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«Abbiamo appena completato l’iter burocratico, ora la costruzione può cominciare». Massimo Stordi parla del nuovo monastero che sorgerà a Poggio di Penna, su un colle presso Pomaia, in provincia di Pisa. Forse non sarebbe una notizia di grande interesse se si trattasse di un luogo di tradizione benedettina. Ma questo sarà un monastero buddhista. Il primo a essere realizzato ex novo in Italia per gli aderenti alla tradizione Mahayana: di qui la rilevanza dell’iniziativa che viene presentata a Milano sabato 8 marzo, in un convegno cui prende parte il venerabile Khen Rinpoche, l’abate del monastero di Koplan in Nepal cui fa capo tale tradizione, in dialogo con Enzo Bianchi, il fondatore della Comunità monastica di Bose e della Casa della Madia.
La Mahayana è una delle più importanti correnti internazionali del buddhismo, ha il proprio centro nella cittadina toscana di Pomaia, dove sinora i suoi aderenti si ritrovano in una villa ristrutturata, e Massimo Stordi è il presidente dell’associazione che la rappresenta in Italia. «Oggi la nostra comunità – spiega – conta una trentina tra monaci e monache. Non possono vivere nello stesso centro per motivi di spazio, alcuni abitano in residenze private. Nel nuovo monastero potranno tutti trovare posto e contiamo in futuro di poter arrivare a ospitare sino a un centinaio di persone». La presenza del buddhismo in Italia è divenuta assai importante: è la terza religione più diffusa (anche se molti la considerano una filosofia) dopo cristianesimo e islam. Ma, a differenza di quest’ultimo, ch’è praticato in prevalenza da cittadini di immigrazione recente o recentissima, il buddhismo è abbracciato perlopiù da italiani di vecchia data e di buone condizioni socioeconomiche. Ha preso piede in particolare dalla fine degli anni ‘60 del secolo scorso, attualmente viene seguito da quasi 350 mila persone e si articola in diverse correnti, tutte raccolte nell’Unione Buddista Italiana, ciascuna delle quali fa capo a centri ubicati nelle aree dell’Asia dove è radicato da circa venticinque secoli.
«Il disegno del nuovo monastero – spiega il suo progettista, l’architetto Gino Zavarella – trae ispirazione da quello dai suoi omologhi tibetani, che abbiamo visitato e studiato a fondo prima di metterci all’opera, peraltro seguendo i consigli e le richieste dei responsabili della comunità cui è destinato».
Il terreno su cui sorgerà è vasto, abbraccia un’ampia porzione della collina che diviene il suo giardino, parte integrante del monastero, coi suoi sentieri, i suoi prati, i suoi fiori, i suoi alberi. L’atmosfera orientale traspare subito dal profilo del tetto dell’edificio: ricorda un poco quello delle pagode. La facciata principale guarda verso sud e sullo spiazzo antistante campeggia una fontana: l’acqua è simbolo universale della vita che sgorga. Il suono del suo fluire comunica pace e serenità, invita alla contemplazione e alla meditazione: sono modi d’essere propri di chiunque scelga la vita monastica, sia di tradizione orientale oppure occidentale.
Il progetto di Gino Zavarella – –
Il progetto nel suo complesso e ogni suo dettaglio è inteso a esprimere l’atteggiamento buddhista, dedito al rispettoso rapporto con la natura e a favorire la vocazione al silenzio e alla preghiera. Posto su uno zoccolo elevato di sei gradini, l’edificio è avvolto da un loggiato che, così come i sentieri che s’inoltrano nel terreno circostante, sono disponibili per chi desidera meditare passeggiando. Dentro l’edificio si susseguono le celle dei monaci e delle monache, sale per la preghiera, le lezioni, le conferenze, gli incontri interreligiosi. Tali ambienti, disposti su quattro livelli di estensione decrescente, culminano con la zona destinata a ospitare le massime autorità quando giungano in visita, come sua santità il Dalai Lama, la figura principale del buddhismo riconosciuta da tutte le famiglie nelle quali esso si articola. Il cuore del monastero è una grande sala nella quale campeggia la statua del Buddha: vi si svolgono le preghiere, i rituali, le meditazioni e gli insegnamenti collettivi, mentre gli ampi spazi esterni favoriscono la pratica individuale.
Le varie parti dell’edificio – colonne, fasce marcapiano, pareti – sono distinte da due colori: il giallo e l’arancione. Sono gli stessi che caratterizzano le vesti dei monaci e hanno un valore simbolico, così come lo hanno gli ornamenti policromi dei capitelli, i trafori delle porte e la grande ruota che si erge sul prospetto principale. Massimo Stordi spiega così il significato di quegli elementi: «Il giallo e l’arancione simboleggiano la rinuncia e l’impegno verso il percorso spirituale. Tra gli altri, molteplici decori che, presenti ovunque, recano un’infinità di significati simbolici, spicca quello della ruota. È un soggetto molto popolare e incorpora tutti gli argomenti importanti del buddhismo, come le quattro Nobili Verità, l’origine e le cause delle sofferenze, il fenomeno ciclico della nostra esistenza, l’impermanenza e altro ancora. La grande ruota è accostata sui fianchi da una coppia di cervi: quando fu chiesto al Buddha di trasmettere la sua dottrina, una coppia di cervi, maschio e femmina, uscì dalla foresta e lo guardò impassibile. La riproduzione di tale evento rappresenta i discepoli maschi e femmine che provano piacere nell’ascoltarne gli insegnamenti».
Il nuovo edificio sarà costruito sulla roccia, come lo sono i monasteri tibetani, e recuperando il territorio segnato dalla escavazione di una precedente cava dismessa. L’architettura sarà sensibile sia alle tradizioni antiche sia al contesto paesaggistico e seguirà un percorso di eco-sostenibilità, garantendo così un basso impatto ambientale, risparmio energetico e di risorse.
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