il via alla terza edizione

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Non cedere ad allarmismi continui e, anzi, approfondire e ragionare sulle radici storiche che hanno portato alla situazione internazionale che stiamo vivendo in questi giorni. Ma anche risvegliare l’Europa, perché non si limiti alle intenzioni o ai “no” e riaffermi il suo ruolo, per i suoi cittadini, la sua economia, il suo futuro. Su queste linee si è aperto il sipario sulla terza edizione di Open Dialogues for the future stamattina nella Chiesa di San Francesco. Ospite il presidente Cciaa Pn-Ud, ideatrice dell’evento, Giovanni Da Pozzo con il vicepresidente Michelangelo Agrusti. La manifestazione è organizzata dalla Cciaa Pn-Ud con la collaborazione di The European House – Ambrosetti e la direzione scientifica di Federico Rampini.

Da Pozzo

“Questa è un’edizione di consolidamento per nostro Open Dialogues – ha esordito Da Pozzo – e contiamo anche sul supporto di Regione Fvg, Comune di Udine e Fondazione Friuli, che assieme alla partecipazione dell’Università e al patrocinio di Unioncamere e Ministero delle Imprese e del Made in Italy, ci garantiscono una condivisione istituzionale davvero importante, per un evento partecipato e diffuso nel cuore della città di Udine, storicamente crocevia di popoli e culture e con una spiccata apertura verso l’estero. Un luogo ideale per un confronto a più voci tra autorevoli esperti internazionali, analisti e imprenditori, una naturale prosecuzione del nostro percorso Friuli Future Forum con cui la Cciaa fina dal 2010 ha voluto ogni anno invitare la comunità a prepararsi con consapevolezza al futuro”. Da Pozzo ha anche ripercorso i principali fatti internazionali degli ultimi 3 anni. “Ci hanno fatto capire che questo evento era necessario, utile ad aiutare tutti noi a leggere e interpretare meglio questa complessa realtà geopolitica e geo-economica globale in cui siamo immersi, con le nostre imprese, le nostre economie e più in generale con le nostre vite”.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Agrusti

Agrusti ha quindi ha rimarcato il ruolo della Camera di Commercio come “protagonista di riflessioni importanti per le nostre comunità. La nostra storia di millenni – ha ribadito – è la nostra forza e nessuno ce la può portar via. Noi siamo storia e futuro e nessuno si può chiamar fuori in una valutazione di ciò che sta accadendo, in un momento che mi preoccupa molto e in cui anche le alleanze più solide vengono messe in forte discussione. Dobbiamo valutare il tempo che abbiamo davanti con intelligenza, freddezza e passione. Anche questi eventi servono a formare una coscienza pubblica, che non è solo dei leader ma appartiene a tutti. La responsabilità di capire è importante quando quella di agire. Dobbiamo prenderci il destino dell’Europa, ciascuno di noi, sulle nostre spalle”. Per la Regione è intervenuto l’assessore alle attività produttive Sergio Emidio Bini per il Comune il sindaco Alberto Felice De Toni ed è intervenuto anche il presidente Unioncamere nazionale Andrea Prete. Quindi, il via ufficiale ai dibattiti, diretti dal direttore scientifico di Federico Rampini e con il coordinamento di Filippo Malinverno di The European House – Ambrosetti.

