Il fallimento del cedente non giustifica la restituzione dell’IVA dall’Erario – La lente sul fisco

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Con la sentenza n. 4101, depositata lo scorso 17 febbraio, la Cassazione ha affermato che l’IVA indebitamente fatturata e pagata non può essere chiesta a rimborso dal cessionario, neppure a fronte della dichiarazione di fallimento del cedente. Il rimborso diretto dall’Erario risulta possibile solo dimostrando che la restituzione dell’imposta versata è risultata, in concreto, impossibile o eccessivamente difficile. In assenza di quest’ultima condizione, dunque, il solo strumento di recupero dell’imposta per il cessionario rimane l’azione civilistica di ripetizione dell’indebito dal fornitore.

La sentenza apre comunque a qualche possibilità affinché il rimborso possa essere chiesto da parte del cessionario (seppure non sia stato ammesso nella fattispecie), laddove la restituzione dell’IVA dal cedente risulti estremamente difficile, giacché in passato la Suprema Corte aveva negato tout court tale facoltà.

In alcune occasioni, si riteneva che il cessionario non fosse “legittimato a richiedere al fisco il rimborso dell’IVA di rivalsa che assume indebitamente assolta, a differenza del caso in cui l’IVA indebitamente versata in rivalsa sull’acquisto di beni e servizi destinati all’esercizio dell’attività economica venga a riflettersi sulla liquidazione finale dell’imposta, determinando un’eccedenza rimborsabile” (Cass. n. 23288/2018, Cass. n. 19837/2023, Cass. n. 16845/2023).
Un orientamento minoritario, ormai in via di dissoluzione, aveva riconosciuto la titolarità del diritto al rimborso anche per il cessionario, quando è soggetto passivo d’imposta (Cass. n. 18425/2012, Cass. n. 12433/2011).

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Con riferimento alla sentenza n. 4101/2025, il caso esaminato concerne l’effettuazione di operazioni con aliquota IVA più elevata di quella applicabile, da parte del fornitore, e la successiva domanda di rimborso all’Erario dell’IVA non dovuta da parte della società cessionaria (la quale era stata destinataria di un avviso di accertamento, non impugnato, per l’indebita detrazione dell’imposta).
La possibilità di ottenere la restituzione della maggiore imposta da parte del cedente, in via civilistica, non risultava più possibile, anche perché la società fornitrice si era cancellata dal Registro delle imprese e, nello stesso anno, era stata dichiarata fallita.

La Cassazione esclude, come detto, la possibilità per il cessionario di agire direttamente nei confronti dell’Erario, dovendo tale soggetto dimostrare che, nonostante l’azione civilistica concretamente esperita verso il fornitore (ovvero le iniziative avviate nell’ambito della procedura concorsuale), risulti impossibile o eccessivamente difficile la restituzione del dovuto.

A questo proposito, la Suprema Corte ritiene “insufficiente” la dichiarazione di fallimento del cedente, come accaduto nel caso di specie, “per giustificare l’esercizio di questa «eccezionale» azione nei confronti dell’Erario”.
I giudici affermano, per la prima volta a quanto consta, che “l’impossibilità o eccessiva difficoltà va valutata non già ex ante in astratto ma ex post in concreto, all’esito di un effettivo tentativo di ottenere – mediante l’esperimento delle azioni pertinenti – la restituzione dal cedente/prestatore dell’imposta indebitamente versata in rivalsa”.

Il convincimento dei giudici di legittimità trova fondamento anche nei principi unionali. La Corte di Giustizia, in passato, seppur riconoscendo la compatibilità con il diritto Ue di una legislazione nazionale che attribuisce al solo cedente la titolarità del rimborso dell’IVA indebitamente versata (restando possibile per il cessionario soltanto l’azione civilistica di ripetizione dell’indebito), ha affermato che, qualora il rimborso IVA “divenga impossibile o eccessivamente difficile, gli Stati membri devono prevedere, in ossequio al principio di effettività, gli strumenti necessari per consentire a tale destinatario di recuperare l’imposta indebitamente fatturata” (sentenza 15 marzo 2007, causa C-35/05), ivi incluso il “caso di insolvenza del prestatore”.

La stessa Corte Ue, più di recente, ha ribadito che “la possibilità per l’acquirente o il destinatario di presentare la sua domanda di rimborso dell’IVA indebitamente fatturata e pagata «direttamente» all’Erario è un’eccezione” ed “è esperibile solo se il recupero di tale IVA presso il fornitore o il prestatore è impossibile o eccessivamente difficile, il che presuppone che l’acquirente o il destinatario non abbia trascurato alcuna possibilità di far valere i propri diritti al di fuori di tale situazione” (sentenza 5 settembre 2024, causa C-83/23).

Per completezza, la Cassazione si è espressa anche in merito alla possibilità di recuperare l’IVA versata al cedente, nel caso di indebita detrazione, mediante il disposto dell’art. 6 comma 6 del DLgs. 471/97. È ribadita la tesi per cui, laddove vi sia stato un errore da parte del fornitore relativamente all’aliquota applicata, il cessionario ha il diritto a detrarre l’imposta nei limiti del dovuto e non per l’intero ammontare versato: tale orientamento è immutato anche a seguito della revisione dell’art. 6 comma 6 del DLgs. 471/97 ad opera del decreto legislativo di revisione del sistema sanzionatorio tributario (DLgs. 87/2024).





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