La bellezza violentata e il senso cristiano del peccato e della corruzione

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di Andrea Monda

Il film più interessante in circolazione nelle sale cinematografiche in questo periodo è senz’altro The Brutalist di Brady Corbet. Un dramma sviluppato dal regista con mano potente, che alla fine insinua nello spettatore quella sana inquietudine come dovrebbe accadere con quelli che chiamiamo i film grandi, importanti. Con un tono e un ritmo che si rifà ai classici del cinema americano, si dipana la vicenda dellìebreo ungherese László Toth (interpretato intensamente da Adrien Brody, premiato con l’Oscar 2025 c0me migliore attore protagonista), architetto di fama internazionale prima della seconda guerra mondiale, che, sopravvissuto ai campi di sterminio, sbarca negli Usa alla fine della guerra. Nella prima parte della storia vediamo che la sua carriera viene interrotta a causa di un’accusa calunniosa di molestie sessuali da parte di una donna, proprio come il Giuseppe biblico accusato dalla moglie di Putifarre. L’episodio può sembrare solo un dettaglio nella trama ma è invece molto significativo: il tema principale del film è infatti il rapporto tra bellezza e corruzione, su come cioè la virtù possa resistere alle tentazioni, seduzioni e violenze del mondo, alla sua brutalità. A causa di quell’accusa Toth cade in disgrazia ma il suo talento è così grande che colpisce l’attenzione di un magnate della Pennsylvania, Harrison Lee Van Buren (l’attore Guy Pearce) che lo ingaggia affidandogli un progetto mastodontico: costruire un grande complesso architettonico polifunzionale, dedicato alla memoria della madre del miliardario, con biblioteca, palestra e chiesa cristiana annessa. Nasce un rapporto, un incontro-scontro tra Van Buren e Toth, tra il committente e l’artista, tra la potenza economica, mondana, e la purezza del genio artistico, tra il “faraone” e il “sognatore Giuseppe”. Molto significativa è la scena che si svolge nelle cave di marmo di Carrara: il candore assoluto del bianco di quella pietra affascina e inquieta i due protagonisti del film come se fossero interpellati da quella purezza che chiede di esserne all’altezza perchè «fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza».

Il tema in fondo è quello indicato dal titolo: siamo essere umani o, ancora, bruti? Vincerà la virtù o la forza bruta? Scampato per miracolo dalla brutalità della persecuzione nazista, l’artista ungherese dovrà resistere ad una forma di violenza più sottile e in fondo ipocrita, quella del successo e dell’onnipotenza economica. Quel marmo bianco di Carrara ricorda alla fine anche la grande accusa di ipocrisia che Gesù rivolge ai farisei chiamandoli “sepolcri imbiancati”. E qui viene in mente la distinzione tra il peccatore e il corrotto che Papa Francesco ha spesso ripetuto sin dall’inizio del suo pontificato. C’è una differenza infatti tra le due figure, mentre «chi pecca e si pente chiede perdono, si sente debole, si sente figlio di Dio, si umilia e chiede la salvezza di Gesù», ha detto Francesco nell’omelia da Santa Marta dell’undici novembre del 2013, «chi dà scandalo non si pente e continua a peccare e fa finta di essere cristiano». Costui è il corrotto che inganna e si autoinganna finendo per chiamare bene il male e per vivere così una doppia vita, e «quello che fa la doppia vita è un corrotto. Quello che pecca invece vorrebbe non peccare, ma è debole o si trova in una condizione a cui non può trovare una soluzione ma va dal Signore è chiede perdono. A questo il Signore vuole bene, lo accompagna, è con lui. E noi dobbiamo dire, noi tutti che siamo qui: peccatori sì, corrotti no». I corrotti per il Papa sono proprio i sepolcri imbiancati di cui parla il Vangelo e «un cristiano che si vanta di essere cristiano ma non fa vita da cristiano, è un corrotto». Dieci anni dopo, nell’angelus del 1 ottobre 2023, Francesco è tornato sull’argomento ribadendo che «per il peccatore c’è sempre speranza di redenzione; per il corrotto, invece, è molto più difficile. Infatti i suoi falsi “sì”, le sue parvenze eleganti ma ipocrite e le sue finzioni diventate abitudini sono come uno spesso “muro di gomma”, dietro al quale si ripara dai richiami della coscienza». La coscienza invece ci interroga e ci chiede: «Quando sbaglio, sono disposto a pentirmi e a tornare sui miei passi? Oppure faccio finta di niente e vivo indossando una maschera, preoccupandomi solo di apparire bravo e per bene? In definitiva, sono un peccatore, come tutti, oppure c’è in me qualcosa di corrotto?».

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È la domanda che si pone Toth, che vediamo “peccare” sin dall’inizio, nelle prime scene del film lo vediamo recarsi in un bordello, e quando smetterà di porsela ci penserà la moglie, la figura più dolente e luminosa del film. Fragile e infedele l’architetto ha un fuoco interiore che lo spinge verso la bellezza ma non una bellezza intesa come perfetta armonia asettica e disincarnata, ma carica di tutto il dolore, l’ingiustizia, la violenza che hanno riempito e segnato la sua esistenza e quella dell’intera umanità nel secolo forse più brutale della storia umana.

Dall’altra parte c’è il mecenate e benefattore van Buren, che appare splendente ma come proprio quei sepolcri che «all’esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume». (Mt 23, 27-28)



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