Il dibatitto sulla situazione americana

Molto animata la conversazione che ha visto protagonisti Sylvie Goulard, docente di Global affairs and geopolitics Sda Bocconi, Nathalie Tocci direttrice dell’Istituto Affari Internazionali, Orietta Moscatelli analista di Limes, Arduino Paniccia presidente dell’Asce Venezia e Ana Palacio, già Ministra degli esteri della Spagna e oggi docente alla Walsh School of Foreign Service, Georgetown University. Rampini ha dato subito un assaggio a 360 gradi dei temi portanti di questa edizione di Open Dialogues, non potendo non partire dalla situazione americana. “Questa volta – ha detto – abbiamo avuto un Trump abbastanza sicuro di vincere: nonostante le previsioni clamorosamente sbagliate di giornali e sondaggi, i mercati ci avevano visto giusto. Il primo Trump non pensava di vincere ed era infatti arrivato più improvvisato alla Casa Bianca”. Sull’economia internazionale Rampini ha sottolineato che “la Cina è il vero rivale economico-commerciale degli Usa e Xi Jinping sta ancora cercando di capire come valutare questo Trump 2”. Sull’Europa, Rampini ha invitato a prendere in esame le differenze che ci sono nelle posizioni e dichiarazioni dei leader europei “quando sono qui e quando invece vanno alla Casa Bianca. Anche Macron e Starmer sono molto più accomodanti quando vanno a parlare con Trump, mentre quando giocano in casa si leggono titoli come “incalzano l’America”. Alla Casa Bianca il messaggio principale è quello di mantenere l’appoggio e la copertura dell’America. Perché sanno ben che ora – forse fra 10 anni no, ma ora sì –, senza l’America, l’Europa, ma anche inglesi e francesi che hanno forte potenza militare, da soli non ce la fanno. Tuttora hanno totalmente bisogno dell’appoggio degli Usa”. Goulard ha dato una sferzata al dibattito, invitando a non arrendersi a un futuro basato sulla forza e la prepotenza. “O ci organizziamo – ha chiosato – o il futuro è sottomissione”. Per Goulard l’Europa deve darsi un’organizzazione e deve farlo discutendo insieme. “Ma c’è prima di tutto la scelta morale: siamo pronti a fare dei sacrifici? Siamo stati i figli viziati della pace, mentre ora il fidanzato americano ci sta lasciando e dobbiamo capire se vogliamo trovarne un altro o magari cominciare anche a essere delle donne indipendenti”, ha detto con una metafora.

Tocci ha ricordato come le relazioni di forza fra Ue e Usa “c’erano anche in passato, anche nel mondo aperto della globalizzazione. La differenza è che c’erano valori, istituzioni e regole condivise che avevano un loro peso, non era solo un equilibrio di forza bruta, ma questo contorno adesso si sta sfasciando”. Una rottura fra Cina e Russia è oggi impensabile ha poi aggiunto Moscatelli di Limes, evidenziando come la Russia di Putin sia “l’espressione attuale di ciò che è sempre stata, un’autocrazia”. Ma Putin oggi deve prendere atto “che i russi, questa guerra, non la vogliono più”. Putin “vorrebbe poter non avere fretta, perché la vittoria territoriale – che sarà presentata come tale e per noi europei sembra inaccettabile – per la Russia è una vittoriucola, mette in evidenza la debolezza della potenza nucleare russa” Paniccia ha rimarcato la necessità per l’Europa di rivedere la sua politica, in questo cambiamento di fronti e interessi. Per Paniccia è fondamentale per l’Europa “fare una nuova alleanza per la difesa con gli inglesi e affrontare il problema del Mediterraneo.  Sono problemi autonomi di cui invece non ci occupiamo. L’Europa si trova tra due fuochi, Est e Usa, e non sta scegliendo. Ma oggi siamo costretti a una scelta. Dobbiamo finirla di farci tirare per la giacchetta. Bisogna entrare in una logica, in Nato, di veri alleati e vere strategie”. Ana Palacio ha aggiunto come spesso ci sia una visione riduttiva dell’Europa, come mera creatrice di regole. Ma, ha ammonito, “sono certa che anche nel nuovo mondo che si va delineando le regole saranno importanti. Sono estremamente orgogliosa – ha concluso – di ciò che l’Europa ha ottenuto nel suo percorso e può ora trovare il suo ruolo, magari non di condurre, ma di mettere insieme, in dialogo, i diversi Paesi del mondo”.

