BM SPECIALE INTERVISTE / Moraschini: “Cantù vive di pallacanestro. Dedico ogni momento a mio padre” – di Lorenzo Bloise

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Giocare per chi non c’è più, onorandolo e ricordandolo prima di ogni partita: “Faccio il segno della croce, tocco il parquet, bacio il tatuaggio tre volte e indico il cielo: la dedica va a mio padre e mia nonna. Penso che siano sempre con me. Vincere e tornare in Serie A per una città che ha come unità di misura del tempo il basket: Cantù vive di pallacanestro, per loro è una religione. Gli Eagles sono una tifoseria molto calda: macinano migliaia di chilometri per starci vicino”. Un bilancio di quello che è stato fino ad ora in stagione, i ricordi di un bambino di Pieve di Cento con un sogno nel cassetto e un futuro ritiro che, al momento, è ancora ben lontano dai suoi piani: “Ora non ci penso. Voglio godermi questo sport fino all’ultimo”. Parola di Riccardo Moraschini, giocatore di Pallacanestro Cantù, a Basket Magazine.

Una stagione di alti e bassi: “Non stiamo rispettando i pronostici, ma il gruppo è forte”

A sette giornate dal termine della regular season di A2 è lecito chiedersi: che stagione ha vissuto (e sta tuttora vivendo) Cantù? Moraschini scioglie qualsiasi dubbio: “Attualmente non stiamo rispettando i pronostici che c’erano su di noi a inizio anno perché eravamo considerati tra le squadre che avrebbero potuto puntare alla promozione diretta”. Dopo un girone d’andata quasi perfetto, i risultati negativi del 2025 hanno frenato l’ambiziosa corsa alla promozione diretta: “Quelle cinque sconfitte consecutive, arrivate nel pieno della stagione tra gennaio e febbraio, ci hanno allontanato dalla lotta per il primo posto. Avessimo vinto anche solo due/tre gare tra quelle, saremmo potuti essere lì con Udine”.

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Poi, la svolta emotiva con Cividale che ha sbloccato la squadra e un ambiente cupo: “Quella vittoria all’ultimo secondo è stata una liberazione: si era creato un ambiente esterno negativo. Noi non abbiamo mai smesso di lottare: sono venuti a galla tutti i problemi, si è trattato di un blocco mentale che abbiamo accusato tanto”. Poi, le tre vittorie consecutive e l’ottima prova (nonostante la sconfitta) sul campo di Udine: “Continuo a credere che se giochiamo con quella personalità in trasferta della prima in campionato penso che possiamo fare molto bene e penso che possiamo raggiungere l’obiettivo della promozione”.

Allargando l’analisi, quella per coach Nicola Brienza – e i suoi ragazzi – non è mai stata una stagione tranquilla: “Abbiamo avuto tanta gente infortunata (McGee, Baldi Rossi, Basile, lo stesso Moraschini a inizio campionato, De Nicolao ndr.): proprio per questo motivo non siamo mai riusciti a trovare una quadra reale e un’identità di squadra vera e sicura. Ci siamo sempre dovuti adattare”. Al di là di tutto, però, “non è una scusante. Il gruppo è forte e noi abbiamo un roster lungo”.

L’obiettivo di Moraschini: “Voglio riportare Cantù in Serie A”

Arrivato in biancoblù nel novembre 2023, l’obiettivo di Moraschini è sempre stato uno: Io sono venuto qui solo per vincere, non mi interessano le statistiche personali. Voglio riportare Cantù in Serie A”. Da quella firma, un anno e mezzo di alti e bassi tra buone prestazioni e infortuni (anche gravi) che hanno condizionato parte del percorso. Oggi, il numero 9 è sano e da playmaker sta mostrando la sua migliore versione di sé: “Per me è un grosso vantaggio perché riesco a sfruttare al meglio le mie caratteristiche, non è un caso se a Brindisi ho disputato la mia miglior stagione proprio in quel ruolo: lo stesso vale con Milano in Eurolega. Mi sento molto a mio agio, però non è la mia priorità. Pur di raggiungere l’obiettivo mi metto a disposizione per giocare ovunque.

