La nonviolenza nel mondo, come modalità di soluzione dei conflitti, è stata sistematizzata in manuali di apprendimento ed azione solo da Gandhi in poi (quindi dagli inizi del ‘900); in Italia non esistono di fatto scuole, accademie, istituti per insegnarla, molto più presenti all’estero invece, specialmente dentro il mondo accademico anglosassone. Esemplare è la trilogia di Gene Sharp, “Politica dell’Azione Nonviolenta” volume I -potere e lotta-, II -le tecniche- e III -la dinamica-, edito in Italia da EGA, 1985-1986; il manuale “Handbook for nonviolent Campaigns” edito da War Resister’s International, 2010-2011; “Working with conflict” di Simon Fisher e altri autori (skills and strategies for action), Zed Books, 2000.
Per la nonviolenza non si spende ufficialmente neanche un euro e nessuno è impiegato, stipendiato, assicurato, addestrato appositamente per questo.
Tutto quello che si muove in questo campo o è frutto del volontariato, o è legato all’applicazione del Servizio civile nazionale (purtroppo ultimamente sempre più orientato ad essere una modalità occupazionale aggiuntiva o di “parcheggio”), o deriva da interventi sporadici dello Stato o di Enti Locali e Istituzioni universitarie lungimiranti.
Quando ci si trova di fronte alla domanda: “Accetti un’ingiustizia, un’aggressione, una violenza o reagisci ad essa?” l’unica risposta possibile e ammessa (anche a livello di informazione di massa) è quella armata e violenta, perché come dice la canzone di De Andrè: “La guerra di Piero”, se tu non spari per primo finisci a dormire in un campo di grano.
Se si vuole veramente rispondere con le metodologie della nonviolenza, non si deve improvvisare e bisogna subito investire risorse economiche ed umane per rendere concreta questa alternativa, che richiede necessariamente studio, sperimentazione e formazione.
Dove si possono impegnare queste risorse economiche ed umane?
Nel Parlamento Europeo dal 1994 vi è la proposta avanzata da Alexander Langer di istituire i Corpi Civili di Pace Europei, proposta poi approvata con una risoluzione del Parlamento Europeo nel 1999, seguita da due studi di fattibilità realizzati nel 2004 e nel 2005 – Feasibility Study on the establishment of a European Civil Peace Corps (ECPC), Final report 29.11.2005, Channel Research-.
Da allora però solo la Repubblica di San Marino, con la legge 2.12.2021 nr.194, ha recentemente istituito i Corpi Civili di Pace.
Nel Parlamento Italiano dal 2017 vi è la proposta di legge di iniziativa popolare per istituire il “Dipartimento della difesa civile non armata e nonviolenta” che prevede la creazione di un contingente da impegnare in azioni di pace non governative nelle aree di conflitto, o a rischio conflitto, o nelle aree di emergenza ambientale e che prevede anche la creazione dell’Istituto di ricerca sulla Pace e il Disarmo.
Cosa sono i Corpi Civili di Pace?
Sono un Corpo di persone formate ed addestrate ad entrare nelle situazioni di conflitto al fine di effettuare un cambiamento positivo per le parti coinvolte con i metodi e le tecniche nonviolente e azioni nonviolente pianificate.
I principi da osservare sono: il rispetto della vita e della dignità dell’avversario e nell’azione diretta la non collaborazione e la non cooperazione con l’avversario e i suoi apparati.
Dovrebbe essere costituito dall’U.E. sotto gli auspici e il coordinamento dell’ONU. Gli stati membri dell’U.E. contribuirebbero con personale, mezzi e risorse economiche alla costruzione del Corpo e il Parlamento Europeo dovrebbe essere coinvolto nelle decisioni sulla costituzione e sull’attuazione delle operazioni.
Inizialmente il Corpo potrebbe essere costituito da 1.000 persone, di cui 300/400 professionisti e 600/700 volontari con gli stessi riconoscimenti di chi svolge un’attività militare in zona di conflitto.
Il personale potrebbe essere composto da chiunque fosse interessat* dai 20 agli 80 anni, con particolari caratteristiche: formazione alla nonviolenza, conoscenza delle lingue, capacità di ascolto e dialogo, capacità di adattamento a situazioni di precarietà, tolleranza, pazienza, apertura mentale, stabilità dal punto di vista psicologico ed emotivo e infine con conoscenze culturali, giuridiche, storiche e geografiche (almeno dei territori dove si va ad operare).
Vi dovrebbe essere un’integrazione operativa fra i militari e il Corpo, senza però che quest’ ultimo dipenda dall’autorità militare.
Se i risultati fossero positivi questo Corpo iniziale dovrebbe espandersi in base alle necessità previste e prevedibili.
