I russi odiano le auto russe (e cinesi). E pregano per il ritorno dei prodotti europei e della tecnologia americana

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La grandezza della Russia può valere anche molti morti, e perfino tante rinunce, ma sembra che il troppo inizi ad essere troppo anche per molti russi, tanto che dopo 3 anni di sacrifici, inizia a serpeggiare una sempre più evidente nostalgia per i prodotti occidentali, ed in particolare europei, che riempivano la giornata di molti russi, anche se solo occasionalmente. Ed è probabilmente questo fattore che spiega l’entusiasmo che stanno vivendo i russi, dopo le aperture di Trump, o meglio, le sue generose concessioni, insieme al rinvigorito sentimento di nazionalismo, di cui due terzi dei russi si imbeve, con grande piacere.

E’ questo il sentiment che si percepisce leggendo diversi articoli della stampa russa, da cui emerge, qua e là, l’ammissione che i prodotti russi e cinesi, sostitutivi di quelli occidentali, non sono un granché, e che la voglia di merci di qualità, finora repressa per il bene della patria e di Putin, sta prendendo il sopravvento.

Un primo segnale in tal senso si intuisce dalla notizia, piuttosto clamorosa, pubblicata dal quotidiano economico Kommersant il 25 febbraio, secondo la quale, dopo l’aumento di scorte di auto invendute di macchine cinesi, è ora il turno di quelle russe, ovvero del suo marchio più noto, la Lada (la cui fabbrica, va ricordato, fu costruita dalla Fiat nell’Urss negli anni ’60), oggi AvtoVAZ, il cui stock di auto invendute ha raggiunto quota 100mila. Nell’articolo si apprende poi che vi sarebbero, secondo alcune stime, almeno 400mila auto straniere (ossia cinesi) nuove invendute in Russia, ed il motivo è facile intuirlo.

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In effetti, le macchine cinesi e russe, pur assicurando il servizio dello spostamento, non riescono ad offrire quello che per i russi era invece il primo motivo di acquisto di una bella macchina nuova, ossia lo status symbol. Chiunque abbia un minimo di conoscenza dei discendenti di Tolstoj, sa bene che andare in giro con macchine lussuose tedesche, o con Suv giapponesi, è sempre stato motivo di soddisfazione e di orgoglio, e, almeno fino allo scoppio della guerra, e al conseguente obbligatorio nazionalismo, a nessuno in Russia veniva in mente che fosse improprio vantarsi di un bene occidentale come una bella auto.

Va detto che il problema delle scorte, di auto, così come di altri prodotti, è molto più serio in Russia che da noi, visto che lì, con i tassi di interessi al 20%, il capitale circolante (che in parte è rappresentato dalle scorte), essendo finanziato da prestiti, determina un costo enorme in termini di interessi da pagare alle banche. Non sorprende quindi che Maxim Sokolov, presidente di AvtoVAZ, intervistato dalla giornalista di Kommersant, Natalia Miroshnichenko, abbia definito “allarmante” la situazione del mercato automobilistico russo, tanto più che la sua azienda ha programmato la produzione di 500mila auto per il 2025, mentre le vendite mensili si stanno attestando intorno alle 25mila unità.

Ecco dunque che il direttore di AvtoVAZ, Maxim Sokolov, si lascia andare a questo appello sconfortante: “Dobbiamo riflettere seriamente su quali misure occorre adottare insieme, per evitare un declino già drammatico”.

Se dunque gli automobilisti russi stanno presumibilmente attendendo il ritorno delle macchine occidentali, i costruttori russi dichiarano apertamente che, nonostante le dichiarazioni degli esponenti del Cremlino, né le imprese russe, né quelle cinesi, sono riuscite a sostituire i materiali da costruzioni e le componenti per l’edilizia europee, almeno in termini qualitativi e di prezzo.

A dirlo è un articolo di Kommersant, uscito il 27 febbraio, a firma di Daria Andrianova, nel quale si riporta che “la quota di fornitori cinesi e locali [nel campo dell’edilizia, ndr] è cresciuta in modo significativo, ma contrariamente alle aspettative, ciò non ha consentito di ridurre, o addirittura mantenere, i costi di costruzione. Spesso i materiali e i beni edili cinesi sono piĂą costosi di quelli europei, e l’impiego di attrezzature asiatiche richiede costi aggiuntivi per il loro adattamento o ammodernamento”.

Insomma l’alleanza tra Russia e Cina sta, con tutta evidenza, risultando conveniente solo a quest’ultima, che essendosi trovata un mercato, quello russo, tornato quasi vergine, ossia con poca concorrenza (per la riduzione delle importazioni dall’Europa e dagli altri paesi G7), ne ha approfittato per guadagnare più del solito, vendendo i suoi prodotti di bassa qualità a prezzi perfino superiori a quelli dei prodotti di alta qualità europei.

