La storia si ripete, dicevano i saggi. Ancor più saggio, però, sarebbe adoperarsi per non concederle il bis e, se possibile, non farla scadere in farsa. Ragion per cui, quando sento qualche voce levarsi dal centrodestra e criticare la candidatura di Peppino Ciresa nel 2020 e la gestione della fase operativa di quella campagna elettorale, mi chiedo se ci sia malafede, malavoglia o solo malasorte.
Chiunque abbia un minimo di esperienza nel ramo (anche se paragonare le campagne elettorali degli anni ruggenti a quelle odierne è come confrontare caviale e paté d’olive), sa perfettamente che il centrodestra nel 2020 non ha perso nè per il candidato che ha mancato il traguardo per qualche briciola, nè per qualche balbettante trovata dell’ultima settimana. Bensì sui tempi.
I tempi in politica sono l’elemento più obliquo e scivoloso, il più complesso da dominare. Sbagliare tempi significa non solo pagare lo scotto sulla propria pelle, ma concedere intere praterie agli avversari. E’ esattamente quanto accaduto nel 2020. Alla diapositiva di un Mauro Gattinoni trionfante nella sua piazzetta di Acquate il primo febbraio, si era mestamente contrapposto un freddo comunicato congiunto dei partiti di centrodestra, quaranta giorni dopo (più o meno come nostro Signore nel deserto). Un giorno più tardi, però, eravamo tutti in zona rossa. E chi avrebbe più pensato alle urne davanti alla processione di bare? Morale della favola, prima del Covid Gattinoni ha avuto tre mesi di sostanziale libertà d’azione (perché il suo nome girava già da dicembre), mentre l’annuncio di Peppino è come non fosse mai avvenuto. I lecchesi hanno scoperto della sua candidatura quattro mesi più tardi, ai primi di luglio, durante la sua prima uscita pubblica. Altro che tempismo.
Fatti i debiti conti, è come se il centrosinistra fosse sceso in campo già per il riscaldamento, l’arbitro avesse fischiato l’inizio della partita e il centrodestra avesse calcato il terreno di gioco solo a metà secondo tempo. Per carità, il mio Milan di Istanbul conferma tristemente che bastano sei minuti per perdere una Coppa Campioni già ampiamente in bacheca, ma non è sempre Natale. E per il centrodestra quei trentun voti al ballottaggio dimostrano proprio che la fortuna aiuta gli audaci, non i ritardatari.
Di qui, la mia domanda: forse che il centrodestra ha deciso di concedere una fotocopia di questa sventurata pagina?
Più semplicemente, da commentatore che si nutre della cronaca, vorrei solo assistere a una battaglia equilibrata e scoppiettante. Non allo stillicidio di candidati bruciati del 2020 o, sempre per citare l’ultima tornata locale, all’imbarazzante elenco di passi indietro (roba che dalle Caviate si sarebbe arrivati a Rivabella) di tanti possibili sindaci in pectore.
La realtà dei fatti è che Gattinoni e compagnia cantante sono già in campagna elettorale da mesi, da quando il Pd cittadino lo ha ricandidato nonostante il dissenso interno animato da personaggi non di seconda fila.
Lo sono anche da quando la cifra comunicativa del sindaco ha virato dagli annunci all’elenco di risultati (fateci caso, nelle note stampa e nei discorsi il tempo del futuro è stato ampiamente soppiantato dal passato prossimo). Insomma, il Pd, come il biblico Esaù, ha bruciato le tappe rinunciando alla primogenitura della coalizione per il piatto di lenticchie di un nuovo mandato.
E a destra? La montagna delle ambizioni politiche nei giorni scorsi ha partorito un topolino che più topolino non si può. “Iniziamo a sondare i nomi dei consiglieri comunali”. Ma come, gli stessi consiglieri comunali che lasciano il palcoscenico al centrosinistra, che ostinatamente si imbizzarriscono sui temi meno noti e cari ai lecchesi? Da lì dovrebbe uscire il candidato in grado di battere una giunta uscente che ha potuto contare sui fiumi di denaro del Pnrr? Perché non puntare su una opposizione grintosa e puntuale nello stile di “Appello per Lecco” che invece non ne lascia passare una a quella stessa maggioranza alla quale al ballottaggio fornì una borraccia d’acqua, come si usa al Giro d’Italia con il capitato.
Ai posteri l’ardua sentenza. Anzi no, la valutazione è già piuttosto semplice anche per i contemporanei.
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