Non è semplice quando ti sbattono in faccia la tua insignificanza, dopo millenni in cui sei stata il centro del mondo. Un po’ di tempo per prepararci l’abbiamo anche avuto. Ma l’Europa ha preferito non pensarci e immaginarsi ancora giovane e attraente. Certo, aver ricevuto l’evidenza della propria decadenza dal suo alleato storico non è forse il modo migliore per fare i conti con la verità. Come quando a dirti che ormai non conti più nulla è una donna che ami e che pensavi ti amasse: è più dura da accettare. Ecco, non so se all’Europa convenga andare in piazza a mostrarsi orgogliosamente bella, mentre in realtà ha il volto pieno di rughe di una persona invecchiata proprio male.
Penso a tutto questo mentre leggo dell’ennesimo danno dei Repubblica boys, che proclamano la necessità di una giornata dell’orgoglio europeo, senza se e senza ma. Che di fatto dovrebbe legittimare due cose: l’appoggio incondizionato all’Ucraina perché prosegua la guerra e l’aumento delle spese per le armi in deroga al Patto di stabilità. Bene, ma non benissimo.
Dal calduccio dei loro salotti ZTL so già che mi guarderebbero con sospetto: ecco un altro estremista radicale che manca di realismo, direbbero. Mentre loro stanno al calduccio, mio figlio abita a un passo dalla base militare di Camp Darby, dove gli Stati Uniti tengono un numero non rassicurante di armi convenzionali e non convenzionali, comprese delle testate nucleari. Vista con gli occhi di mio figlio – che per fortuna non lo sa – l’idea di reagire al cinismo disumano e vergognoso di Trump inneggiando all’Europa bellicista in Ucraina non sembrerebbe un gesto di coraggio, ma piuttosto un atto grottesco. Non saprei come altro definirlo. Muovere ostilità e pensare di reagire come se fossimo ancora una potenza mondiale di fronte ad autocrati senza scrupoli che per giunta hanno già le loro armi apparecchiate nel cuore dell’Europa. Se c’è una cosa che non rimprovero a Trump – ed è davvero l’unica cosa – è che la sua inumanità serve finalmente a pensare la nostra fine.
Pensare la nostra fine: le classi dirigenti europee e i Repubblica boys hanno di meglio da fare, evidentemente. Per esempio fare di tutto per negare i propri errori e continuare come se niente fosse. È che nei salotti delle classi dirigenti europee Camp Darby non esiste e forse non esiste nemmeno la guerra: che è al massimo un argomento di conversazione. Invece la guerra è merda e sangue, anche in tempi di ipertecnologie e di droni. In tre anni i morti di quella maledetta guerra sono centinaia di migliaia. Ecco, quando mi dicono che non sono realista, vorrei semplicemente ricordare questo: che trasformare l’economia dell’Europa in un’economia di guerra vuol dire in misura proporzionale prevedere che ci saranno degli esseri umani che quelle armi che produciamo dovranno usarle. Per me realismo significa questo: non esistono armi senza vittime. Ma le vittime non sono quelle vergognose classi dirigenti – e prevedo neanche i loro figli – che si riuniscono nei salotti e che di fronte alla fine di una civiltà (perché questo stiamo vivendo) non sanno fare altro che pensare di organizzare una grande manifestazione che li legittimi ancora a governare come se niente fosse, senza una qualche minima forma di pentimento o di autocritica. Trump è brutto e cattivo? Allora arrivano i buoni, che siamo noi che siamo l’Europa, mica la Cina, mica la Russia, mica l’India ecc. Appunto: non siamo più nulla e soprattutto non siamo i buoni, visto il disastro che abbiamo costruito in questi decenni, affamando un intero continente in nome dell’austerity. Che strana la doppia verità delle nostre classi dirigenti che ci chiedono di scendere in piazza. Una doppia verità in politica estera: quella per cui noi facciamo la guerra in Ucraina per difendere dei valori morali che sono gli stessi che accettiamo vengano bellamente disprezzati a Gaza (e sono anche troppo buono: perché la guerra in Ucraina la facciamo per procura. A morire ci vanno loro. Ma siamo sicuri che nel nuovo stato di cose basterà?). Ma una doppia verità anche all’interno dei nostri confini: perché vai un po’ a spiegarlo ai greci che il patto di stabilità può essere derogato per le armi ma non poteva esserlo per le loro vite (23.000 morti in Grecia per l’intervento di quell’Europa eroica e paladina del bene, per cui noi adesso dovremmo andare in piazza senza se e senza ma).
