Prato, processo alla mafia cinese in stallo: mancano gli interpreti

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L’allarme lo aveva già lanciato il procuratore Luca Tescaroli: “Servono agenti madrelingua e un albo di interpreti cinesi

Dopo anni di indagini, il processo contro i clan della mafia cinese a Prato rischia di naufragare a causa di continui problemi. Prima i difetti di notifica, poi i faldoni spariti, ora la mancanza di traduttori per le intercettazioni telefoniche in lingua cinese. Tutto ha inizio con il procedimento nato dall’operazione “Chinatruck” del 2018, che aveva portato all’arresto di 25 persone, tutte accusate di appartenere a un’organizzazione criminale di stampo mafioso operante tra il 2010 e il 2013 nel distretto pratese. Il fulcro delle accuse riguardava il controllo dei trasporti su gomma, ma dietro questa attività si celava un intreccio di reati che spaziavano dall’usura alle estorsioni, dallo sfruttamento della prostituzione al traffico di droga. Con le attività investigative prima, e il processo poi, le dinamiche portate alla luce avrebbero dovuto certificare in maniera definitiva l’esistenza della mafia cinese in Italia e la sua operatività. Peccato che il procedimento giudiziario si stia trasformando in quello che sembra essere un vero incubo. Ora, infatti, il problema più insormontabile sembra essere proprio la mancanza di interpreti in grado di tradurre le conversazioni intercettate. Un elemento centrale dell’impianto accusatorio che, senza una traduzione ufficiale, rischia di perdere valore probatorio, compromettendo l’intero processo. In particolare, servirebbero interpreti per i dialetti Fujian Wenzhou, quest’ultimo il più diffuso all’interno della comunità cinese di Prato. Nel frattempo, la figura principale di questa inchiesta, Zhang Naizhong, considerato il “capo dei capi” della presunta organizzazione criminale cinese, è stato assolto dall’unica accusa specifica che gli era stata mossa: l’usura. L’intera indagine, avviata ormai più di dieci anni fa, ha cambiato più volte mano tra i magistrati, accumulando rinvii e ostacoli di ogni genere. E pensare che, nel 2018 – ha ricordato “La Nazione” – l’allora procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho aveva paragonato la situazione di Prato a quella di Corleone, suggerendo che la criminalità cinese fosse organizzata e pervasiva come la mafia siciliana.


Tescaroli: “Servono interpreti e agenti madrelingua”

Un possibile spiraglio per superare l’impasse giudiziaria potrebbe arrivare dalle proposte già avanzate dal procuratore di Prato, Luca Tescaroli, che a gennaio scorso, durante un’audizione in Commissione parlamentare d’inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, ha sottolineato l’urgenza di strumenti più efficaci per contrastare le pratiche illecite e l’infiltrazione della criminalità organizzata cinese. Tra le varie soluzioni indicate, anche la creazione di un albo di interpreti cinesi affidabili e indipendenti, selezionati con criteri stringenti per garantire la loro imparzialità e professionalità. Un’innovazione utile per le indagini e i processi, in grado di allonanare situazioni paradossali come quella che sta paralizzando il procedimento di Prato. “La criminalità organizzata – ha ribadito Tescaroli durante l’audizione – non è la stessa di quarant’anni fa”. Oggi, infatti, le capacità di interazione e di sodalizio criminale, anche con organizzazioni di matrice straniera, sono aumentate in maniera significativa. Anche per questo motivo, il procuratore di Prato ha suggerito di potenziare la presenza di personale di origine cinese all’interno delle forze dell’ordine, attraverso il reclutamento di ispettori, assistenti e marescialli madrelingua. Una strategia che, se attuata, consentirebbe di colmare il divario linguistico e culturale che spesso rallenta o addirittura compromette le indagini, rendendo più efficace il lavoro investigativo.

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