Le imprese italiane

L’Italia è costituita per oltre il 95% da piccole e medie imprese ed è specializzata nei settori più tradizionali. È però in questi settori che l’innovazione può entrare creando più valore aggiunto. Il tema delle imprese è entrato nel vivo del dibattito del primo pomeriggio di Open Dialogues for the future, che si è sviluppato nella sede della Fondazione Friuli in via Gemona, dove ad accogliere relatori e ospiti è stato il presidente Giuseppe Morandini. “Stanno saltando gli schemi e i giocatori in campo chiedono quale sarà il loro ruolo, in un domani in cui un nuovo ordine si comporrà – ha esordito Morandini –. Se c’è un messaggio forte che vogliamo dare da questa iniziativa deve essere come primo riferimento un contesto competitivo, con la percezione diffusa e comune del valore di avere qui le produzioni. Un contesto che non si crea per norma e che deve essere un contesto semplice. Dove imprenditrici e imprenditori possono esprimere potenzialità”. Il programma del pomeriggio è stato ricchissimo e ha visto in apertura anche l’intervento del presidente di Ice Matteo Zoppas. “Dal 2019 – ha detto il presidente –, abbiamo attraversato pandemia e guerre, sono schizzati i costi dell’energia, ci sono stati grossi problemi sui costi dei trasporti e delle merci. Nonostante ciò le esportazioni italiane in questi anni sono cresciute del 30% e contano più di un terzo del Pil. Dunque piuttosto che non comprare made in Italy, nel mondo hanno preferito pagarlo di più”. Ma la forza del Made in Italy, ha ammonito Zoppas, “va coltivata, ne va mantenuto alto il valore. Dobbiamo lavorare in energia e innovazione soprattutto. Fare una forte riflessione su chi siamo e vogliamo essere. Il Made in Italy deve continuare a essere presentato come migliore e non dobbiamo darlo per scontato”. Quindi è seguito il dibattito su Europa e Italia di fronte alle sfide della competitività, con Riccardo Crescenzi della London School of Economics, Brunello Rosa senior executive fellow di Economics, Sda Bocconi School of Management, Marco Martella, professore e già direttore della Banca d’Italia a Trieste. “L’incertezza che caratterizza il contesto ci porta a una difficoltà di fare previsioni, ma dobbiamo riflettere su alcuni parametri – ha detto Crescenzi –. Ciò che succede alla imprese quando si fa reshoring: l’intuizione di Trump è inserire barriere al commercio internazionale, inducendo le imprese locali a produrre in Usa e le estere a investirvi, credendo che le imprese reimportino anche lavoro e vadano a ricostituire quelle mansioni che si erano spostate in Paesi a basso costo. Ciò che si vede è che però, riportato in casa, il lavoro viene sostituito da automazione invece che da persone. Dunque il lavoro viene riportato solo per personale a più alta qualifica”. Rosa ha quindi analizzato le guerre non convenzionali in atto, “guerra commerciale, con i dazi, guerra tecnologica e una riconfigurazione delle catene del valore globale” e si è soffermato sul potere delle Central bank digital currency, che la Cina ha emesso più di 10 anni fa e oggi risulta dunque la più rilevante, con i problemi di controllo sugli altri Paesi che questa predominanza sta già portando. Martella ha quindi analizzato la situazione internazionale attraverso i dati. “Gli Usa – ha spiegato – sono cresciuti perché sono stati fatti molti investimenti in ambito tecnologico, a differenza dell’Italia”. Che, inoltre, ha perso molta competitività anche in confronto con la Germania, parlando di produttività del lavoro. “Se l’italia continuerà a essere specializzata in settori a bassa tecnologia resterà marginale”, ha avvisato Martella, secondo cui è possibile reagire attraverso una crescita dimensionale delle imprese e un aumento degli investimenti in tecnologia, digitalizzazione e istruzione della popolazione”. Al dibattito a più voci è seguita una conversazione fra il direttore Rampini ed Enzo Mattioli Ferrari, ceo di Ferrari Family Investments, che si è soffermata sul caso aziendale di Mattioli Ferrari, sull’innovazione e il mercato del lavoro globale dei giovani.

Maggior alleanza fra Paesi europei

Nella seconda parte del primo pomeriggio di Open Dialogues, in Fondazione Friuli, il rafforzamento delle collaborazioni è stato il filo rosso di tutti gli interventi. Dapprima nel dibattito, moderato da Filippo Malinverno di Ambrosetti, fra il governatore del Fvg Massimiliano Fedriga e il direttore scientifico di Odff Federico Rampini. “Dobbiamo iniziare a fare una politica europea che guardi con attenzione all’alleanza con tutte le democrazie occidentali e dobbiamo anche trovare una barriera che possa permetterci di autosostenersi in caso di criticità”, ha esordito Fedriga, che ha parlato in particolare di questione energetica. “Siamo il Paese che ha messo al bando il nucleare – ha detto –, quando è prodotta a pochi metri da casa nostra”. Fedriga ha stigmatizzato le contrarietà che emergono “quando si parla di rigassificatori o centrali a biogas”, evidenziando che è necessario “governare con visione di lungo periodo, tornando a scelte di responsabilità dei governi e non cercando il consenso a prescindere”. Fedriga ha poi parlato dei principali partner economici del Fvg, a partire dagli Stati Uniti, che rappresentano il 12% dell’export totale. Il Governatore ha sottolineato poi la necessità “di differenziare. Parlo di Giappone, India, Medio Oriente”. Degli Stati Uniti, dove la regione ha intensificato le relazioni economiche negli ultimi anni, Fedriga ha evidenziato la capacità di attrarre finanziamenti e quella di accettare la cultura del rischio e la possibilità di fallimento. “Su queste cose dagli Usa possiamo imparare. Lì ci sono più opportunità di crescere perché ci sono sviluppati questi due fattori, le risorse e la capacità e possibilità di rischiare”. Sulle scelte dell’Europa in tema di intelligenza artificiale, Fedriga ha evidenziato come è stato fatto un regolamento che “sulla carta è perfetto ma di fatto limita in modo importante lo sviluppo di tecnologia europea. Il rischio è che Cina e Usa producano e sviluppino e noi facciamo regolamenti. Ci deve essere anche una autonomia tecnologica”, ha chiosato Fedriga.

