Rossi e neri non sono tutti uguali

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Sconto crediti fiscali

Finanziamenti e contributi

 


Intervistato poco tempo prima di spegnersi in oscure circostanze, Pasolini paventò con decenni di anticipo sulla tabella di marcia il rischio di una perdita di consapevolezza politica per la cittadinanza del nostro Paese, spingendosi a parlare di una futura Italietta senza nerbo incapace di farsi valere nell’agone internazionale rassegnandosi all’insignificanza. Già nel 1929 il grande e controverso giurista Carl Schmitt nel breve saggio tratto da un suo discorso “L’epoca delle neutralizzazioni e spoliticizzazioni” commentava il suo tempo come gravitante attorno ad un centro tecnico che minacciava di rendere le ragioni spirituali dell’uomo secondarie e cosmetiche rispetto all’imperativo tecnologico e alla “religione del tecnicismo”, cancellando l’articolazione amico/nemico di cui si è sempre nutrita la politica in ogni tempo.

Oramai siamo arrivati a poter certificare l’intuizione schmittiana, prendendo atto dell’appiattimento strisciante dei partiti e della loro lenta e costante decomposizione mentre sullo sfondo vige un tacito accordo sulle necessità di rispettare il pareggio di bilancio come il fiscal compact devitalizzando la natura conflittuale propria dello spazio politico. Dai cieli della metafisica che animavano l’asse valoriale di epoca medievale al trionfo della scienza triste economica (per citare Thomas Carlyle) e infine all’ascesa dei tecnofeudalismi che sbriciolano quel che restava degli stati-nazione che sono impossibilitati a competere contro lo strapotere dei vari global player, Musk, Zuckerberg, ecc., a perdere è la politica risucchiata nella spirale tecnocratica. Per trovare conferme basti guardare al ruolo giocato dalla piattaforma Facebook ai tempi di Capitol Hill, al faraonico Bezos accolto da Modi, al ruolo di Starlink nei conflitti bellici: la realtà dei fatti non si piega al primato della politica a cui finiscono di credere solo gli ingenui. Se a questo aggiungiamo il tramonto dei partiti di massa per il collasso delle tavole dei valori politici precedenti, lo sgretolamento dei sindacati per effetto della disintermediazione di epoca neoliberista e il passaggio ad un sistema lavorativo post-fordista che atomizza la figura del lavoratore spingendolo al bellum omnia contra omnes facendogli credere di essere imprenditore di sé stesso, il quadro desolante che abbiamo davanti agli occhi rende facile capire perché parlare di destra e sinistra rischi di suonare obsoleto.

Guardando avanti, evitando sterili nostalgismi verso orizzonti politici irrimediabilmente lontani dall’oggi, ragionare delle distinzioni e degli steccati del perimetro politico ci può essere d’aiuto nella misura in cui serve recuperare quella tensione originaria che è il cuore del fare politica per contrastare la perdita di senso in atto. Se la politica sta vivendo il suo crepuscolo per la convergenza dei fattori sopraccitati urge cercare una panacea riannodando i fili e ripercorrendo le riflessioni sulla distinzione tra gli schieramenti che oggi sono minacciati di cancellazione a causa di una disaffezione generalizzata indotta dalla crisi della democrazia. È qui d’obbligo partire da Norberto Bobbio, che nel 1994 verga un saggio agile destinato ad incontrare un immediato successo forte di mezzo milione di copie vendute e ancora oggi considerato un classico: in “Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica” per la Donzelli partendo dalla classificazione di J. A. Laponce e proseguendo a disaminare innumerevoli altri studi si rintraccia nel rapporto con l’eguaglianza il fulcro del dissidio tra le parti politiche. Mentre il progressismo senza assolutizzare l’ideale egualitario mira ad una maggiore eliminazione della disuguaglianza generale tra gli esseri umani considerandola un traguardo auspicabile, la pars conservatrice reputa impraticabile tale meta preferendole la difesa delle libertà individuali assumendo una differenza di base non superabile tra i soggetti della comunità politica. La prima ottimisticamente persegue l’ideale di un maggiore allargamento della piattaforma dei diritti in nome della fiducia nell’intrapresa umana, la seconda per realismo pessimistico portata a canonizzare l’esistente, a considerare non oltrepassabili i confini assegnatici in sorte dalle differenziazioni soggettive in forza della loro naturalità violata la quale subentrerebbero problemi di governance.

Prestito condominio

per lavori di ristrutturazione

 

La soluzione bobbiana al problema dell’identificabilità di un limes preciso per tracciare distinzioni, tuttavia, al netto di ottimi spunti d’analisi incontra delle difficoltà allorquando ci si accinga a scendere nel caso empirico, tentando di mappare fenomeni compositi che non possono essere compresi con coordinate così statiche. Come notato da Massimo Cacciari in un’intervista a Repubblica del 2013, più nessun movimento politico per quanto a parole illiberale persegue il mantenimento dello status quo al punto da rigettare in toto una qualche forma di egualitarismo politico, accettando il lascito moderno delle battaglie egualitarie di area socialista diversamente declinate. E come sempre ricordato anche dal politologo Marco Tarchi, soggetti politici molto diversi tra loro hanno sposato per le circostanze più diverse tanto le ragioni dell’olismo sociale quanto un’antropologia filosofica di taglio individualistico, venendo ad amalgamarsi contraddittoriamente assecondando la lente bobbiana.

