Suicidio Vincent Plicchi su TikTok: cyberbullismo, archiviazione e indagini per diffamazion

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Archiviazione per l’ipotesi di reato di istigazione al suicidio e trasmissione degli atti alla Procura per indagare sull’ipotesi di diffamazione. Il gip di Bologna Alberto Ziroldi ha dunque accolto parzialmente le richieste dei familiari di Vincent Plicchi, il tiktoker 23enne che si suicidò in diretta social nell’ottobre 2023 dopo essere stato vittima di cyberbullismo, che si erano opposti alla richiesta di archiviazione presentata dal pm Elena Caruso.

Le indagini preliminari

La Procura aveva chiesto l’archiviazione al termine delle indagini svolte a seguito dell’esposto presentato lo scorso maggio dai familiari del giovane, in cui si ipotizzavano reati come istigazione al suicidio, cyberstalking e minacce, indagini che gli stessi familiari e il loro legale Daniele Benfenati ritenevano del tutto insufficienti.

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Le motivazioni del giudice

Motivando la propria decisione, il gip scrive che “le condotte dei soggetti coinvolti, benché moralmente del tutto riprovevoli, non paiono idonee alla configurazione” del reato di istigazione al suicidio, in quanto “non vi è la prova”, che per Ziroldi non sarebbe in alcun modo acquisibile, “che gli autori dei messaggi e dei commenti contestati fossero realmente consapevoli del fatto che tali atteggiamenti avrebbero potuto spingere Vincent Plicchi all’estremo gesto”. Inoltre, rileva il giudice, lo stesso Plicchi “non aveva mai manifestato pubblicamente il proprio disagio, ma aveva rivelato l’intento di farla finita” soltanto in due occasioni, nell’ambito di chat private “con due utenti del tutto estranei alla vicenda”.

L’analisi dei presunti responsabili

Lo stesso ragionamento vale, secondo Ziroldi, per “i due soggetti individuati come i presunti autori del piano da cui aveva avuto origine il linciaggio mediatico”, che “avevano come unico obiettivo quello di neutralizzare l’ascesa sui social del personaggio ‘Inquisitor'”, che Plicchi ‘interpretava’ su TikTok nella sua attività di cosplayer. E pur “sottolineando la superficialità” con cui i due “hanno sottovalutato la gravità delle accuse mosse a Vincent e delle conseguenze che avrebbero potuto generare”, il gip afferma che “è difficile ipotizzare anche solo astrattamente, e in assenza di prove concrete, che i due potessero nutrire un serio proposito di spingere Vincent Plicchi al suicidio”.

Esclusione di altri reati

Per il giudice non è neppure possibile che si configuri il reato di cyberstalking, dal momento che, nonostante “il contributo fornito da ciascuno degli utenti nella cosiddetta ‘shitstorm’ posta in essere nei confronti di Vincent Plicchi dalla community online abbia, nei fatti, ingenerato” nello stesso Plicchi “uno stato d’ansia tale da indurlo poi al suicidio”, i messaggi contenenti minacce e offese provenivano “da account riconducibili a soggetti differenti, rispetto ai quali non si configura dunque l’abitualità propria del delitto di atti persecutori, intesa come reiterazione delle condotte vessatorie”. Non si può ipotizzare il concorso nel reato, in quanto “non è possibile sostenere che i vili messaggi rivolti a Vincent fossero espressione di una comune intenzione e di un accordo preordinato tra i vari utenti”. I messaggi in questione, rileva inoltre Ziroldi, sono “perlopiù estemporanei e dettati più verosimilmente dall’impulsiva e incontrollata volontà di censurare la condotta di adescamento di minori falsamente attribuita” a Vincent.

La prospettiva della diffamazione

Per il gip, dunque, l’unico reato ipotizzabile potrebbe essere quello di diffamazione, rispetto al quale, però- tralasciando “le indubbie criticità connesse all’identificazione certa degli utilizzatori degli account” (il padre di Plicchi, nel criticare l’operato della Procura, aveva infatti affermato che “l’unica attività di indagine svolta è stata una richiesta sbagliata di quattro nickname ai social per sapere chi fossero gli utenti”)- Ziroldi ricorda che “non vi è domanda di inazione” da parte della Procura, che aveva chiesto l’archiviazione solo per l’ipotesi di reato di istigazione al suicidio.

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La decisione finale

Da qui la decisione di disporre l’archiviazione proprio per l’ipotesi investigativa di istigazione al suicidio e di trasmettere gli atti alla Procura perché indaghi sull’ipotesi di diffamazione. Una vittoria parziale per i familiari, rappresentati dall’avvocato Daniele Benfenati.

La posizione dei familiari

Quest’ultimo, al termine dell’udienza in cui era stata discussa l’opposizione alla richiesta di archiviazione, aveva spiegato ai cronisti che in aula aveva “ribadito la necessità, secondo noi, di svolgere nuove indagini non solo sull’ipotesi di reato di istigazione al suicidio, su cui comunque abbiamo insistito fermamente perché per noi sussiste, ma anche, eventualmente, sul cyberstalking e le minacce gravi, scendendo fino alla diffamazione”.



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