L’Europa come fede. L’alternativa è marciare o ragionare

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#finsubito

Conto e carta

difficile da pignorare

 


Per gli agnostici non è facile entrare nel merito delle convinzioni religiose altrui. Si prova un certo imbarazzo, perché ci si rende conto di essere in una posizione difficile: anche se accompagnato dalle migliori intenzioni, un argomento formulato “da chi sta fuori” può essere facilmente frainteso, esponendo chi lo ha proposto all’accusa di mancanza di rispetto per la fede altrui. Forse qualcosa di simile a questo meccanismo psicologico di estrema cautela può aiutarci a comprendere perché, anche quando ce ne sarebbe un grande bisogno, il dibattito sull’Europa è così povero. Si convocano marce, ma si evitano le discussioni nel merito di scelte politiche dalle conseguenze di grande importanza. L’Europeismo è stata l’unica fede sopravvissuta a un’epoca di profondo disincanto. Una fede difesa dai suoi vescovi e cardinali, la cui parola autorevole può essere ripresa dai pulpiti parrocchiali, ma non discussa come si farebbe in un dibattito laico, e aperto al contributo dei “gentili”.

Per una parte della sinistra italiana dopo la caduta del muro di Berlino, la scelta europeista è stata un conveniente sostituto del comunismo, e anche un modo per darsi una patina di legittimità nel nuovo mondo post guerra fredda, senza passare per le forche Caudine della socialdemocrazia. In fondo, non c’era Delors tra i padri della nuova Europa sociale che stava nascendo? Perché attardarsi su una vecchia cultura socialista che, anche quando aveva accettato il metodo riformista, aveva conservato una sana diffidenza nei confronti del capitalismo (e dei capitalisti), si teneva stretto il rapporto (anche se non sempre facile) col sindacato, e difendeva il welfare universalista come una conquista di civiltà? Nel nuovo catechismo ordoliberale era possibile conservare i benefici di un secolo di lotte del movimento operaio e al tempo stesso arricchirsi, liberandosi anche dalla seccatura della partecipazione politica, perché il mercato funziona come un orologio, e segna sempre l’ora giusta. Al massimo, ogni tanto, deve essere revisionato da un orologiaio di quelli bravi.

Nel vuoto politico che si è creato nel nuovo secolo, rifugiarsi nel conforto della fede è servito a non farsi fuorviare troppo dai cambiamenti che avvenivano nella prassi e sotto la spinta degli eventi. Non che mancassero i segnali preoccupanti e chi li richiamava all’attenzione del pubblico (tra gli altri spiccano i nomi di Ralf Dahrendorf e di Tony Judt). Ma i cardinali non discutono di dottrina con gli scettici, al massimo li ascoltano con garbo nell’ambito di quelle lodevoli istituzioni che sono le “cattedre dei non credenti”. Questa neutralizzazione della critica per custodire la fede dei credenti, anche quando a criticare sono interlocutori non ostili, ha fatto molto male all’Europa negli ultimi anni, in maniera sempre più evidente a partire dalla crisi del debito greco, ed è una delle cause principali (ma accuratamente rimossa dal clero europeista) della violenta reazione nazionalista che ha portato al governo, o nell’anticamera del potere, forze politiche cresciute proprio proponendosi come alternative all’Europa come è diventata (più neoliberale e molto meno sociale).

Microcredito

per le aziende

 

Alla fine degli anni Novanta, ragionando sulla possibile crisi della futura moneta unica (un tema che era dibattuto tra gli economisti) Timothy Garton Ash scriveva: «Gli euro-ottimisti sperano che questa crisi catalizzerà la liberalizzazione economica, la solidarietà europea e forse anche quei passi di unificazione politica che storicamente hanno preceduto, non seguito, le unioni monetarie di successo. Una paura condivisa delle conseguenze catastrofiche di un fallimento dell’unione monetaria unirà gli europei, come ha fatto in passato la paura condivisa di un nemico esterno comune (mongoli, turchi, sovietici). Ma è un vero e proprio salto di fede dialettico suggerire che una crisi che esacerba le differenze e le tensioni tra i paesi europei sia la strada migliore per unirli». Oggi siamo arrivati proprio dove immaginava Garton Ash: il nemico è alle porte, ci dicono, e dobbiamo fare un altro salto. O meglio, dovremmo marciare per testimoniare la nostra fede, confidando ancora una volta nella provvidenza che ci porterà a riunirci. Se la sinistra vuole sopravvivere, invece, è arrivato il momento di mettere in discussione i dogmi e tornare a ragionare.



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