La Cassazione equipara le perdite su crediti alle sopravvenienze passive

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La Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 3878 del 15.2.2025, si è pronunciata in ordine ad una ripresa fiscale connessa ad una somma pagata da una società in seguito all’escussione di una fideiussione rilasciata a favore della società controllata sottoposta a procedura concorsuale.

Per la società escussa, l’onere sostenuto integrava una sopravvenienza passiva o una perdita su crediti deducibile dal reddito, mentre l’Agenzia delle entrate riteneva che gli importi versati dovessero sommarsi al costo fiscale della partecipazione e che la successiva minusvalenza relativa alla svalutazione della partecipazione non fosse fiscalmente deducibile, ai sensi dell’articolo 101 Tuir.

La società fondava il ricorso per Cassazione sulla “violazione e falsa applicazione degli articoli 101, commi 4 e 5 e 94, comma 6, TUIR”, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che il pagamento della fideiussione prestata a favore della controllata avrebbe dovuto essere inteso solo come un effetto riflesso del patrimonio, andando ad incrementare unicamente il costo della partecipazione nella controllata.

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Per la Corte di cassazione le sopravvenienze passive, di cui all’articolo 101, quarto comma, Tuir, devono trovare una necessaria corrispondenza attiva in un precedente esercizio e conseguono al mutamento di una voce contabile che, nel trapasso da un esercizio a un altro, da attiva si trasforma in passiva, per cui tanto l’assunzione dell’obbligazione di garanzia, quanto il pagamento della società garante al terzo creditore ed il conseguente sorgere del credito di regresso, non potevano avere nel caso in esame rilevanza reddituale, ma solo patrimoniale, non essendosi verificata una simmetria tra un elemento attivo del reddito, sorto in un determinato periodo d’imposta, e la perdita di tale elemento in un successivo periodo d’imposta, costituente l’imprescindibile presupposto alla base dell’articolo 101, Tuir.

Inoltre, per la Cassazione, anche la differenza tra il regime fiscale della sopravvenienza passiva e quello della perdita su crediti è irrilevante, in quanto la disposizione di cui all’articolo 101, Tuir, non distinguerebbe fiscalmente la sopravvenienza passiva dalla perdita su crediti, deducibile solo a determinate condizioni.

Per la Corte, quindi, anche se, su un piano astratto, esiste una distinzione generale tra perdite di natura realizzativa e perdite di natura valutativa, tale distinzione influisce sulle ipotesi di deducibilità della perdita, ma sul piano fiscale è irrilevante, perché fiscalmente la sopravvenienza passiva sarebbe un contenitore inclusivo di diverse situazioni, nelle quali partecipa la perdita su crediti, la cui deducibilità è fiscalmente lecita solo se ricorrono le condizioni dell’articolo 101, comma 5, Tuir (la Corte rinvia anche a Cassazione n. 37174/2021).

Così testualmente il giudice di Cassazione:La giurisprudenza di questa Corte si è già pronunciata nel senso che in tema di imposte sui redditi, ai fini della deducibilità della perdita su crediti, quale componente negativo del reddito d’impresa, il contribuente deve fornire la prova dell’inerenza dei crediti all’attività imprenditoriale, per cui deve provare che la deduzione è riferita ad una pregressa tassazione del ricavo, poi divenuto inesigibile”.

Tale approdo interpretativo, sempre per la Cassazione, risulta confermato proprio dal disposto dell’articolo 109, comma 5, Tuir, nel quale si precisa che i componenti negativi sono deducibilise e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito“.

Orbene, per il giudice di legittimità, nel caso in questione, il pagamento del debito della società partecipata è stato eseguito, in base ad un contratto di fideiussione, nello stesso anno d’imposta, il 2007, in cui si sarebbe verificata la perdita del credito da regresso, sorto con il pagamento del debito della partecipata al creditore concordatario non soddisfatto integralmente, con la conseguenza che quel credito da regresso, non essendo sorto e non essendo stato tassato come componente positivo del reddito in precedenti esercizi, non può essere dedotto dalla base imponibile, andando a costituire, di fatto, un versamento a fondo perduto, come tale non deducibile, in favore della controllata.

