La maggior parte dei dipendenti e delle dipendenti non conosce nemmeno gli strumenti a tutela di chi subisce molestie, segnala il report della Cgil. Le persone intervistate indicano un rapporto diretto tra rischio di violenze e rapporto gerarchico
Nella pubblica amministrazione le molestie non sono casi isolati. Lo confermano i primi dati dell’indagine su scala nazionale lanciata dalla Funzione pubblica Cgil lo scorso 25 novembre, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
L’analisi, che si concentra sulle funzioni centrali, locali e sanità pubblica, è stata presentata giovedì 6 marzo alla Camera dei deputati in vista dell’8 marzo. Su 1.200 segnalazioni ricevute, sono oltre cinquecento le persone a conoscenza di episodi di molestia o violenza all’interno del proprio luogo di lavoro, con una concentrazione più elevata nella sanità pubblica.
In tutti e tre i settori il rischio percepito di ripercussioni in caso di denuncia oscilla tra il 6,7 e il 6,9 su 10. Questi numeri sono anche più preoccupanti se letti assieme alla valutazione insufficiente che gli intervistati hanno dato sulla disponibilità e l’efficacia dei servizi di supporto per le vittime. «Ho denunciato nelle sedi opportune – si legge nel report della Cgil – ma a nulla è servito. Anzi, la mia situazione è peggiorata». La media delle risposte mostra, infatti, che la percezione dell’adeguatezza di questi servizi si attesta tra il 3,63 e il 4,82 su 10.
Quando gli strumenti, anche se minimi, ci sono, spesso i dipendenti non ne sono al corrente e se non si conoscono allora è come se non esistessero. Oltre il 73 per cento degli intervistati non è a conoscenza del Codice per la prevenzione delle molestie e delle violenze della propria amministrazione. Il 50 per cento non sa della possibilità per le donne vittime di violenza di astenersi per un periodo dal lavoro e il 60 per cento non ha notizia dell’esistenza della Consigliera di Parità, che si occupa delle discriminazioni di genere. Questa scarsa conoscenza degli strumenti esistenti è parte integrante del problema.
«Un aspetto rilevante per immaginare misure di contrasto è la consapevolezza delle figure preposte a scardinare le dinamiche della violenza, per questo la Cgil e l’Inail hanno attivato un percorso di formazione per i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza», ha detto a Domani la Segretaria nazionale della Cgil, Lara Ghiglione.
A ciò si aggiunge che, oltre il 74 per cento degli intervistati ha poca o nessuna consapevolezza di queste tematiche in generale e che il 79 per cento pensa che sia necessaria una formazione sul proprio luogo di lavoro, affinché lavoratrici e lavoratori possano riconoscere violenze o molestie. Nella direttiva “superamento violenza contro le donne” del novembre 2023 il ministro per la Pubblica amministrazione, Paolo Zangrillo, ricordava il programma “Riforma Mentis” «in riferimento alla necessità di un cambiamento culturale» attraverso la «sensibilizzazione sulle conseguenze degli stereotipi sessisti e delle molestie sul luogo di lavoro».
Dai primi risultati dell’indagine della Cgil non sembra aver avuto molto successo questo corso, complice forse anche la modalità di fruizione: un’autoformazione online facoltativa di un’ora attraverso la piattaforma della pubblica amministrazione “Syllabus”, su cui per altro si sono registrati solo il 56 per cento dei dipendenti abilitati.
Il capo molestatore
Il messaggio di fondo del report è quanto le donne si sentano insicure sul proprio luogo di lavoro principalmente perché, citando il documento, «alla base c’è una cultura machista e patriarcale e di segregazione verticale» e come potrebbe essere altrimenti, se dal report è evidenziato che la relazione tra potere e abuso è valutata tra il 7,03 e l’8,5 su 10, cioè spesso è il superiore gerarchico ad approfittare della sua posizione.
Motivo per cui la Segretaria generale della funzione pubblica Cgil, Serena Sorrentino, ha chiesto che «la formazione dei dirigenti nel contrasto alle forme di discriminazione di violenza nei luoghi di lavoro diventi un programma obbligatorio della Sna».
Per migliorare la sensazione di sicurezza delle donne diventa imprescindibile allora la proposta della Cgil di un congedo retribuito per chi subisca violenze o molestie sul lavoro, consentendo l’allontanamento dal luogo di disagio senza danno. Misura richiesta anche dall’83,7 per cento degli intervistati. Un congedo simile esiste già dal 2015 e prevede un’assenza fino a 90 giorni per le lavoratrici inserite nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere, ma come chiarisce Sorrentino «serve più flessibilità sia per le persone che possono essere coinvolte che nella modalità di fruizione del congedo, che non abbia un minimo e un massimo e sia affidato alla contrattazione».
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