“La morte di papà mi ha dato la forza per non impazzire e riprendere a cantare. Il tumore? L’ho tenuto per me, per pudore”: Pierdavide Carone dopo “Ora o mai più”

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Pierdavide Carone è uno dei cantatori più bravi della nostra musica. Ma si sa, a volte talento e bravura non bastano per sfondare completamente. A volte il destino infausto ci mette lo zampino, altre volte invece è la discografia, quella ossessionata dallo streaming, a segare le gambe e le speranze di un artista. Pierdavide Carone è diventato famoso grazie alla nona edizione di “Amici di Maria de Filippi”, dove vince il premio della critica e si classifica al terzo posto.

Nel 2010 firma il brano “Per tutte le volte che…” con cui Valerio Scanu vince al Festival di Sanremo. Lo stesso anno pubblica il suo primo album, “Una canzone pop”, certificato doppio disco di Platino, trainato dal singolo di lancio “Di notte”. Seguono gli album “Distrattamente” e “Nanì e altri racconti”, prodotto da Lucio Dalla e presentato durante il Festival di Sanremo nel 2012, edizione alla quale partecipa insieme a Lucio Dalla con il brano “Nanì”. Poi la morte del cantautore e le luci iniziano a spegnersi, fino alla scoperta del tumore nel 2020. La musica Carone non l’ha mai lasciata e alla fine ha anche vinto l’ultima edizione di “Ora o mai più”.

Ti aspettavi questa escalation, puntata dopo puntata, a “Ora o mai più”?
Credo che questa storia sia un po’ uno strano ‘sliding doors’…

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In che senso?
Sono stato l’ultimo cantante scelto per il programma dagli autori. Inoltre non ero molto sicuro di partecipare perché stavo facendo cose diverse e musicalmente non ero mainstream. Ma un po’ anche per cavalcare l’onda dell’ora e subito, ho deciso di esserci e di tornare in televisione, così ‘a schiaffo’. Ho seguito l’istinto, era da tanto che non facevo un programma né che apparivo in video. Insomma è andata bene, dai (ride, ndr).

Qual è il risultato dell’unione umana ed artistica con la tua coach Gigliola Cinquetti?
È molto più vicina al mio mondo di quanto non si creda e nonostante siamo di generazioni diverse. Lei ha cantato con e per autori di alto livello. Basti pensare che il suo secondo Festival di Sanremo è stato al fianco di un gigante del cantautorato come Domenico Modugno per quella bellissima canzone che era “Dio come ti amo”. Lei poi ha fatto quello che mi serviva in quel momento e lo ha capito istintivamente, si è messa un passo indietro a me. Non è così scontato e l’ho apprezzato moltissimo.

Non hai mai avuto un momento difficile legato alla salute mentale dopo il down seguito al successo?
In passato ho sofferto di attacchi di panico e ansia, anche dopo la morte di Lucio Dalla. Sono i mali del nostro secolo. Ho fatto terapia, ma non quella tradizionale. Ho seguito dei mantra, i flussi di coscienza e ho imparato a respirare. Cosa che sembra scontata, ma non lo è affatto.

C’è un momento in cui hai pensato di mollare tutto?
Il rifugio e la svolta sono accadute nel momento della tragedia più grande per me: la morte di mio padre. Ho dovuto virare e tornare nella musica per non impazzire. Era il suo desiderio ma anche quello della mia famiglia. Oggi non ho più paura della morte, quello capita e accade a tutti, quanto di non vivere abbastanza e da codardo.

Il punto chiave dell’inedito “Non ce l’ho con te” è rappresentato dai versi “E ti ho perdonato…E non ce l’ho con te”. A chi ti riferisci?
Proprio mio padre e anche la mia famiglia. C’è un momento nella vita che ci impone di staccarci dai legami di sangue e valutare i nostri genitori, ma tutti i componenti della famiglia in realtà, come esseri umane. Persone che possono sbagliare, che non sono perfette né super eroi come quando ce li immaginiamo da piccoli. Cambiare il punto di vista è un favore che si fa prima a se stessi. Così capiamo che anche noi abbiamo ferito gli altri, che è più facile stare in guerra (basta vedere i conflitti che ci sono nel mondo) che accettare i nostri limiti e quindi capire che non siamo perfetti. Solo così il rancore va via e siamo più inclini al perdone.

C’è qualcosa che ancora non ti sei perdonato?
Il troppo pudore. Non riusciamo a dire le cose belle ai nostri genitori. Vengo da una famiglia non particolarmente espansiva, non ci siamo abbracciati molto e solo ora mi rendo conto che non posso più farlo. Ecco, oggi so e mi dico quanto sia importante dirsi anche un semplice ‘ti voglio bene’.

Lo stesso pudore che hai avuto per il tuo tumore?
Non ho detto nulla della mia malattia. Ho sospeso nel 2020 le mie attività e mi sono messo nelle mani dei medici. Penso non sia necessario dire o condividere uttto. Io le mie fragilità le metto nelle canzoni e vorrei che la gente condividesse tutto questo attraverso la mia musica.

Forse condividere avrebbe potuto aiutare anche gli altri nella tua situazione?
Il mio era solo una forma di rispetto verso le persone ‘comuni’, non famose, che si ammalano, si sono ammalate e purtroppo continuano ad esserle. Poi la svolta quando ho deciso di parlarne apertamente di quello che stavo vivendo.

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Com’è accaduto?
Durante la pandemia stavo parlando con l’ufficio stampa del mio ospedale, l’Humanitas. Mentre chiacchieravamo mi ha fatto una battuta: quando la scrivi una canzone per noi? Così è nata ‘Forza e coraggio!’ che serviva per veicolare il messaggio per tutti i malati, non solo per me, e per raccogliere fondi per l’ospedale.

Punti a Sanremo 2026?
Perché no!

Il podio di quest’anno è un segnale che qualcosa sta cambiando?
Penso di sì. Ho molta speranza anche nel sentire comune delle persone che scelgono storie che li aiutino a riflettere e anche a condividere emozioni.

Nel prossimo futuro cosa accadrà?
Sto lavorando alla seconda parte del disco che è uscito a ottobre 2024. Tra i brani del primo capitolo ho scelto “Mi vuoi sposare” che porterò a San Marino Song Contest.

Ma ci vai perché ci credi un po’ alla vittoria o solo per promozione?
Voglio solo che le persone che si sono ricordate di me riprendano ad ascoltarmi e ne abbiano voglia. È una occasione per amplificare ancora di più il mio mesaggio.



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