In Emilia-Romagna il 40% del territorio è occupato dalla montagna. Eppure, in queste aree vive solo il 10% della popolazione intera, circa 461mila persone. A indagare lo stato di salute di questa parte importante dell’ecosistema regionale, con un approccio scientifico ma non per questo paludato e noioso, ci ha pensato un libro pubblicato a fine gennaio dalla casa editrice bolognese Pendragon e intitolato “Sette montagne, otto colline e una pianura”.
Gli autori sono gli statistici e demografi Gianluigi Bovini e Franco Chiarini: un passato con ruoli apicali nell’Ufficio Programmazione, Controlli e Statistica del Comune di Bologna e un presente fatto di ricerca e militanza nella riabilitazione dei territori fragili dell’Emilia-Romagna. Li abbiamo contattati per un’intervista di approfondimento.
Quanti sono i comuni di montagna che prendete in esame?
Sono 66 (39 nella fascia di crinale e 27 nella montagna intermedia) e sono distribuiti in sette province nelle diverse sezioni dell’Appennino emiliano e romagnolo. L’analisi si concentra sui principali aspetti della fragilità demografica e sociale che caratterizza questi territori e ha poggiato la lente di ingrandimento anche su 43 comuni di collina interna collocati in otto province e su 9 comuni della pianura orientale ferrarese. Lo studio si colloca all’interno di un più ampio progetto di lavoro e ricerca promosso nell’autunno 2023 dal sindacato dei pensionati Fnp-Cisl dell’Emilia-Romagna, all’epoca guidato da Roberto Pezzani oggi nella segreteria nazionale, in collaborazione con Cisl Emilia-Romagna e con il coordinamento della Fondazione Generazioni nella persona del presidente Sergio Palmieri.
Che cosa emerge dalla vostra analisi?
In Emilia-Romagna l’inverno demografico è più mite che nel resto d’Italia: la forte capacità attrattiva della regione nei confronti di persone italiane e straniere determina ogni anno un saldo migratorio positivo di rilevante ampiezza, che permette alla popolazione di continuare a crescere nonostante l’accentuato calo delle nascite. Nel territorio regionale sono però presenti estese aree caratterizzate da un’elevata fragilità demografica e sociale come la montagna: in queste zone da molto tempo la popolazione residente diminuisce sensibilmente e si sono determinate profonde modifiche negli equilibri tra le generazioni, con una netta prevalenza delle persone anziane e un peso ridotto dei giovani.
Parlando dei comuni montani: ci sono differenze tra le province emiliano-romagnole o, all’opposto, similitudini?
L’analisi evidenzia differenze significative. Le maggiori fragilità demografiche si registrano nella sezione occidentale dell’Appennino emiliano: nelle province di Piacenza e Parma il processo di spopolamento dal 1951 a oggi si è manifestato con drammatica intensità e il rapporto quantitativo tra le generazioni è molto sbilanciato, con indici di vecchiaia che in alcuni comuni superano il valore di 500 anziani per ogni 100 giovani. In queste zone anche il saldo naturale è pesantemente negativo e la quota delle famiglie composte da una sola persona risulta maggioritaria in molte realtà. Criticità demografiche accentuate si registrano anche nella montagna di crinale forlivese, cesenate e riminese. I territori con le situazioni relativamente migliori sono l’Appennino bolognese, che rappresenta una parte significativa della città metropolitana di Bologna, e alcuni comuni montani nelle province di Modena e Reggio Emilia.
La fragilità demografica e sociale di questi comuni è differente da altre zone montane d’Italia?
I principali indicatori statistici analizzati nel volume evidenziano che in queste zone il cosiddetto “inverno demografico” è molto rigido e la composizione per età della popolazione e il rapporto tra le nascite e i decessi presentano situazioni molto compromesse. Rispetto alle aree montane del Mezzogiorno e dell’Italia Centrale la differenza positiva, che rappresenta un importante segnale di speranza, è l’arresto negli ultimi anni del processo di spopolamento. In quasi tutti i comuni indagati, dopo la pandemia, si sono infatti registrati saldi migratori positivi.