E sulla corsa playoff: “Lotteremo anche quest’anno. Personalmente, l’importante è cercare di avere il fattore campo. Nei playoff forse non ci sono realmente delle squadre strafavorite. Chi vorrei evitare? Una vale l’altra, se vuoi salire e dimostri di essere la favorita, l’avversario conta relativamente. Poi è chiaro, ci sono squadre come Fortitudo e Pesaro che possono essere più preparate e con maggiore esperienza, rispetto magari a Cividale e Rieti che vivono di entusiasmo e possono giocare a mente libera”.

Dal cortile di casa alle Olimpiadi di Tokyo

Da Pieve di Cento a Tokyo, dalle sfida con il padre e lo zio nel cortile di casa al sogno dei cinque cerchi: Le Olimpiadi sono difficili da spiegare a parole. Condividi la tua vita con atleti proveniente da tutto il mondo. Vivere nel villaggio olimpico era come stare dentro una mini città”. E a proposito di nazionale italiana, Grant Basile potrebbe rappresentarne il futuro: Stiamo parlando di un grande talento. Non è ancora abituato a certi aspetti che il basket europeo predilige e che sono importanti per fare quel salto di qualità, ma è normale perché viene dal College. Ha ampi margini di crescita, non gli manca niente. Prima capisce dove dovrà migliorare e prima farà quello step successivo”.

Moraschini insegna che “avere il talento non basta. Bisogna continuare a migliorarsi. Io lo posso confermare: la capacità e la volontà di voler migliorare ogni giorno mi ha permesso di arrivare a disputare le Olimpiadi e di giocare in Eurolega”. Affrontando tutto con il sorriso, fin dalla prima chiamata in Serie A a soli 16 anni con la Virtus Bologna: “Ho sempre pensato a giocare e divertirmi, il resto è venuto da sé. Non ho mai pensato: ‘ok, da oggi sono un professionista’, è stato un percorso naturale”. Da quel debutto, tante esperienze: da Biella a Sant’Antimo, poi ancora Bologna, Roma, Mantova, Trento e Brindisi.

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Nel mezzo Milano e Venezia, compreso l’unico rimpianto per una carriera interrotta sul più bello e senza preavviso: “L’unico rimpianto è stato quando sono stato trovato positivo al doping. Penso e sono sicuro che sia stato un brutto episodio, un’ingiustizia molto forte e che abbia condizionato gli anni più alti della mia carriera. Non per colpa mia, ma quella storia di Milano ha pesato tanto e mi ha cambiato la carriera in maniera improvvisa.

La metropoli milanese e la religione canturina

Una metropoli e una città piccola ma confortevole e fin da subito accogliente. Milano e Cantù sono due piazze storiche, tanto diverse quanto legate con passione alla pallacanestro: “Milano è una città molto grande, sicuramente influenzata dal calcio. Posso dire di essere stato comunque circondato da una grandissima passione e da una grande voglia di seguire il basket. Ma per Cantù, questo sport è vita.

L’ultimo capitolo è ancora lontano: “Non so quando, ma quel giorno mi cambierà la vita”

Quasi 20 anni di carriera, ma l’ultima pagina del romanzo è ancora molto lontana: “Spero di riuscire a divertirmi ancora per qualche anno. Il giorno dell’addio alla pallacanestro sarà molto difficile: ne ho parlato con il ‘Chaco’ Rodriguez e Datome. Loro erano consapevoli di farlo ma indubbiamente si tratta di qualcosa che ti cambia totalmente la vita. Quel momento cambierà la mia vita più di quanto lo ha fatto quando ho cominciato. Spero di riuscire a giocare ancora e vivere lo spogliatoio. Per quello che verrà dopo ci penseremo”.

La consapevolezza di avercela fatta, nonostante tutto. E di potercela ancora fare per gli ultimi traguardi da raggiungere. Gioie, dolori, rimpianti ma comunque una bella storia da raccontare. Iniziata proprio nel cortile di casa sua e proseguita nei palazzetti più suggestivi d’Europa (e del mondo). Sfidava suo papà, oggi lo porta nel suo cuore e sulla sua pelle per sempre. Prima di ogni palla a due e durante ogni partita. Il presente dice Cantù e l’obiettivo per Riccardo Moraschini è uno solo: torna al piano superiore, insieme.

Lorenzo Bloise

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Photo by Walter Gorini (fonte: Pallacanestro Cantù)



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