Negli oltre 60 anni dall’inizio dell’èra spaziale, l’umanità ha lanciato più di 6.740 razzi, lasciando in orbita circa 56.450 oggetti, secondo i dati dello Space Debris Office dell’Agenzia spaziale europea (Esa). Di questi, solo 10.200 sono ancora funzionanti, mentre il resto è composto da stadi di razzi esauriti, satelliti in disuso e detriti generati da esplosioni e collisioni orbitali.
La sindrome di Kessler
Questo accumulo di spazzatura spaziale sta alimentando un fenomeno noto come sindrome di Kessler, in cui le collisioni tra detriti generano ulteriori frammenti, creando un effetto a cascata che potrebbe rendere l’orbita terrestre sempre più pericolosa. La situazione è destinata a peggiorare, con un numero record di 263 lanci effettuati nel 2023, guidati da Stati Uniti (158) e Cina (68).
Nel 2024 i lanci sono stati 259 e, anche se leggermente inferiori all’anno precedente, l’anno appena trascorso ha visto un lancio ogni 34 ore. SpaceX, un importante fornitore di servizi di lancio, ha effettuato 132 voli nel 2024, rappresentando oltre la metà del traffico di lancio globale. L’impiego di veicoli spaziali militari è aumentato dell’86 per cento, principalmente a causa dei satelliti lanciati da SpaceX per la costellazione Starshield.
Gli Stati Uniti hanno dominato i lanci, superando la Cina di oltre 2 a 1. Con un tasso di collisioni e rotture di circa 10-11 all’anno, il numero di detriti in orbita continua a crescere. Un nuovo studio dell’Università della British Columbia (UBC) avverte che questa situazione aumenta il rischio che i detriti spaziali rientrino nell’atmosfera, con una probabilità del 25 per cento all’anno di entrare nello spazio aereo trafficato.
Guidato da Ewan Wright, dottorando, coadiuvato dai professori Aaron Boley e Michael Byers, lo studio, pubblicato su Scientific Reports, ha analizzato l’impatto dei detriti spaziali sul traffico aereo. Tradizionalmente, il dibattito sui detriti si è concentrato sui rischi per satelliti e stazioni spaziali, ma la ricerca dell’UBC evidenzia un nuovo pericolo: l’interruzione dei voli commerciali.
Sebbene la probabilità che un detrito colpisca un aereo sia bassa (circa 1 su 430mila), il rientro incontrollato di frammenti di razzi e satelliti potrebbe costringere le autorità aeronautiche a chiudere rotte o deviare voli, con costi significativi per le compagnie aeree e i passeggeri. Un esempio recente è l’incidente del 16 gennaio, quando il prototipo Starship di SpaceX è esploso durante il rientro, causando la caduta di detriti sulle isole Turks e Caicos.
Nel 2022, il rientro incontrollato di uno stadio del razzo cinese Long March 5B ha costretto le autorità spagnole e francesi a chiudere parti del loro spazio aereo. Il razzo era stato lanciato per trasportare il modulo Wentian, parte della stazione spaziale cinese Tiangong.
Dopo il lancio, il primo stadio del razzo, invece di seguire una traiettoria di rientro controllato, è entrato in un’orbita incontrollata attorno alla Terra. Questo ha generato apprensione poiché non era possibile prevedere con precisione dove i frammenti del razzo sarebbero caduti al momento del rientro nell’atmosfera.
Fortunatamente, i detriti sono finiti nell’oceano Pacifico, senza causare danni a persone o proprietà. Questi eventi comunque, dimostrano come i detriti spaziali possano rappresentare una minaccia concreta per il traffico aereo, soprattutto in regioni con alta densità di voli. Nel 2023, si sono verificati 120 rientri incontrollati di detriti, mentre oltre 2.300 stadi di razzi esauriti rimangono in orbita.
Con il numero di passeggeri aerei in aumento del 7 per cento quest’anno, secondo l’International Air Transport Association (Iata), il rischio di collisioni tra detriti e aerei è destinato a crescere. I ricercatori dell’UBC suggeriscono di progettare stadi di razzi che rientrino nell’atmosfera in modo controllato, dirigendosi verso aree oceaniche lontane dalle rotte aeree.
Tuttavia, questa soluzione richiede un’azione coordinata a livello internazionale. «I paesi e le aziende non spenderanno soldi per migliorare i loro razzi a meno che non siano obbligati a farlo», ha affermato Byers. «Serve un accordo globale per stabilire nuovi standard».
La ricerca dell’UBC è un campanello d’allarme per governi, agenzie spaziali e compagnie private. Mentre l’industria spaziale si espande, è essenziale adottare misure per mitigare i rischi associati ai detriti spaziali.
Sorprese romane
Uno studio bioarcheologico pubblicato sul Journal of Archaeological Science: Reports rivela sorprendenti differenze nello stile di vita tra gli abitanti urbani e rurali dell’Italia romana durante l’impero. La ricerca, basata sull’analisi dei resti ossei di 110 individui provenienti da due necropoli (una rurale a Contrada Nevola, Corinaldo, e una urbana a Milano), mette in discussione l’idea che la città fosse sempre sinonimo di progresso e benessere. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, lo studio suggerisce che le condizioni di vita nelle aree rurali fossero spesso superiori rispetto a quelle urbane.