Il cambiamento climatico è una condanna senza appello?
Anche in queste zone è una sfida decisiva che coinvolge le risorse più importanti del patrimonio ambientale e molte realtà economiche. Prendendo in considerazione solo alcuni aspetti relativi al movimento turistico emergono fattori negativi (il crollo in alcuni anni dell’attività sciistica per lo scarso innevamento) e tendenze positive (la maggiore attrattività in estate per soggiorni che consentano di sfuggire alle ondate di calore sempre più frequenti nelle maggiori città e in pianura).
Welfare e sanità sono temi importanti.
Nei comuni montani analizzati la quota delle persone anziane si avvicina in molte realtà a un terzo della popolazione e le previsioni demografiche elaborate dall’Istat indicano che entro il 2050 il peso relativo di questa fascia potrebbe raggiungere il 40% del totale. Costruire una società della longevità, che sappia valorizzare tutti gli aspetti positivi della grande conquista di vivere a lungo, è quindi sicuramente la sfida decisiva per garantire a chi vive in questi territori una qualità della vita comparabile con quella degli altri cittadini emiliani e romagnoli.
Come pure il tema abitativo.
Una delle sfide identificate nello studio è come utilizzare in forme nuove il patrimonio edilizio, che in molti comuni montani rappresenta più del 60% di tutte le abitazioni e potrebbe giocare un ruolo importante sia per accogliere chi intenda trasferire la residenza in questi territori sia per ospitare flussi turistici più intensi e distribuiti lungo l’intero anno. In questa direzione nella media montagna un fattore di attrazione importante è rappresentato dalla possibilità di acquistare o locare abitazioni a condizioni economiche molto più favorevoli rispetto alle aree urbane, godendo anche di una migliore qualità ambientale.
Riabitare in modo nuovo, e riabilitare, questi territori è possibile?
I movimenti migratori testimoniano una rinnovata capacità di attrazione di molti comuni montani, che può e deve essere potenziata affrontando le sfide legate alla transizione demografica e adottando altri provvedimenti, tesi in primo luogo a migliorare le condizioni di accessibilità fisica e digitale. La speranza è che la “corrente calda” degli impegni concreti di rilancio e sviluppo prevalga sulla “corrente fredda” delle statistiche che documentano la fragilità demografica e sociale di tali aree. Nel programma di mandato della Giunta regionale, che si è appena insediata dopo le elezioni del 2024, si dichiara esplicitamente l’impegno di perseguire una nuova alleanza tra le città emiliane e romagnole e le montagne.
Come ve li immaginate turismo e stili abitativi sull’appennino dell’Emilia-Romagna nei prossimi 20 anni?
Nelle zone montane il turismo invernale ed estivo è una componente decisiva per garantire in periodi dell’anno auspicabilmente sempre più estesi la vitalità sociale ed economica e conservare la rete essenziale dei servizi di prossimità. Bisogna quindi puntare a forti innovazioni delle modalità di fruizione turistica, che sappiano cogliere i molteplici aspetti del “desiderio di montagna” emerso dopo la pandemia anche in persone giovani. Tra gli esempi virtuosi si possono citare il turismo dei “cammini”, i percorsi cicloturistici e le esperienze enogastronomiche. In alcuni casi questa rinnovata attenzione verso i territori montani conduce anche a scelte di vita più impegnative, che prevedano il trasferimento per realizzare progetti di vita e lavoro. Le esigenze e gli stili abitativi dei “nuovi montanari” saranno inevitabilmente diversi da quelli del passato e una condizione decisiva per contrastare il declino demografico nelle montagne emiliane e romagnole sarà dispiegare una rinnovata capacità di attrazione ed accoglienza che guardi al futuro per non disperdere i tesori ambientali, culturali e di relazioni umane del passato.
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