Ustica, nessun colpevole: la Procura chiede l’archiviazione definitiva


Dopo oltre quattro decenni di inchieste giudiziarie, rogatorie internazionali e testimonianze incomplete e contraddittorie, la strage di Ustica rischia di restare impunita. La Procura di Roma ha infatti chiesto l’archiviazione delle ultime indagini sul disastro del DC-9 Itavia, il volo partito da Bologna e diretto a Palermo che la sera del 27 giugno 1980 si inabissò nel mar Tirreno, causando la morte di 81 persone. L’ipotesi della bomba a bordo è stata definitivamente scartata, mentre quella della battaglia aerea resta confermata, senza però essere sfociata nell’individuazione di responsabili. Un possibile finale che lascia sgomenti i familiari delle vittime, costringendo ancora una volta l’opinione pubblica a fare i conti con un mistero che rischia di restare tale per sempre.

Il mancato supporto alleato

Nello specifico, la richiesta di archiviazione riguarda due distinti procedimenti: il primo, aperto nel 2008, si basava sulle dichiarazioni dell’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, il quale indicò nei francesi i responsabili del lancio del missile che avrebbe abbattuto l’aereo; il secondo, avviato nel 2022, era scaturito da un esposto dell’Associazione per la verità su Ustica. Entrambe le indagini hanno confermato lo scenario della battaglia aerea, ma non sono riuscite a identificare gli autori del disastro. La Procura ha dovuto prendere atto della mancanza di prove inconfutabili, aggravata da una collaborazione internazionale definita insufficiente e, in alcuni casi, addirittura fuorviante. Nonostante anni di pressioni diplomatiche e richieste ufficiali, gli Stati coinvolti hanno infatti mantenuto un atteggiamento reticente. Francia, Stati Uniti e altri Paesi europei non hanno fornito risposte esaustive alle numerose rogatorie italiane, lasciando inevase domande cruciali sui caccia militari in volo quella notte nei cieli di Ustica. I magistrati romani hanno dunque dovuto prendere atto dell’impossibilità di ricostruire con certezza l’identità dei responsabili, chiudendo l’ultimo spiraglio giudiziario rimasto aperto sulla tragedia. La notizia ha suscitato profonda amarezza tra i familiari delle vittime. «Dolore per i nostri morti, che ancora non hanno avuto giustizia, e delusione per decenni di indagini senza risposte definitive – ha detto Daria Bonfietti, presidente dell’Associazione dei familiari, manifestando grande amarezza –. L’Italia deve continuare a chiedere collaborazione agli Stati alleati, per la propria dignità nazionale e per la verità su Ustica». Ora spetterà al GIP valutare se accogliere la richiesta di archiviazione o se invece proseguire nella ricerca della verità.

Le parole di Amato

La strage di Ustica rappresenta uno dei principali episodi irrisolti della storia italiana. Quel giorno di giugno, in piena Guerra Fredda, un aereo DC9 Itavia partito da Bologna alla volta di Palermo, arrivato nei pressi dell’isola, scomparve misteriosamente dai radar. Il giorno seguente, riaffiorarono in mare i detriti del velivolo insieme ai corpi di alcuni passeggeri. Erano in tutto 81: nessuno si salvò. In un primo momento si parlò di un cedimento strutturale del mezzo Itavia, poi di un attentato, infine di una bomba nascosta nella toilette del velivolo ed esplosa durante il viaggio. Tre settimane dopo, il 8 luglio 1980, verrà ritrovata sui monti della Sila, in Calabria, la carcassa di un caccia militare libico. Nel settembre del 2023, avevano destato scalpore le parole espresse in un’intervista a Repubblica sul tema dall’ex premier Giuliano Amato, il quale si disse convinto che la versione più credibile indicasse nell’aviazione francese la responsabile dell’abbattimento del DC9, con la complicità degli USA. L’aeronautica francese avrebbe infatti avuto l’obiettivo di colpire un Mig libico su cui avrebbe dovuto essere presente la massima autorità libica Muammar Gheddafi, che sarebbe stato convinto a non salire sul suo aereo dal leader socialista Bettino Craxi. Il quale, a detta di Amato, non rese pubblica la verità perché «sarebbe stato incolpato di infedeltà alla Nato» e di «spionaggio in favore dell’avversario». Secondo Amato, sia la tesi del cedimento strutturale dell’aeromobile, sia quella del cedimento interno a causa di un ordigno riferita dalle alte gerarchie militari italiani allo stesso Amato quando, da Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, fu investito della questione, sarebbero solo «falsità». Insomma, la nostra aeronautica sarebbe stata «schierata in difesa della menzogna», perché dietro alla tragedia vi sarebbe stato «un segreto che riguardava la Nato».

Le morti sospette

Un capitolo assai oscuro si è rivelato nel tempo quello delle morti sospette di personaggi in qualche modo legati alla vicenda di Ustica. Uno dei casi più emblematici è quello del tenente colonnello Sandro Marcucci, il quale morì il 2 febbraio 1992 in un incidente aereo sulle Alpi Apuane attribuito a un errore di pilotaggio e a condizioni meteorologiche avverse, sebbene non ci fosse vento quel giorno. Marcucci, ex pilota dell’Aeronautica, era noto per la sua esperienza e aveva raccolto documenti sulla strage di Ustica. Il sopralluogo nel bosco dove cadde il Piper pilotato da Marcucci non fu fatto immediatamente, come è prassi e regola in questi casi, ma solamente nei giorni successivi alla rimozione del cadavere e dei rottami dell’aereo. Il maresciallo Mario Alberto Dettori, in servizio nella notte di Ustica al centro radar di Poggio Ballone, fu invece trovato impiccato nel 1987 dopo aver manifestato a familiari e colleghi forte preoccupazione e timore per quanto accaduto. Il master controller del 21° CRAM in servizio quella notte a Poggio Ballone era il capitano Maurizio Gari, stroncato da infarto il 9 maggio 1981, nemmeno un anno dopo l’abbattimento del DC9. Venne trovato impiccato, il 21 dicembre 1995, anche il maresciallo Franco Parisi, controllore di sala operativa di centro radar. Era di turno la mattina del 18 luglio 1980, quando venne rinvenuto il Mig libico precipitato sulla Sila. Convocato in Tribunale come testimone, morì pochi giorni dopo. A perdere la vita furono anche i piloti Ivo Nutarelli e Mario Naldini, che la notte della strage volavano nella stessa zona su uno degli F-104 che lanciarono l’allarme di emergenza generale. Ciò avvenne nel disastro di Ramstein nel 1988, durante un’esibizione delle Frecce Tricolori, poche settimane prima di comparire davanti al giudice.

[di Stefano Baudino]





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