La Corte di Cassazione, nell’ambito di un processo civile, con la pronuncia n. 1254/2025, richiamando le Sezioni Unite (sent. n. 11197/2023), ha affermato che i messaggi WhatsApp e gli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare sono utilizzabili quale prova documentale e, dunque, possono essere legittimamente acquisiti mediante la mera riproduzione fotografica, con la conseguente piena disponibilità dei messaggi estrapolati da una chat di WhatsApp mediante copia dei relativi “screenshot”, tenuto conto del riscontro della provenienza e attendibilità degli stessi.
Per gli Ermellini, in tema di efficacia probatoria dei documenti informatici, il messaggio di posta elettronica (e-mail) – e così i messaggi Whatsapp – costituiscono:
“un documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti che, seppure privo di firma, rientra tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all’art. 2712 c.c. e, pertanto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime (Cass. n. 19622/2024; Cass. n. 11584/2024; Cass. n. 30186/2021; Cass. n. 11606/2018). E ciò pur non avendo l’efficacia della scrittura privata prevista dall’art. 2702 c.c. (Cass. n. 22012/2023).”
E nel caso in esame, il ricorrente ha contestato precipuamente l’utilizzabilità processuale del documento in sé, piuttosto che la natura artefatta del suo contenuto.
I messaggi Whatsapp possono essere utilizzati come prova documentale, il caso
Il caso sottoposto ai massimi giudici investe un decreto ingiuntivo, con il quale si imponeva a Tizio il pagamento di 28.000 mila euro a favore di Caio, a titolo di corrispettivo dovuto per la fornitura e installazione di serramenti.
Caio, con atto di citazione, si opponeva, negando di aver mai scelto i beni oggetto delle fatture azionate in sede monitoria e sosteneva di aver concordato con Tizio un prezzo di favore complessivo per il loro acquisto pari ad Euro 8.000/10.000, eccependo, in ultimo, di aver corrisposto integralmente le somme dovute.
Tizio si costituiva in giudizio, resistendo all’accoglimento dell’opposizione, chiedendo la conferma del provvedimento monitorio opposto.
Il Tribunale adito accoglieva l’opposizione e, per l’effetto, revocava il decreto ingiuntivo opposto, escludendo che la pretesa sostanziale azionata avesse fondamento, in mancanza di risultanze istruttorie a supporto del titolo sotteso a tale pretesa.
L’atto di appello di Caio veniva accolto e, di conseguenza, in riforma della pronuncia impugnata, rigettava l’opposizione avverso il decreto ingiuntivo e ne statuiva la conferma.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede:
- che, a fronte del pacifico adempimento delle prestazioni oggetto delle fatture azionate, il Tribunale aveva revocato il decreto ingiuntivo sulla scorta della mancanza di prova del corrispettivo dovuto per la fornitura e la posa di serramenti;
- che l’assenza di un contratto in forma scritta tra le parti non poteva esimere da una corretta ricostruzione della fattispecie, che – alla luce delle risultanze probatorie acquisite – consentiva di ritenere sussistente un accordo tra le parti in merito all’importo dovuto per la fornitura in questione;
- che dalle dichiarazioni rese da un teste era emerso che Tizio avrebbe dovuto versare a Caio l’importo di Euro 25.500 e, nello specifico, Euro 20.000 per la fornitura ed Euro 5.500 per la posa in opera, avendo goduto dell’ulteriore beneficio della mancata corresponsione di un acconto al momento dell’ordine;
- che tale ricostruzione era corroborata dalla comunicazione intercorsa, con la quale Tizio, per iscritto, tramite messaggio WhatsApp, confermava la debenza dell’importo portato dalla fattura in questione all’esito dell’ultimazione della installazione;
- che, quand’anche l’accordo sul prezzo fosse stato ritenuto non provato – il che non era -, comunque il compenso avrebbe dovuto essere riconosciuto all’esito della determinazione sulla base della natura, quantità e qualità della prestazione eseguita e del vantaggio ottenuto dal committente, vantaggio che non era stato oggetto di contestazione;
- che, premessa la qualificazione giuridica dell’accordo assunto dalle parti in termini di contratto d’opera ex art. 2222 c.c., il compenso spettante era in ogni modo dovuto in applicazione dell’art. 2225 c.c., stante il risultato ottenuto e il lavoro impiegato per ottenerlo, come si evinceva dalle fatture di acquisto prodotte dall’appellante, che dimostravano i costi sostenuti, con la conseguente congruità degli importi richiesti rispetto ai prezzi di mercato.