La nonviolenza funziona?
Se guardiamo gli esempi storici, laddove ha operato anche in condizioni di difficoltà, ha funzionato anche se solo parzialmente. Dobbiamo comunque tenere presente che, tranne in India, nessuno era preparato ed organizzato per farlo e ci si è arrivati solo perché in quel momento era l’unica strategia disponibile, o perché si è ritenuto che lo fosse.
D’altra parte le guerre che si sono succedute nel mondo dal 1991 in poi hanno risolto i problemi emersi dai conflitti?
Per ridurre “il tasso” di violenza nel mondo, cosa si può fare?
A livello mondiale, a partire dalla Guerra nel Golfo del 1991, vi è la richiesta di modificare il diritto di veto all’ONU che, appartenendo a cinque Nazioni, impedisce l’azione di pace e di mediazione nel conflitto (anche con la modalità armata che l’ONU potrebbe esercitare).
Vi è la richiesta di firmare e attuare il “Trattato di proibizione delle armi nucleari” (TPNW) dell’ONU, entrato in vigore il 22 gennaio 2021, che invece i nove Paesi che posseggono l’armamento atomico e quelli collegati all’Alleanza Atlantica non hanno firmato.
L’Europa potrebbe dotarsi di un esercito europeo in grado di intervenire prontamente in situazioni di conflitto con funzioni di “polizia” internazionale (non ci si dota di F35 con possibilità di armamento atomico, se si vuole essere “polizia”). Un esercito europeo con a riferimento un unico ministero della difesa, questo ci darebbe anche maggiore autorevolezza negli scenari internazionali e forse comporterebbe una razionalizzazione delle spese e un loro migliore utilizzo. Potrebbe inoltre essere la leva per aprire un vero ragionamento sugli “Stati Uniti d’Europa” e finalmente dare una spinta decisiva ad avere un’Europa più unita non solo nell’ambito militare.
Le spese militari fra UE e Russia
Il SIPRI è l’Istituto internazionale di ricerche sulla pace di Stoccolma (Svezia) che dal 1949 dà i dati delle spese militari dei Paesi nel mondo.
In base a questi dati, indicativamente (perché come si può vedere ci sono scostamenti dovuti alla lista dei Paesi inclusi nelle zone regionali e/o nel trattamento delle equivalenze delle spese militari e del potere di acquisto delle valute con cui sono considerati. Normalmente il dollaro americano), la spesa militare della regione dell’Europea occidentale è sempre superiore a quella della regione dell’est Europa: https://milex.sipri.org/sipri; composizione delle Regioni -stati inclusi nella rilevazione-: https://www.sipri.org/databases/regional-coverage). Uno specifico sulla Russia fino al 2019 è qui segnalato: https://www.sipri.org/commentary/topical-backgrounder/2020/russias-military-spending-frequently-asked-questions (con 65,1 miliardi di dollari, in euro 62,73), e in quell’anno la spesa dell’Europa andava dai 216 ai 250 miliardi di euro a seconda di chi si include-esclude.
Se prendiamo i dati in euro e li vediamo scorporati su UE e Russia, sempre indicativamente si passa dai 250 miliardi di euro UE e dai 62,7 miliardi di euro della Russia ai 279 miliardi di euro UE contro i 445,19 miliardi di euro della Russia nel 2023 per finire nel 2024 con i 553,60 miliardi di euro dell’UE contro i 445,19 della Russia (https://osservatoriocpi.unicatt.it/ocpi-pubblicazioni-facciamo-chiarezza-nel-2024-la-spesa-militare-europea-eccedeva-quella-russa-del-58). Poi sappiamo che l’UE ha inviato 132 miliardi di euro in tre anni all’Ucraina (fonte:https://www.analisidifesa.it/2025/02/spese-militari-e-aiuti-allucraina-valutazioni-a-confronto/ di cui 62 in aiuti militari).
Invece noi dipendiamo da gas e petrolio dall’esterno: perché non usare parte di queste risorse che si spendono per le armi per “spingere” ancora di più sulla transizione ecologia e incominciare a diminuire realmente questa dipendenza?
Perché non stanziare subito risorse per i Corpi Civili di Pace Europei?
Conclusione
Il percorso è sicuramente ancora lungo e la nonviolenza dovrà coesistere con la risposta armata degli eserciti, ma se non si investe SUBITO neanche un euro, sicuramente saremo condannati alla violenza di una prossima guerra che verrà.
La brutalità rende brutali e genera brutalità, la violenza rende violenti e genera violenza , la guerra genera guerra.
Per uscire da questo giro vizioso bisogna interromperlo.
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