Giovanni Iannelli muore a 23 anni, contro una colonna di mattoncini rossi priva di transenne a 150 metri dal traguardo. Il video della caduta in volata è sgranato e mosso, ma rende il senso dell’immobilità dopo l’urto. Ne hanno parlato i giornali e, come raccontato nell’articolo di ieri, anche il Ministro dello Sport Abodi. Ne hanno parlato Le Iene, eppure nulla si muove. Solo un giudizio civile per il momento ha condannato gli organizzatori, ma in quella sentenza Carlo Iannelli, suo padre, non ha mai visto il seme della giustizia. Al punto di aver detto più volte che vi rinuncerebbe, a patto che venga celebrato un processo penale.
Nel frattempo continua a scrivere sui social di tutti per richiamare l’attenzione. Come per incatenarsi davanti agli occhi e le coscienze di tutti quelli che, a vario titolo, possono immaginare ciò che accadde in quella casa il 5 ottobre del 2019.
Avvocato Iannelli, l’abbiamo lasciata all’ospedale di Alessandria, ripartiamo dall’ultima domanda: che cosa accade dopo?
Scopro che la corsa è stata approvata dalla struttura tecnica del Comitato Regionale del Piemonte senza i documenti relativi alla sicurezza, obbligatoriamente previsti dal regolamento tecnico.
Come fa a dirlo?
Io c’ero arrivato da me, comunque è scritto nella sentenza del giudizio civile.
Visto che lei ha fatto parte a lungo della macchina federale, capitava spesso che ci fosse questo tipo di mancanze?
Quando ero vicepresidente del Comitato Regionale Toscano, ero tra quelli che nominava il responsabile della struttura tecnica, che all’epoca era Alessandro Rolfi. E Alessandro mi chiamava, anche di notte, e mi diceva: «Carlo, hanno presentato il programma di gara e non ci sono i documenti relativi alla sicurezza». E io gli dicevo: «Alessandro, sospendi tutto. Chiama la società e fa integrare quella documentazione». Perché quei documenti sono essenziali. Significa che la società ha fatto una verifica delle condizioni di sicurezza. Il programma di gara così approvato le consente di fare il giro dei vari Enti interessati dalla manifestazione per chiedere le autorizzazioni.
Cosa ha scoperto per la gara di Molino dei Torti?
In quel caso, il programma di gara viene presentato il 29 agosto 2019 e viene approvato dalla Struttura Tecnica del Comitato Regionale Piemontese. Il responsabile era Luca Asteggiano, anche se lui ha negato di averlo firmato. E’ quel signore che fa il video ed è grande amico di Imere Malatesta, il direttore sportivo di mio figlio, che nel video bestemmia. E che però, quando viene chiamato dai Carabinieri di Lucca per essere sentito sull’accaduto, fa delle dichiarazioni che il Pubblico Ministero richiamerà nel decreto di archiviazione.
Che cosa dice Malatesta?
Nonostante abbia appena perso un corridore, mio figlio, dice che il circuito in questione a suo avviso è semplice. Che non era una gara da considerare pericolosa, poiché sono altre le strade o i tracciati pericolosi. Dice che rientra nella “media” delle gare, che non ha notato anomalie e per questo non ha ritenuto di fare alcuna segnalazione.
Quando ha cominciato a capire che nelle varie versioni qualcosa non tornava?
Subito. Con quei pochi documenti raccolti nei giorni successivi alla morte di Giovanni, ho incaricato Gianni Cantini, un direttore di corsa internazionale e docente in materia di sicurezza alle corse ciclistiche, di prepararmi una relazione tecnica. Dopo una quindicina di giorni sono stato ricevuto dal Pubblico Ministero di Alessandria, Andrea Trucano. L’appuntamento era fissato per le 15. Così la mattina sono andato a Molino dei Torti: non c’ero ancora stato e ho fatto un video in cui si vedono tutti quegli ostacoli mortali. Quella strada è costellata di ostacoli mortali. Farci disputare una volata, ma anche il passaggio dei corridori è una follia.
Cosa le dice il Pubblico Ministero?
Entro nella sua stanza insieme al mio avvocato e sulla scrivania c’è un fascicolo con scritto: Giovanni Iannelli. Trucano lo apre di fronte ai miei occhi e dentro non c’è niente. E’ vuoto, neanche un verbale della Polizia Municipale. E’ morto un ragazzo, gli dico, ma lui mi guarda e solleva le spalle per confermare che è così. Poi mi dice di aver studiato i codici, ma che di corse non sa niente. Così io gli rispondo che siccome mi aspettavo questa sua obiezione, ho portato la relazione di Gianni Cantini.
Che cosa c’è scritto in quella relazione?
Sono 10 pagine in sui si parla di tragedia annunciata. E nella chiusura, Cantini aggiunge che per la sicurezza della gara fosse doveroso fare molto di più di quanto non sia stato fatto il 5 ottobre 2019. Si chiede, anzi, come sia stato possibile che la Direzione di Corsa abbia permesso di dare il via alla gara in assenza delle minime misure di sicurezza necessarie. Non c’erano transenne a sufficienza e non c’erano protezioni per gli ostacoli sporgenti, come quella colonna. E conclude chiedendosi come sia possibile che il verbale di gara del Collegio di Giuria non segnali e non sanzioni alcuna mancanza tecnico organizzativa.
Come si conclude l’incontro con il Procuratore di Alessandria?