Che questa sia la situazione lo dicono molti addetti ai lavori russi, a cominciare da Ekaterina Newman, amministratore delegato di Q1 Group (societĂ  russa impegnata nei progetti di costruzione), secondo cui “in assenza di concorrenza, alcuni produttori [cinesi ndr] stanno aumentando i prezzi”, e come, aggiungono i rappresentati dell’azienda edile russa Gals Development Group, “nonostante l’ottimizzazione della logistica, le consegne dalla Cina potrebbero risultare oggi piĂą costose delle consegne dall’Europa avvenute fino al 2022”. Che i costruttori russi erano consapevoli della scarsa qualitĂ  delle componenti per l’edilizia cinesi lo conferma Sergey Korotchikov direttore del dipartimento tecnico di Capital Group, impresa di costruzioni russe, tanto che “i costruttori russi sono stati diffidenti nei confronti dei fornitori cinesi, e per questo hanno condotto un audit su larga scala delle fabbriche [in Cina, ndr] in cui venivano realizzati i prodotti”.

La conclusione è che, come confessa Dmitry Makeenko, partner di Mors Architects, “gli apparecchi idraulici di alta qualitĂ  continuano a essere forniti dall’Europa, e lo stesso vale per particolari tipi di vernici, polimeri, attrezzature ingegneristiche, in particolare pompe ed ascensori, perchĂ© non esistono analoghi prodotti di alta qualitĂ  in altri paesi [Russia compresa, ndr]”.

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Ma al di lĂ  di specifici settori, è in generale molto alta l’aspettativa del ritorno in massa dei marchi europei per i beni di consumo, come testimonia un altro pezzo di Kommersant, uscito il 28 febbraio, nel quale si apprende che “entro la fine dell’anno in corso, la quota dei marchi europei nel volume totale delle nuove aperture di negozi di catene in Russia potrebbe quasi raddoppiare, raggiungendo il 50% nel 2025”, precisando poi però che “tuttavia, è troppo presto per parlare di un ritorno di massa dei rivenditori europei”.

Va precisato che la fonte di questo presunto atteso rientro degli europei nel settore della distribuzione è una società di consulenza, CORE.XP, che non ha però rivelato i nomi delle reti europee della grande distribuzione che intendono (ri)entrare nel mercato russo, ma solo i settori merceologici in cui operano, che sono per il 79% la moda, per il 14% elettrodomestici ed elettronica, per il 7% profumi e cosmetica. Inoltre si indicano i paesi di provenienza dei marchi: Italia, Germania e Francia.

I russi hanno perfino nostalgia dei social americani, come Instagram e Facebook, tanto che Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino, ha ritenuto di intervenire sul tema del ritorno di Meta sul mercato russo, precisando che questo (eventuale) rientro sarà comunque subordinato al rispetto delle leggi russe, che prevedono l’accesso delle autorità al contenuto postato nei vari account (d’altronde è o non è la Russia il Grande Fratello?).

La speranza del ritorno degli occidentali è condivisa anche nel settore minerario ed industriale russo, come conferma un altro articolo di Kommersant del 25 febbraio, in cui si delineano già le forme di collaborazione tra Russia e Usa nel settore della metallurgia, sia con l’acquisto di alluminio russo da parte degli Usa, sia nella valorizzazione americana delle terre rare presenti in Russia.

Il motivo è che, come ammettono fonti del Ministero dell’Industria e del Commercio della Federazione Russa, contattate da Kommersant, oggi la Russia non è in grado di valorizzare i propri giacimenti di terre rare, pur essendo questi presenti in misura abbondante, ed è quindi ovviamente interessata allo sfruttamento congiunto e alla cooperazione tecnologica con gli Usa.

Infatti, come ammette il Ministero delle risorse naturali della Federazione Russa, le riserve totali di 29 metalli rari in Russia ammontano a 658 milioni di tonnellate, ma a febbraio 2025 le riserve confermate di terre rare nei 18 giacimenti russi esplorati ammontano a 28,5 milioni di tonnellate (una piccola frazione del totale, ndr), di cui solo l’1% viene estratto, poichĂ© “in Russia non ci sono capacitĂ  per la lavorazione delle terre rare”, tanto che, secondo il Consiglio nazionale delle ricerche russo, la Russia importa oggi fino al 90% delle terre rare di cui ha bisogno.

Insomma, il digiuno autarchico imposto da Putin ai suoi auto-flagellanti cittadini-sudditi, nonché alle sue ubbidienti aziende, sembra aver stancato tutti quanti a Mosca e dintorni, il cui appetito per beni e servizi di qualità, così come di tecnologie, sta crescendo in linea con le sempre maggiori aperture di credito nei confronti di Putin da parte di Trump, ribadite anche nei recenti incontri di quest’ultimo con Macron e Starmer, ma bisognerà vedere se questa nuova voglia di prodotti europei e tecnologie americane non cozzerà con l’assurda determinazione di Putin (e di una larga parte della popolazione russa) di non cedere le conquiste territoriali effettuate in Ucraina, la cui utilità non è evidentemente nell’incremento dello 0,5% della superficie del territorio russo, bensì nella soddisfazione derivante dal ritorno della Russia fra gli attori della scena mondiale di “prima grandezza”.

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