E dunque: “Stai diventando anti-europeista?” mi chiederebbero i miei amici salottieri guardandomi sempre col disprezzo dovuto ai sognatori. Niente affatto: senza Europa non c’è nulla. Questo è il realismo del tempo presente: cioè disperazione. Contro la disperazione del tempo presente, io rivendico la necessità del realismo del tempo futuro: che non si rassegni alla disperazione ma cerchi di contendere l’Europa a questi amici salottieri che hanno occupato il posto della sinistra e che non intendono mettersi da parte, ma anzi approfittano anche di quest’occasione per legittimare la propria evidente stupidità, in sfregio alle lezioni reiterate della storia recente. Contendere l’Europa, da sinistra.
Troppo astratto, questo non lo pensano solo i miei amici salottieri ma anche tanti miei lettori, ne sono certo. E allora mi spiego concretamente. Contendere l’Europa da sinistra vuol dire rivendicare un’Europa che riconosca come priorità tre passi.
Il primo passo è mettere distanza da quello che io definisco l’errore imperdonabile di Macron. Perché è proprio a lui che dobbiamo l’atto simbolico dell’aver legittimato l’idea che si possa scendere a patti con Le Pen ma si deve ostracizzare Mélenchon. Con quel gesto, Macron ha demolito i valori fondativi europei, quelli per cui dove c’è Europa non ci poteva essere fascismo e dove ci sono fascismi non poteva esserci Europa. Ha aperto un varco dentro cui si stanno infilando tutti i partiti fascisti, in tutto il continente. Un rovesciamento di principio che non è affatto difficile prevedere a cosa porterà: la sinistra deve essere ostracizzata perché rischia di mettere in discussione l’ordoliberismo economico che è diventato l’alfabeto genetico di quest’Europa, mentre i nuovi fascismi che avanzano liberamente non solo apprezzano Trump, ma soprattutto portano con sé la nostalgia nazionalista e sovranista. E chi lo spiega ai Repubblica boys, che manifestare per l’orgoglio di questa Europa vuol dire in effetti stare dalla parte dei nazionalismi e dei sovranisti, tollerando i processi che stanno portando l’Europa a dissolversi da sé così in fretta? Una sinistra seria dovrebbe urlare dovunque quest’evidenza: che il socialismo metterà in discussione il neoliberismo, mentre i neofascismi metteranno fine all’Europa (a meno che – cosa non improbabile – per questa classe dirigente dell’Europa se ne può fare a meno, ma del neoliberismo economico no).
Il secondo passo è altrettanto realista. Come ho già anticipato, immaginare che la rinascita dell’Europa passi attraverso l’aumento delle spese per la difesa è del tutto velleitario, per due motivi fondamentali. In primo luogo perché l’Europa – come tale – non sarà più una superpotenza. La sua autorevolezza, se c’è ancora, sta nella sua storia, nelle ferite, nella memoria delle guerre e del passato coloniale, nella consapevolezza degli errori e nell’orgoglio degli ideali democratici. Non è nell’ordine della forza che l’Europa può avere ancora qualcosa da dire, ma nell’ordine della politica. Cioè recuperando ciò che ha perduto da un pezzo: da quando ha barattato il primato della democrazia con il primato dell’austerity. In secondo luogo perché i valori fondanti dell’Europa non erano né formali né neutrali, come non lo è la nostra Costituzione. L’Europa nasce a partire dalla convinzione che solo la giustizia sociale può garantire la pace e scongiurare le tentazioni di nuove guerre. Un’Europa che sacrifica ancora la giustizia sociale in nome delle armi è un’Europa che sacrifica definitivamente se stessa, semplicemente. Intendiamoci: anche se molte persone non saranno d’accordo con me, non ho pregiudizi contro la necessità di dotarsi di una difesa comune. Ma la difesa comune senza tutto il resto è destinata ad essere come la costruzione del mercato comune: un fallimento certificato persino da coloro che l’hanno concretamente creato. Il punto vero allora non è pensare un’Europa dei diritti contro un’Europa della difesa, ma pensare un’Europa che liquidi definitivamente la logica immanente al patto di stabilità e riconosca che la propria scommessa, senza la quale è inutile continuare a pensarla, è ancora e sempre quella: che ciò che ci salverà dalla guerra non saranno le armi, ma la giustizia sociale.