A un certo punto, dopo due ore, io e il mio avvocato stiamo per alzarci e il Pubblico Ministero dice che il Procuratore Capo vuole salutarci. Esce dalla sua stanza e rientra dopo pochi secondi con il Procuratore Capo di Alessandria, Enrico Cieri, amico del professor Renato Balduzzi, padrino di quella corsa ciclistica e già Ministro della Salute del governo Monti.
In cosa consiste il saluto?
Enrico Cieri si mette seduto, mentre io probabilmente non parlavo in maniera pacata, diciamo che forse ero un po’ esagitato. E lui dice: «Avvocato, avvocato, non stiamo parlando di criminali. Stiamo parlando eventualmente di organizzatori negligenti». In quel momento ho una strana sensazione, come se il discorso fosse già chiuso. Ma per chiarire se sia stata negligenza o colpa, sarebbe stato interessante avere i tabulati telefonici del 5 ottobre 2019, per capire qualcosa di più su eventuali contatti. Ma i tabulati non li abbiamo visti. Un processo servirebbe a questo: anche semplicemente a fugare ogni sospetto.
Ci sono stati invece dei contatti fra Carlo Iannelli, il papà di Giovanni, e l’organizzatore della corsa in cui il figlio è morto?
Assolutamente no! Ho visto il presidente della società Ennio Ferrari e il sindaco di Molino dei Torti al funerale di mio figlio. Dopodiché non ho più avuto nessun tipo di rapporto, nessuno.
Che cos’altro non torna secondo lei nella ricostruzione ufficiale?
La deposizione del Commissario di Giuria in moto: Giulia Fassina. Per verificarla sarebbe bastato che in Procura avessero periziato il video, da me portato al Pubblico Ministero Andrea Trucano, la prima volta ci sono andato. Gli dissi che avrebbe potuto recuperare il file originale dal telefono di Luca Asteggiano che lo aveva girato e forse su quello la perizia sarebbe stata più agevole. Ma il telefono non è stato preso e il video non è stato periziato. Comunque a prescindere da questo, basta andare sul posto, in via Roma a Molino dei Torti, e mettersi nella posizione dove era Giulia Fassina, cioè in via Luigi Einaudi. Nel video la si vede arrivare con la moto e il casco arancione.
Che cosa ha testimoniato Fassina?
Ha dichiarato che si trovava a 10-15 metri dal punto dell’incidente, quando in realtà i metri sono circa 70 e per giunta era dalla parte opposta della strada. Con il casco in testa, le persone davanti e i corridori che passavano, non può aver visto nulla di così chiaro. Tanto che lei stessa si tradisce e la tradisce anche Luca Botta, il Presidente del Collegio di Giuria, quello secondo cui non c’era nulla da segnalare.
Come la tradisce?
Di fronte alla Procura federale, il Procuratore Nicola Capozzoli fa un’eccezione. Le fa presente che Luca Botta, che si trovava sull’auto del Presidente di Giuria, ha detto che si erano sentiti via radio nell’immediatezza e lei gli avrebbe detto che non aveva visto nulla. Ma davanti alla Procura, Fassina dice che probabilmente Luca Botta si è sbagliato, che lei non gli ha mai detto di non aver visto nulla.
E’ riuscito a ricostruire quanto accadde dopo la caduta?
Il corridore che dà il colpo al manubrio a Giovanni è il dorsale 51, Niccolò Tamussi della Delio Gallina. Cade anche lui e si frattura lo scafoide. Nonostante abbia questa frattura, immagino anche dolorosa, viene preso e portato in una stanza di fronte al Collegio di giuria e gli chiedono cosa sia successo. Poi non lo portano dai Carabinieri, che erano già lì. Lo mandano via, chiudono le porte della stanza, si riuniscono e alla fine la versione ufficiale è quella che Giulia Fassina ripete quando le viene chiesta.
E’ certo che Tamussi non abbia parlato con i Carabineri?
Tamussi è stato contattato da mia figlia Margherita. E in una chat, che ovviamente ho portato alla Procura, le racconta come sono andate le cose. Chat che a quando pare la Procura ha completamente ignorato. Mentre il direttore sportivo di Tamussi prende un pezzo di pedale, che si è frantumato nell’impatto contro la colonna, e va dall’accompagnatore della squadra di mio figlio. Gli dice: guarda che cosa è successo, a Giovanni si è rotto il pedale e per questo è caduto.
Non è possibile?
Guardate le foto della bici e delle scarpe di Giovanni. Quello è un pedale che si è sbriciolato nell’impatto, non un pedale che si è rotto mentre pedalava. A questo si aggiunge la voce di un corridore che era accanto a Giovanni, Dario Salvadori. Quel giorno era in corsa e probabilmente ha continuato a seguire la vicenda. Legge i giornali, legge la storia del pedale rotto, si registra ad una testata online e scrive parole precise. Il senso è: non scrivete cavolate, non è stata la rottura di un pedale a far sbandare Giovanni, quanto piuttosto un corridore che è voluto passare dove non c’era lo spazio. E così facendo ha urtato il manubrio di Giovanni che è partito per la tangente senza neanche avere il tempo per rendersene conto. Io questo ragazzo non lo conosco neanche, sono entrato in contatto con lui, ho portato tutto alla Procura, ma non è successo niente. Di tutto quello che stiamo dicendo ci sono prove documentali, è tutto scritto. Eppure non ci sono orecchie per intendere, capite? Zero. Perché non si deve fare questo processo?
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