“Contro che cosa si era battuto il Signore? Contro la menzogna, l’ipocrisia, la schiavitù, l’usurpazione del potere da parte di delinquenti e ladri. Contro tutto quello che maggiormente ci disgusta, che ha disgustato molti prima di noi e disgusterà molti dopo di noi. Non aveva chi potesse sostenerlo, cose come i nostri meeting erano proibite, gli ‘omon’ (unità speciali antiterrorismo della polizia russa dipendenti dal Ministero dell’Interno della Federazione Russa e, in passato dell’Unione Sovietica, ndr.) lo tormentavano con le lance, i mass media erano sotto il controllo dei farisei, al potere c’erano dei furfanti con proprietà immobiliari all’estero.
E dei dodici che componevano il comitato centrale del suo partito, uno era un provocatore, un traditore che si era venduto per soldi e si era messo al servizio della Sezione ‘E’ del tempo. I malvagi distrussero tutto quello che era stato fatto. I discepoli furono costretti a rinnegarlo. Lui stesso fu torturato e ucciso. E tutto crollò e calarono le tenebre. Cosa sono tutte le nostre ‘difficoltà’ ed i nostri ‘problemi’ in confronto a ciò che ha dovuto provare lui? Ma il Bene, la Giustizia, la Fede, la Speranza e la Carità ebbero comunque la meglio”.
Partiamo da questa frase che Aleksej Naval’nyj scrisse nel periodo pasquale 2014, ora raccolto nel volume ‘Io non ho paura, non abbiatene neanche voi’, curato da Marta Carletti Dell’Asta e da Adriano Dell’Asta, che insegna Lingua, cultura e letteratura russa all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia, già direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Mosca dal 2010 al 2014, e presidente dell’associazione ‘Russia cristiana’, a cui chiediamo di raccontarci la situazione dei diritti umani in Russia ad un anno dalla morte di Aleksej Naval’nyj, avvenuta il 16 febbraio 2024:
“Se è possibile, peggiora ogni giorno di più. A metà gennaio, gli stessi avvocati di Naval’nyj sono stati condannati a pene detentive tra i tre e i cinque anni, sotto l’accusa di far parte di un’organizzazione ‘estremista’, ma in realtà unicamente per aver svolto le loro mansioni professionali. Alla fine del luglio scorso, un prigioniero di coscienza come il pianista Pavel Kušnir è morto facendo uno sciopero della sete in prigione. Altri detenuti, come lo storico Jurij Dmitriev, sono gravemente malati e non ricevono assistenza adeguata. E potremmo continuare a lungo”.
‘Ecco la ricetta (breve) della felicità: scegliere qualcosa che si ama molto, privarsene per un po’ e poi riprenderla. Solo ricordatevi che questo non si applica alle persone: dimostrate sempre amore alle persone che vi sono care’: quale era la ricetta della felicità di Naval’nyj?
“Lo diceva lui stesso in uno dei suoi messaggi dalla prigione: ‘ho un immenso e raro privilegio nella Russia di oggi: dico ciò che ritengo giusto e faccio ciò che considero necessario’: la felicità per lui era essere uscito dal regno della menzogna di regime e dire la verità, quale che fosse il costo, perché l’uomo è felice se realizza se stesso nel suo servizio ai figli, alla famiglia, alla sua gente, per costruire, lo diceva ancora lui stesso, la bellissima Russia del futuro”.
Giorni fa è stato il primo anniversario della sua morte: è vero che in Occidente non lo si è ricordato abbastanza?
“Non direi che lo si sia ricordato poco: grandi quotidiani e televisioni gli hanno dedicato servizi anche importanti. E’ tuttavia vero che molto spesso si è rischiato di dimenticare il cuore della sua testimonianza: Naval’nyj è stato sicuramente un oppositore politico ma, soprattutto, come gli riconosceva un grande difensore dei diritti civili dell’epoca sovietica, è stato un ‘dissidente di classe’, intendendo con questa espressione un uomo che aveva lottato innanzi tutto non per degli ideali astratti o per qualche idea politica particolare, ma per la verità dell’umano nella sua interezza e aveva capito che per sostenere una simile battaglia, in una situazione come quella russa attuale (dove chi si oppone al regime rischia letteralmente la vita), bisognava avere una motivazione capace di andare ben oltre l’immediato e approdare all’eterno.
Nelle commemorazioni, pur importanti, si è avuto molto pudore a ricordare questa ispirazione esplicitamente religiosa del suo agire, un’ispirazione che però non è frutto delle nostre interpretazioni, ma è nelle sue stesse parole, ripetute più volte; lui stesso lo dice testualmente: ‘l’espressione ‘beati coloro che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati’ sembra alquanto esotica, bizzarra, ma in realtà è l’idea politica più importante che abbiamo oggi in Russia”.
Intanto la repressione dei giornalisti continua: quanto è scomoda la libertà di stampa?
“La libertà di stampa non è solo scomoda per il potere, ma gli fa paura: il regime teme innanzitutto la verità perché si regge totalmente sulla menzogna e non può accettare alcuna dialettica e libertà di discussione sul presente e sul passato del Paese”.
Inoltre sono stati chiusi anche alcuni luoghi ‘simbolo’: quale segnale è la chiusura del Museo della storia del Gulag?
“La chiusura del Museo della storia del Gulag è solo uno degli innumerevoli segnali della paura della verità di cui stiamo parlando; prima era stata preceduta, nel dicembre del 2021, dalla chiusura di Memorial (l’associazione che dalla fine degli anni ‘80, con il riconoscimento ufficiale e la legalizzazione voluta da Gorbačëv, si era occupata di mantenere viva la memoria delle repressioni in epoca sovietica, raccogliendo materiali, testimonianze e un archivio enormi e stimati in tutto il mondo);
contemporaneamente era venuta l’adozione del testo unico per le lezioni di storia in tutti i livelli d’istruzione, che presenta una vera e propria riscrittura della storia sovietica (con al centro la rivalutazione della figura di Stalin). Negli ultimi mesi si era avuta la rimozione sempre più frequente delle targhe dell’ ‘Ultimo indirizzo’ (un’iniziativa sul tipo delle nostre ‘pietre d’inciampo’, con la differenza che nel caso russo venivano ricordati i deportati nei campi sovietici). E anche qui potremmo continuare a lungo”.
‘Io non ho paura, non abbiatene neanche voi’: cosa resta del suo pensiero?
“Resta letteralmente quello che viene detto in questa espressione che dà il titolo alla raccolta che ho curato per la casa editrice ‘Morcelliana – Scholè’: il regime si regge sulla paura, e per superare la tragedia di una vita governata dalla paura basta superare innanzitutto la paura, molto semplicemente non avere paura e non credere che questo possa essere un privilegio di pochi eroi; Naval’nyj era molto realista, sapeva perfettamente che tutti possiamo avere paura, ma sapeva anche che il regime poteva reggersi solo finché i suoi sudditi non scoprivano di non essere soli nell’amore per la verità. Ricordare Naval’nyj è un modo per dire a ciascuno di noi e al mondo che l’amore per la verità è possibile in ogni circostanza”.
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