Da qui il ricorso in Cassazione di Tizio, respinto, come abbiamo visto, atteso che i messaggi Whatsapp e gli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare sono utilizzabili quale prova documentale e, dunque, possono essere legittimamente acquisiti mediante la mera riproduzione fotografica, con la conseguente piena utilizzabilità dei messaggi estrapolati da una chat di Whatsapp mediante copia dei relativi screenshot, tenuto conto del riscontro della provenienza e attendibilità degli stessi.
Whatsup e controlli fiscali: alcune brevi note
Nell’ambito del processo civile la posizione assunta dalla Corte di Cassazione nella pronuncia n. 1254/2025, si fonda sostanzialmente sulla sentenza resa a SS.UU. (n. 11197/2023), che a sostegno di tale utilizzabilità ha:
“richiamato il principio, più volte ribadito dalla giurisprudenza penale di legittimità, secondo cui i messaggi whatsapp e gli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare hanno natura di documenti ai sensi dell’art. 234 c.p.p., e come tali possono essere legittimamente acquisiti mediante la mera riproduzione fotografica, non trovando applicazione né la disciplina delle intercettazioni né quella relativa all’acquisizione di corrispondenza di cui all’art. 254 c.p.p. (cfr. Cass. n. 22417/2022; n. 1822/2019; Cass. n. 15579/2021).
Nessun rilievo può assumere, in contrario, la mancata acquisizione del supporto materiale su cui i messaggi erano memorizzati, dovendo ritenersi sufficiente, ai fini della verifica della loro provenienza, l’attestazione della conformità all’originale, emergente dalla trasfusione degli stessi nelle relazioni del Procuratore della Repubblica e del Presidente del Tribunale, i quali peraltro, per quanto risulta, erano compresi anche tra i relativi destinatari, trattandosi di messaggi diffusi attraverso la chat cui partecipavano tutti i magistrati dell’Ufficio (cfr. Cass. n. 21731/2019).”
Di segno contrario va registrata la sentenza della Cassazione, sezione penale, n. 49016/2017, che ha giudicato:
“ineccepibile la decisione della Corte territoriale di non acquisire la trascrizione delle conversazioni svoltesi sul canale informatico denominato “whatsapp”, tra l’imputato e la parte offesa il 2 gennaio 2014, che la difesa dell’imputato avrebbe voluto versare agli atti del processo a riprova della inattendibilità della persona offesa, che aveva sostenuto che la relazione con l’imputato si era interrotta nell’ottobre 2013.
Deve, infatti, osservarsi che, per quanto la registrazione di tali conversazioni, operata da uno degli interlocutori, costituisca una forma di memorizzazione di un fatto storico, della quale si può certamente disporre legittimamente ai fini probatori, trattandosi di una prova documentale, atteso che l’art. 234, comma 1, c.p.p. prevede espressamente la possibilità di acquisire documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo (in tema di registrazione fonica cfr. n. 6339/2013, P., Rv. 254814; n. 16986/2009, A., Rv. 243256), l’utilizzabilità della stessa è, tuttavia, condizionata dall’acquisizione del supporto – telematico o figurativo – contenente la menzionata registrazione, svolgendo la relativa trascrizione una funzione meramente riproduttiva del contenuto della principale prova documentale (n. 50986/2016, Rv. 268730; n. 4287/2015 P., Rv. 265624): tanto perché occorre controllare l’affidabilità della prova medesima mediante l’esame diretto del supporto onde verificare con certezza sia la paternità delle registrazioni sia l’attendibilità di quanto da esse documentato.”
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