Benessere psicologico, il welfare è un valore

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Una volta bastava evocare Cesare Pavese, trasformando il titolo di una sua celebre raccolta di poesie in una battuta degna di Massimo Catalano: lavorare stanca. Oggi è peggio. L’83% dei dipendenti italiani ha una priorità: che il lavoro possa contribuire al proprio benessere, fisico e soprattutto psicologico. L’ottavo rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale, diffuso nei giorni scorsi, indica in tre milioni i lavoratori che soffrono della “sindrome da corridoio”, cioè l’osmosi di ansie e disagi tra lavoro e vita privata, che riduce drasticamente il benessere soggettivo, la qualità della vita e la salute mentale. La pandemia sembra lontana, ma uno dei più evidenti strascichi che ha lasciato il Covid non è la insistente tosse o il senso di debolezza, ma un evidente sintomo di fragilità psicologica. Secondo i dati della ricerca condotta nel luglio scorso da Gpf Inspiring Research per Enpap, l’Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli psicologi, la richiesta di aiuto psicologico è aumentata di dieci punti rispetto al 2020, passando dal 29% al 39% di fruitori di terapie psicologiche.

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LE RICHIESTE

Dal 2022 tra i benefit più ricorrenti nei piani di welfare aziendale è emerso il supporto psicologico. Dalle quattro alle otto sedute – per lo più online – offerte dall’azienda a richiesta del dipendente che manifestasse qualche forma di ansia o disagio nel suo precario equilibrio tra vita privata e lavoro. Secondo i dati Censis-Eudaimon il 36,7% dei lavoratori italiani è andato da uno psicologo o ha fatto ricorso al counseling a causa del proprio lavoro. Complessivamente il 31,8% dei lavoratori dipendenti ha provato sensazioni di esaurimento, di estraneità o comunque sentimenti negativi nei confronti del proprio lavoro. Tra i giovani questo disagio è più pronunciato: quasi un lavoratore giovane su due (il 47,7% dei giovani) denuncia situazioni così estreme, contro il 28,2% degli adulti, e il 23% dei dipendenti più anziani. La spesa per la salute mentale si attesta intorno al 3,5% del Fondo sanitario nazionale, ma il bisogno di salute mentale è uno dei bisogni più insoddisfatti nel Paese. Tant’è che il rapporto More (Mental Health Optimization of Resources) redatto da Deloitte Consulting e pubblicato un anno fa in collaborazione con Janssen Italia e altre istituzioni pubbliche e private, indica che nei prossimi tre anni potrebbero essere necessari almeno 1,9 miliardi di euro aggiuntivi, oltre ai 4 miliardi già programmati, per la crescente richiesta di supporto per la salute mentale. Il problema del benessere psicologico non riguarda solo i lavoratori. Come si è visto le giovani generazioni sembrano le più esposte alle fragilità psicologiche. E qualcosa si muove anche a livello delle università. Il ministero dell’Università e della Ricerca ha promosso il progetto Pro-Ben, 2024 che ha premiato 12 progetti presentati relativi al benessere psicofisico negli atenei. Si tratta di 20 milioni di finanziamenti che si aggiungono ai 35 milioni del Fondo di finanziamento ordinario per promuovere iniziative a favore dell’inclusione degli studenti, con riferimento in particolare all’attivazione o al potenziamento di servizi di supporto come gli sportelli antiviolenza. I finanziamenti mirano a consolidare la promozione di pratiche, modelli, servizi e strumenti per un’adeguata risposta a condizioni di fragilità emotiva, disagio psicologico e a favorire il contrasto alle dipendenze. Nel Lazio sono coinvolti tutti gli atenei. Un obiettivo centrale è l’elaborazione del “Modello Lazio”, un sistema condiviso di intervento per il benessere psicologico, frutto della collaborazione tra il progetto “Pro-Ben Lazio 1” (capofila Sapienza) e “Pro-Ben Lazio 2” (capofila Tor Vergata). Questo modello integrerà i dati raccolti da entrambi i progetti per proporre strategie innovative e replicabili su scala nazionale. I partner dei due progetti sono già al lavoro per promuovere incontri e workshop tra gli studenti. Segnali molto incoraggianti, in termini di adesione vengono da tutti gli atenei coinvolti. L’Università Roma Tre (che fa parte del progetto Tor Vergata, insieme all’Università di Cassino, alla Luiss, al Campus Bio-Medico, all’Accademia nazionale di Danza e al Conservatorio Santa Cecilia) sta preparando una presentazione ufficiale dell’iniziativa entro il mese di marzo.

IL SERVIZIO PUBBLICO

L’iniziativa nelle università si potrebbe rivelare assai significativa, a fronte di un deficit del servizio pubblico, su questo fronte. Il 20% degli intervistati nella ricerca Enpap dichiara di non andare dallo psicologo solo per motivi economici. Eppure, l’84% ritiene che lo psicologo sarà sempre più importante nella propria vita privata e di lavoro. Nel ruolo dello psicologo, e nella sua affermazione – nei Paesi anglosassoni e del Nord Europa in generale la pratica è consolidata, nei Paesi mediterranei solo negli ultimi anni si sta sgretolando lo stigma sociale destinato a chi ammette di avere bisogno di un sostegno psicologico – c’è il sintomo di una trasformazione sociale e culturale. La mamma, il parroco o il sindacalista hanno spesso svolto nel passato e nelle abitudini alle nostre latitudini quel sostegno che oggi si cerca altrove.

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