Il presidente del Fvg Massimiliano Fedriga

“Guerra in Ucraina è eccezionale”

Il primo pomeriggio di Open Dialogues si è concluso con un ultimo panel che ha visto un confronto sul ruolo di Italia, Francia e Germania ed è stato introdotto da Martin Briens, ambasciatore di Francia in Italia (in videocollegamento) e da Benjamin Hanna, viceambasciatore di Germania in Italia. A discutere in sala assieme a Rampini sono stati Paolo Mieli, storico, saggista ed editorialista, Gilles Gressani, direttore di Le Grand Continent, e Wolfgang Munchau, direttore di Eurointelligence. Mieli ha sottolineato che “la guerra d’Ucraina non è paragonabile ad altre guerre nel passato. È combattuta da tre anni e la pace che si deve ottenere è una pace eccezionale”. Il ruolo dell’Europa? Quello di essere “sciolta e rifondata”, ha detto Mieli. È necessario un suo ritorno alle origini e ai due capisaldi in cui Francia e Germania, assieme all’Italia, giocano un ruolo da protagoniste. Mieli ha ricordato che hanno davanti a sé uno straordinario biennio. Quello di avvio di Merz, cancelliere diversissimo dai predecessori, e quello della Francia che “negli ultimi tempi ha preso una posizione di fermezza e confido che, essendo il biennio finale e conclusivo e non avendo interessi di ricandidatura, giochi la carta dell’immagine che lascerà alla storia”. Tutto questo, per Mieli in coincidenza con un’Italia con un governo stabile e affidabile, così giudicato da tutti gli analisti internazionale. Mieli ha ricordato che la presidente del consiglio è stata l’unica nel consesso di conservatori americani a ribadire una coerenza pro Zelensky che è stata anche una coerenza con un governo, quello di Draghi, di cui era all’opposizione. “La democrazia ha una duttilità”, ha detto Mieli, che ha affermato di fidarsi dell’Europa, della Germania, della Francia e dell’Italia e anche delle prospettive che ci sono. “C’è un solo “ma” e sono i tempi – ha concluso Mieli –: l’Europa ha bisogno di essere di essere sciolta e rifondata in questo biennio”. Per Gressani “Siamo di fronte a Stati Uniti che stanno cercando di fare del regime change in Europa”, ha detto. Gressani ha anche parlato di una forma di “contaminazione imperiale” inquietante, basata su rapporti di forza. Che cosa dobbiamo fare, dunque? Se non facciamo niente “probabilmente si stia aprendo il secolo dell’umiliazione europea”, ha detto Gressani. C’è una soluzione intermedia ed è quella di “vassallaggio felice”, una fase in cui forse non abbiamo la forza di darci un progetto e parliamo di alleanza con gli Usa anche se oggi la relazione è totalmente asimmetrica. Munchau ha infine parlato di “Kaput”, il suo ultimo libro, appena uscito in versione italiana, che affronta che cosa è successo all’economia tedesca – “e sarebbe un titolo che farei per tante altre economie europee che sono sconnesse dalle tecnologie più attuali e dalla digitalizzazione”, ha evidenziato. “Sono felice che Italia stia facendo meglio della Germania – ha detto –, ma comunque non è sufficiente”.  L’Europa non ha generato giganti tecnologici, come Usa e Cina, ha sottolineato Munchau, e tutto questo ha a che fare con i sistemi finanziari, con le modalità di lavoro, le relazioni fra università e imprese. “È un momento molto delicato in cui dobbiamo stare molto attenti e intelligenti su come spendiamo il denaro e facciamo investimenti”. Per Munchau stiamo sottostimando soprattutto la portata dei dazi che Trump imporrà in Europa e che andranno a pesare molto, soprattutto sulla Germania e sul sistema dell’auto.


 

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