Roma, Gennaio 2025. XXIII Martedì di Dissipatio

In questo senso la replica alle argomentazioni bobbiane l’anno seguente nel volumetto “Destra e sinistra. Risposta a Bobbio” per Vallecchi di Marcello Veneziani ebbe il merito di metterne in discussione la perentorietà dettagliando le frange conservatrici nelle loro sfaccettature (smontando la lettura dualistica fatta valere dal filosofo di Torino) e dimostrando come più che sull’uguaglianza il differenziale sinistra/destra è destinato a diventare quello tra la difesa della comunità in cui si radica e della libertà emancipativa contro il legame sociale. Veneziani aveva già mostrato nel suo “Processo all’Occidente. La società globale e i suoi nemici” per SugarCo come il sorgere della Nouvelle Droite francese renda ancora più complesso il quadro con l’avvento di una concezione politica dotata di una commistione tra aspetti solidaristici popolari e vecchi layer conservatori al di là della dicotomia comunemente accettata. Sullo stesso tenore Marcel Gauchet in quel giro d’anni aveva contributo a gettare luce sull’argomento con “Destra e sinistra. Storia di una dicotomia” (ripubblicato recentemente con una nuova postfazione dell’autore per Diana edizioni), da un lato ricostruendo la genealogia storico-sociale della distinzione rintracciandone tre step principali coincidenti con il dibattito sulle ragioni della rivoluzione nel 1815, ai tempi della Restaurazione, poi con il dibattito ai primi del Novecento sul rapporto tra l’umanitarismo e il primato della nazione e infine negli anni Trenta del secolo scorso nel dissidio fascismo/socialismo.

A quel punto i concetti destra e sinistra adoperati ai tempi della Rivoluzione francese per indicare la ripartizione dei seggi assembleari e prima ancora nel lontano 1672 per trattare della divisione dei membri dei comuni alla destra e alla sinistra del re inglese si solidificano, si autonomizzano e camminano con le proprie gambe.  In mezzo la storia e i suoi infiniti tracciati, che ha concorso a incubare le categorie che adesso si leggono come essenze atemporali: a detta di Gauchet per quanto divisioni simboliche esse rimangono operative perché permettono di leggere ermeneuticamente lo scontro politico ancorandolo ad una linea divisoria intuitiva. Tutto questo malgrado l’emergere di orientamenti consumistici e libertari abbia affossato la morale corporativa conservatrice e l’accettazione delle regole del gioco di mercato abbiano annichilito le ansie palingenetiche di sinistra, e senza parlare dell’ascesa del populismo e dell’ecologismo che rompono tale separazione virtuale complessificandola.  

Diversi anni dopo, il politologo esperto di Schmitt Carlo Galli si cimentò da par suo nel tentativo di trovare un setaccio discriminatore per la disamina delle categorie politiche, scrivendo nel 2010 “Perché ancora destra e sinistra” dove all’enfasi sul topic dell’eguaglianza cede il passo il rapporto degli schieramenti progressista/conservatore intrattenuto con la perdita di centro dello spazio politico moderno. Se la sinistra in nome del progresso e della disalienazione dai ceppi tende a razionalizzare il disordine sociale percepito a vantaggio di una pianificazione ordinata in senso politico, la destra tenderebbe a concepire tale entropia comunitaria come un male necessario innocuizzabile ma mai definitivamente messo sotto scacco nemmeno dal concorso della pratica rivoluzionaria. In altri termini a detta di Galli come pure nel suo “Spazi politici. L’età moderna e l’età globale” del 2001, l’articolazione destra/sinistra risponde alla decostruzione degli ordini politico-culturali dell’epoca medievale e antica, acquisisce linfa in occasione dell’irrimediabile scomparsa degli orizzonti simbolici che radicavano le comunità entro confini rigidi marcati da paletti inaggirabili, diventa rilevante quando scompare un impianto organicistico che non può più dare conto dei conflitti. Da qui il suo auspicio di un progressismo che possa puntare ad una sempre più ampia emancipazione dell’uomo in lotta contro la precarizzazione dell’esistenza decisa dal paradigma neoliberal che rappresenterebbe una radicalizzazione del sistema capitalista senza fughe dalla storia facendo valere un “Marx eretico” come poi scriverà in un altro studio dedicato al Moro.

Per (non) concludere, è utile sottolineare sulla falsariga dell’indianista e sociologo Louis Dumont che se è vero che la politica moderna è concepibile solo a partire dal fiume carsico della storia che ha portato in trionfo il tipo d’uomo aequalis e il suo individualismo comune tanto ai liberali quanto ai loro avversari marxisti e perfino nazisti nel privilegiare il rapporto con le cose rispetto al rapporto gerarchico e premoderno con gli uomini nel plesso sociale arcaico, allora forse la riarticolazione della dicotomia destra-sinistra per tornare di moda dovrà fare autocritica rinunciando agli utopismi e ai passatismi gretti integrando l’organicismo sociale funzionalista e l’antropologia monadica moderna, olismo e individualismo. Un regime democratico rinnovato in questa direzione potrebbe puntare ad una forma politica senza partitocrazia integrando la persona nella comunità a partire da un’offerta politica pluralistica facendo venire meno l’ortodossia ideologica degli schieramenti senza per questo rinunciare ad un asset di servizi sociali in grado di contrastare il “capitalismo assoluto” di cui parlava Costanzo Preve. Degli orientamenti ideologici in quest’angolatura si manterrebbe dialetticamente quanto c’è di conservabile trovando un trait d’union nella difesa della nuda vita dal totalitarismo tecnico e capitalista, sulla via di volta in volta della conservazione di tratti considerati irrinunciabili della condizione umana o del loro automiglioramento sempre tenendo la barra dritta su una natura umana da tutelarsi pena cadute nichilistiche.



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Finanziamo agevolati

Contributi per le imprese

 

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link