Per la Cassazione, quindi, la perdita di un credito non disporrebbe di un regime fiscale autonomo, ma parteciperebbe del regime fiscale delle sopravvenienze passive (articolo 101, comma 4, Tuir), con la sola aggiunta di ulteriori presupposti alla base del diritto di deduzione (articolo 101, comma 5, Tuir), per cui in mancanza di una simmetria fiscale con un componente positivo tassato in un esercizio precedente, la perdita del credito, non correlandosi ad alcun componente reddituale attivo, difetterebbe della connotazione fiscale di sopravvenienza passiva deducibile e a supporto di tale principio di diritto, ritiene di poter raccordare tale sillogismo all’articolo 109, comma 5, Tuir, a mente del quale sono deducibili solo i componenti negativi che si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito. Principio di diritto da assumere almeno come giuridicamente stravagante, per almeno due motivi che, per motivi di spazio, si riportano in sintesi.

  • il richiamo all’articolo 109, comma 5, Tuir, è del tutto non pertinente e persino fuorviante, dal momento che l’integrale riproduzione letterale della norma consente di raccordarlo ad un ben diverso principio: “Le spese e gli altri componenti negativi ….sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi”. La conclusiva previsione del raccordo con i proventi che non vi concorrono in quanto esclusi (omessa dalla Cassazione) consente agevolmente l’individuazione dello storico scopo sotteso alla norma: quello di escludere la rilevanza fiscale dei componenti negativi di reddito causalmente raccordati ai ricavi e proventi fiscalmente esenti. Il diritto di deduzione fiscale del componente negativo, per detta valutativa, peraltro, della stessa di Cassazione (dalla nota sentenza n. 450/2018, nella quale la Corte ha ritenuto (finalmente) di recepire l’effettiva portata disciplinare dell’articolo 109, comma 5, Tuir, come storicamente indicata dalla Dottrina accademica) è condizionato dal principio dell’inerenza (principio non espressamente codificato, ma partecipe con nesso diretto dei fondamenti costitutivi del reddito), il quale richiede un solo raccordo causale – giustificativo qualitativo e non quantitativo – utilitaristico con l’attività d’impresa nella sua dinamica complessiva e non con individuati componenti positivi di reddito.
  • l’articolo 101, comma 5, Tuir, nell’esordire letteralmente con il richiamo alle perdite di beni di cui al comma 1, commisurate al costo non ammortizzato di essi e le perdite su crediti diverse da quelle di cui all’articolo 106, comma 3, Tuir, sono deducibili se risultano da elementi ceri e precisi, rende del tutto evidente la portata prescrittiva autonoma di tali fattispecie di perdite con le peculiarità delle sopravvenienze passive del comma 4. Il mancato esordio letterale di ricongiunzione con la prescrizione del comma 4 (del tipo “Le disposizione del comma 4 si applicano anche alle perdite di beni …e alle perdite su crediti”. Contiguità disciplinare a cui il legislatore fa ricorso ogniqualvolta intenda perseguire la sovrapposizione, almeno parziale, di un dato regime fiscale a più fattispecie, come, ad esempio, è il raccordo legislativo perseguito tra il comma 2, e il comma 2bis, dell’articolo 177, Tuir, in tema di conferimento di partecipazioni) lo rende del tutto autonomo e non un’appendice disciplinare del comma 4. Peraltro, il comma 5, nel richiamare le perdite dei beni d’impresa del comma 1 e nell’escludere dalla sua portata regolamentare le perdite sui crediti di cui al comma 3, dell’articolo 106, Tuir (le perdite sui crediti verso la clientela degli intermediari finanziari) da una parte ( vista l’omogeneità disciplinare delle perdite dei beni d’impresa e delle perdite sui crediti del comma 5 dell’articolo 101) porterebbe persino a riassumere nell’unitaria disciplina delle sopravvenienze passive, il regime fiscale, manifestatamente inconciliabile, delle perdite dei beni relativi all’impresa (il cui diritto di deduzione del costo non ammortizzato può derivare, ad esempio, da eventi calamitosi e di furto non preceduti da alcuna manifestazione di ricavo tassato in precedenza) e dall’altra escluderebbe, senza ragionevole motivo, dalle sopravvenienze passive, le sole perdite su crediti degli intermediari finanziari, generando conclusivamente un quadro normativo del tutto asistematico e caotico.

La sentenza non può che apparire incoerente persino con i principi generali del reddito d’impresa, dal momento che rischia di rimettere in discussione la giusta latitudine di riferimento del principio dell’inerenza.

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