Gli abitanti delle campagne godevano di un accesso più equo alle risorse e di una migliore alimentazione, come dimostrato dalla minore presenza di tartaro (26 per cento contro il 42 per cento nei centri urbani) e dalla minore incidenza di infezioni legate a sovraffollamento e scarsa igiene. L’analisi dello stress fisico ha rivelato interessanti differenze di genere nel lavoro svolto nelle diverse aree.
Nelle campagne, gli uomini mostravano segni di lavori agricoli pesanti, mentre le donne erano impegnate in attività domestiche che comportavano il trasporto di pesi sulla testa. Nelle città, invece, la distribuzione degli infortuni era più uniforme tra uomini e donne, suggerendo una maggiore partecipazione femminile al lavoro artigianale e commerciale.
Un’altra sorpresa riguarda la longevità. Nelle campagne, le donne tendevano a vivere più a lungo degli uomini, mentre nelle città accadeva il contrario. Questa differenza potrebbe essere legata a diversi fattori, tra cui la maggiore esposizione delle donne urbane a infezioni, inquinamento e complicanze legate al parto.
Lo studio mette in luce un quadro complesso e affascinante della vita nell’antica Roma, sfidando alcune idee preconcette. Se da un lato le città rappresentavano centri di potere e innovazione, dall’altro le campagne offrivano spesso una qualità di vita superiore, soprattutto per quanto riguarda la salute e la longevità.
Il mistero di Summerville
Una leggenda locale narra di una sfera luminosa che danza sui binari abbandonati nei pressi di Summerville, Carolina del Sud: si tratterebbe del fantasma di una donna in cerca del marito, tragicamente scomparso in un incidente ferroviario. Ma una sismologa dell’US Geological Survey, Susan Hough, propone una spiegazione altrettanto affascinante, seppur meno eterea: la Luce di Summerville potrebbe essere un raro fenomeno geologico noto come “luce sismica”.
Queste luci, osservate in tutto il mondo sotto diverse forme – sfere, scintille, colonne – rimangono un enigma per la scienza. Vanno da bagliori simili ad aurore boreali a lampi improvvisi, sfere luminose o colonne di luce. I colori più comuni sono il bianco, il blu e il verde, ma sono stati osservati anche il rosso e l’arancione. La loro durata varia da pochi secondi a diversi minuti e possono manifestarsi a distanza di ore o giorni dall’evento sismico principale.
Nonostante diverse teorie, tra cui l’accensione di gas sotterranei come metano o radon, o scariche dielettriche causate da movimenti delle faglie (come dettagliato dal sismologo giapponese Yuji Enomoto in uno studio del 2024), un meccanismo universalmente accettato non è ancora stato individuato. Ora però in un articolo pubblicato su Seismological Research Letters, Hough esplora come la combinazione di faglie superficiali, una ferrovia abbandonata e le leggende locali di Summerville potrebbero fornire indizi cruciali per la ricerca di faglie attive negli Stati Uniti orientali.
La scienziata, impegnata con Roger Bilham dell’Università del Colorado nello studio della faglia responsabile del devastante terremoto di Charleston del 1886 (Summerville si trova a pochi chilometri a nord ovest), ha iniziato a indagare sulle origini terrene delle luci dopo aver letto una newsletter dell’Usgs (Servizio geologico degli Usa) dedicata alla “scienza spettrale”. «Lavorando a Charleston, avevo questa vaga idea, ma non ci avevo mai pensato seriamente», afferma Hough. «Poi mi sono ricordata delle storie di fantasmi di Summerville».
Un’analisi approfondita di articoli di giornale, libri locali e dati sismici ha rivelato che gli avvistamenti della Luce di Summerville sembrano coincidere con un periodo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, in prossimità di tre terremoti di magnitudo tra 3.5 e 4.4 avvenuti nel 1959 e 1960. L’ipotesi di Hough è che i terremoti superficiali abbiano rilasciato gas idrosolubili come radon o metano, innescati poi da elettricità statica o dal movimento delle rocce. Anche se la ferrovia non era in funzione durante gli avvistamenti, le rotaie e i detriti metallici presenti sul sito avrebbero potuto generare scintille.
«Dal mio lavoro a Charleston so che i vecchi binari, quando venivano sostituiti, non venivano sempre rimossi», spiega Hough. «Ci sono ancora mucchi di metallo lungo il tracciato». La presenza di nebbia nelle notti degli avvistamenti potrebbe essere spiegata dalla capacità di questi gas di rimanere intrappolati in goccioline d’acqua. Hough sottolinea che questa rimane un’ipotesi speculativa, ma potenzialmente verificabile attraverso rilevatori di gas o studi sulle faglie superficiali.
L’aspetto più intrigante è che queste leggende potrebbero rappresentare un metodo insolito per individuare zone sismiche non riconosciute in aree a bassa attività. Storie simili, infatti, si ritrovano anche in altre località, come nei pressi di Wilmington, Carolina del Nord. «Ci sono moltissime faglie nella parte orientale degli Stati Uniti», conclude Hough, «ma il problema è identificare quelle attive. Se riuscissimo nell’intento, molti fantasmi svanirebbero nel nulla, ma saremmo più preoccupati dei possibili sismi a venire».
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