Il terzo e ultimo passo. Qual è l’atto più irresponsabile e devastante del trumpismo? Sostituire l’ordine della politica e della diplomazia con l’ordine della forza. È quello che sta facendo in Ucraina e anche quello che sta facendo a Gaza. La metafora delle carte è azzeccata. Chi ha le carte decide. Chi non ha le carte subisce. Un ritorno indietro di qualche secolo, ecco ciò che vuole Trump. Se conta la pura forza, non c’è diplomazia né mediazione che tenga. Ecco, ho l’impressione che l’Europa voglia essere per l’Ucraina ciò che Trump ha scelto di essere per Putin (e per Netanyahu). Ma forse è persino peggio di così: ho l’impressione che Trump ha scelto adesso di essere per Putin ciò che l’Europa ha scelto ormai da tre anni di essere per l’Ucraina. E che dunque la tracotanza di Trump sia prima di tutto la tracotanza dell’Europa: che da tre anni pensa che l’unico modo per far cessare una guerra è essere più forti, rinunciando così alla sua storia dolente e alle invenzioni moderne della politica e della diplomazia. Prima di Trump, l’ha fatto l’Europa. Pretendere che invece torni a svolgere il proprio compito di mediatrice vorrebbe dire non parteggiare per la fine della guerra e non esprimere solidarietà al popolo ucraino? Tutt’altro. Ma sono tre anni che lo si dice. L’Europa e i Repubblica boys devono decidere: vogliono far finire una guerra o vogliono vincerla? Perché la storia moderna ci insegna che per far finire una guerra bisogna saper rinunciare a vincerla, specie quando è perduta fin dall’inizio. Insistere ancora per vincere questa guerra – dopo quanto sta accadendo in questi giorni – non è solo grottesco, è apocalittico. La verità è che la guerra è già finita e ci sono solo due opzioni: o accettare che a decidere come finisca sia davvero solo la prepotenza dei più forti – con conseguenze che non voglio nemmeno immaginare – oppure cercare di portare una parola diversa e in questo modo difendere per quanto possibile anche le legittime richieste dell’Ucraina.
Che strano dover rivendicare per l’Europa il dovere di far prevalere la politica contro la forza. E per giunta essere per questo accusati di poco realismo. Ma forse tutto si spiega. Non è il popolo ucraino che interessa alle élites europee che ci richiamano in piazza. Interessa molto di più mantenere il proprio potere, anche se questo porta alla fine dell’Europa. Del resto, quelle centinaia di migliaia di morti non prendono le parole nei nostri salotti buoni da dove i Calenda e i Renzi di turno si affannano a convocarci. Sono formiche e nel loro piccolo non si incazzano più. Semplicemente muoiono. Mentre noi andiamo a manifestare per continuare a condannarli a morte.
PS. Queste sono le parole di Ursula von der Leyen alla fine del summit di Londra di domenica scorsa: «Primo: abbiamo bisogno di una pace duratura in Ucraina. Ma una pace duratura può essere raggiunta solo con la forza. Secondo: Abbiamo bisogno di un massiccio rafforzamento della difesa europea. La sicurezza duratura si basa sulla forza». C’è altro da aggiungere?
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