ulteriore coesione fra i due Paesi; nella prospettiva di Kiev avrebbe dovuto essere un passo fondamentale per un’alleanza più solida e un supporto maggiore da parte degli Stati Uniti in vista di futuri negoziati con la Russia per la risoluzione del conflitto. L’incontro alla Casa Bianca si è trasformato invece per il presidente ucraino in un fallimento e, al di là delle ragioni per le quali è avvenuto, il disastro diplomatico indebolisce in maniera evidente la posizione ucraina sul tavolo delle relazioni bilaterali e nel contesto delle prossime possibili trattative sulla fine della guerra.
Lo scontro tra i due presidenti, con la partecipazione rumorosa da un parte del vice JD Vance e dall’altra quella immobile di Andrei Yermak, alter ego di Zelensky, ha messo in evidenza quanta distanza ci sia tra Washington e Kiev sul modo di trovare un’intesa: se da una parte Trump ha scardinato sia nei modi che nella sostanza la tattica, a dire il vero poco marcata nei suoi obbiettivi finali, del suo precedessore Joe Biden, uscendo dalla rappresentazione aggressore-aggredito e dando la precedenza a quello che ha ripetuto essere un “deal”, un accordo non basato sul passato, ma sul presente, dall’altra Zelensky ha mantenuto in sostanza la narrazione, sostenuta anche dai leader europei, della guerra imperialistica russa, con Mosca che dopo l’Ucraina vorrà spingersi ancora più a ovest: per il presidente ucraino l’Occidente, Stati Uniti compresi, non dovranno giungere quindi a compromessi con la Russia e fornire garanzie assolute di sicurezza all’Ucraina.
È questa la linea che Zelensky sostiene ormai da mesi, da quando cioè la situazione sul terreno è sensibilmente peggiorata e, anche a causa dell’assottigliamento della quantità e della qualità degli armamenti occidentali, si è avviata la discussone internazionale sulla possibilità di chiudere il conflitto. Kiev, appoggiata in questa ottica dall’Unione Europea, ha dovuto aprire per forza di cose la porta al possibile dialogo, ma di fronte all’accelerazione impressa dalla nuova amministrazione statunitense è rimasta spiazzata a causa della cornice fornita fin troppo chiaramente e a tinte forti anche nello Studio ovale: gli Stati Uniti si considerano in questa fase più un arbitro che un giocatore e Donald Trump è più un “dealmaker” che un alleato militare. Alla base ovviamente la nuova dicotomia, superata quella aggressore-aggredito, vale a dire quella vincitore-sconfitto.
Davanti a quella che è tutto sommato la realtà della guerra, che per l’Ucraina e gli alleati occidentali in questo momento appare impossibile da ribaltare, ed è proprio per questo che si va verso i negoziati, Volodymyr Zelensky ha adesso ancora minore spazio di manovra: la strategia adottata con Biden e l’UE nei primi anni di guerra è servita a difendere il Paese, ma non è bastata per respingere la Russia oltre i confini del 2014, come dichiarato nel primo piano di pace presentato nell’autunno del 2022. Dopo 36 mesi di combattimenti, allo stato attuale, Trump sembra orientato a chiudere la partita in fretta, mascherando la sconfitta, o comunque la non vittoria, con un “deal” alla sua maniera. L’Unione Europea, nonostante l’appoggio dichiarato a Kiev, sembra inoltre non solo divisa, ma impossibilitata a sostituirsi agli USA nel caso di un disimpegno totale.
A Zelensky non resta molta scelta, se non quella di assecondare le posizioni statunitensi, cercando di influenzare ancora a proprio favore la road map verso la pace, con l’appoggio di Bruxelles e qualche leader europeo, con la consapevolezza del fatto che il peso specifico maggiore e decisivo al tavolo delle trattative sarà quello di Washington. Per il presidente ucraino si tratta quindi di incanalarsi su un binario molto stretto, alla fine del quale, o durante il viaggio, ci sarà il rischio di deragliare: il piano di Trump a grandi linee è quello che prevede nelle prossime settimane e mesi il cessate il fuoco, la revoca della legge marziale e le elezioni in Ucraina, la firma finale al trattato di pace con la Russia. Se questa sarà la strada davvero verso la pacificazione, e non è ancora detto che lo diventi, viste le troppe incognite e i falchi che su tutti i lati soffiano sul fuoco per il prolungamento del conflitto, Volodymyr Zelensky dovrà affrontare presto nuove sfide: quelle interne. Perso evidentemente il supporto della Casa Bianca, desiderosa di cambiare cavallo anche in corsa, ha ancora quello dell’Europa, ma a Kiev i malumori corrono da tempo e il presidente non è più intoccabile come è stato nei primi due anni del conflitto. Il suo futuro è legato alla conclusione della guerra, quando per l’Ucraina si dovrà aprire prima o poi un nuovo, complicato, capitolo.
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