Guyana protesta con il Venezuela per l’incursione di una nave nelle acque contese, gli Usa minacciano conseguenze

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Il presidente della Guyana, Irfaan Ali, ha denunciato un’incursione di una nave armata venezuelana nelle acque contese che ospitano un giacimento di petrolio offshore al cui sviluppo sta lavorando la compagnia petrolifera statunitense ExxonMobil, che ha scoperto il giacimento nel 2015 e iniziato a svilupparlo nel 2019. “Questa incursione è motivo di grave preoccupazione (…) I confini marittimi della Guyana sono riconosciuti dal diritto internazionale. Si tratta di uno sviluppo grave che riguarda il territorio marittimo della nostra nazione. Non tollereremo minacce all’integrità territoriale”, ha detto il presidente guyanese in un discorso televisivo trasmesso ieri. Il leader ha precisato che il pattugliatore venezuelano è stato identificato come Abf Guaiquerì Po-11 (Imo 4695542), appartenente alla Guardia costiera.

Ali ha riferito che il suo governo ha avvisato gli alleati, a cominciare dagli Stati Uniti, e convocato l’ambasciatore del Venezuela a Georgetown per trasmettergli una protesta formale. La questione è stata portata all’attenzione, oltre che degli Usa, del Regno Unito, della Francia, del Sistema di sicurezza regionale e della Comunità caraibica (Caricom). Sono in corso interlocuzioni anche col Brasile e con San Vincenzo e Grenadine, mediatore dell’Accordo di Argyle. Inoltre, sarà informata la Corte internazionale di giustizia (Cig). Al tempo stesso il presidente ha assicurato che il suo governo “non sta agendo precipitosamente”.

A sostegno della Guyana si è espresso il dipartimento di Stato Usa, attraverso il suo ufficio per gli affari dell’emisfero occidentale. “La minaccia rappresentata dalle navi militari venezuelane all’unità galleggiante di produzione, stoccaggio e scarico (Fpso) di ExxonMobil è inaccettabile e costituisce una chiara violazione del territorio marittimo della Guyana riconosciuto a livello internazionale. Ogni ulteriore provocazione avrà delle conseguenze per il regime di Maduro. Gli Stati Uniti ribadiscono il loro sostegno all’integrità territoriale della Guyana e al lodo arbitrale del 1899”, si legge in una dichiarazione pubblicata sulla piattaforma X.

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Anche l’Organizzazione degli Stati americani (Osa), in un comunicato, ha condannato “inequivocabilmente” la condotta del Venezuela, definendola un atto di “intimidazione”, una “chiara violazione del diritto internazionale” e una minaccia alla pacifica coesistenza. L’Osa ha ribadito il sostegno alla sovranità e all’integrità territoriale della Guyana e ha esortato Caracas a cessare le “manovre aggressive”, che acuiscono la tensione nella regione, e a rispettare il diritto. Infine, ha invitato la comunità internazionale a esercitare la vigilanza.

La risposta venezuelana è arrivata con un comunicato del ministero degli Esteri. “Il governo del Venezuela respinge categoricamente le dichiarazioni infondate del presidente della Guyana”, argomentando che le acque in questione “non fanno parte del territorio guyanese” ma sono “una zona marittima in attesa di delimitazione in base al diritto internazionale”. Ali, definito “lo Zelensky caraibico”, viene accusato di “imprecisioni, falsità e contraddizioni”, una “provocazione” che mette a rischio la pace nella regione. Per Caracas è “inammissibile” che la Guyana sfrutti un territorio oggetto di una controversia giuridica. A questo proposito ribadisce di ritenere l’Accordo di Ginevra del 1966 “l’unico meccanismo legale” valido e la sua volontà di difendere “con fermezza” i propri diritti da questa “aggressione”.

L’episodio di ieri è stato preceduto, due settimane fa, da un altro incidente: il 17 febbraio sei militari delle forze di sicurezza della Guyana sono rimasti feriti in uno scontro a fuoco con presunti membri di una banda criminale venezuelana non lontano dalla frontiera tra i due Paesi. Le Forze armate della Guyana (Gdf) hanno riferito che uomini armati e mascherati hanno attaccato un convoglio militare che navigava sul fiume Cuyunì, diretto alla base di Eteringbang. “Dopo lo scontro a fuoco, gli assalitori si sono ritirati, non prima però che vari membri delle forze di sicurezza soffrissero ferite di proiettili”, si legge in una nota. A seguito dell’accaduto le Gdf hanno deciso di “rinforzare” la presenza nella zona. L’assalto è attribuito a un “sindacato”, il nome comunemente attribuito alle organizzazioni che hanno la loro principale attività nell’estrazione illegale dei minerali. La zona è compresa nel cosiddetto Territorio Essequibo, una regione ricca di risorse naturali oggetto da tempo di una contesa territoriale tra Guyana e Venezuela.

Georgetown difende un confine territoriale stabilito nel 1899 da un tribunale arbitrale a Parigi, quando la Guyana era ancora una colonia britannica. Caracas rivendica l’Accordo di Ginevra, firmato nel 1966 con il Regno Unito prima dell’indipendenza della Guyana, che pose le basi per una soluzione negoziata e annullò il trattato del 1899. Il Venezuela ritiene che il confine naturale tra i due Paesi sia il fiume Esequibo, oggi margine orientale del Territorio. Nonostante la contrarietà del Venezuela, che in un primo tempo ammetteva la sola possibilità di un arbitrato bilaterale, il caso è dal 2018 nelle mani della Corte internazionale di giustizia. Respingendo una serie di obiezioni di Caracas, il tribunale Onu ha confermato di avere i titoli per decidere sulla contesa, avviando l’esame del merito.

La questione della sovranità è tornata di prepotente attualità nel 2015, quando il gigante statunitense Exxon Mobil ha annunciato la scoperta di giacimenti di petrolio nella zona marittima. Il braccio di ferro è ripartito dopo la decisione della Guyana di indire una nuova serie di aste petrolifere. Per Caracas tale manovra – rimandando agli interessi di Exxon Mobil nella zona – è prova di una ingerenza diretta degli Stati Uniti. Diversi analisti mettono in questo senso in risalto l’importante svolta rappresentata dalla messa in funzione, a metà novembre 2023, della Unità galleggiante di produzione stoccaggio e scarico “Prosperity”, la terza Fpso di ExxonMobil nell’area, potenzialmente in grado di spingere la produzione nazionale a 620 mila barili al giorno, cifra che potrebbe insidiare quella della stessa Venezuela. Caracas ha avviato un’offensiva politica e mediatica, nonché giudiziaria, con un’inchiesta aperta dalla procura generale su una denuncia penale nei confronti del presidente della Guyana.

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