Mandi Bruno, è stato ‘tutto molto bello’

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Tra gli epitaffi dei politici scritti dai social manager, quelli più accorati della gente comune e quelli della gente di calcio in forma di singolo campione o di società sportiva, ce n’è uno che pare più sincero di altri e riepilogativo del transito terreno di un giornalista sportivo che fu anche e soprattutto telecronista: “Ha posato lo zaino l’alpino Bruno Pizzul”. Lo scrivono le molte pagine social degli alpini d’Italia, riassumendo la di lui storia nel Corpo (“28esimo corso, sottotenente nel 1962, tenente nel 1972”). Ma ci sono anche gli alpini che si limitano a un più confidenziale “Mandi Bruno”, forma di commiato in lingua friulana in cui “mandi” (da mana deus o manus dei) è traducibile in “ti accompagni il Signore”.

Erede della dinastia di cronisti che hanno raccontato l’evento sportivo alla vecchia maniera (la radio), poi voce del calcio televisivo prima che questo ci riempisse i televisori ogni sera della settimana, Bruno Pizzul è morto ieri a Gorizia a un soffio dai suoi 87 anni. Era nato l’8 marzo del 1938 a Cormons, in provincia di Udine, nel Friuli Venezia Giulia degli allenatori paròn, dei portieri campioni del mondo e altri piedi buoni, soprattutto al centro del campo. Raccontava di calcio perché aveva conosciuto quello giocato, prima nella Cormonese poi nella Pro Gorizia; preferito dal Catania al conterraneo Tarcisio Burgnich, fu fermato nella sua carriera di centromediano fisicamente prestante da un infortunio al ginocchio, dopo trascorsi nell’Ischia e nell’Udinese. Maturità classica, laurea in giurisprudenza, qualche anno come professore di lettere e poi il concorso nazionale per radio-telecronisti che lo portò in Rai nel 1969, per trascorrervi una vita intera tra Domeniche Sportive, Domeniche Sprint, Novantesimi Minuti, telecronache e altri incarichi non solo calcistici (il pugilato, la vela, l’ippica e il canottaggio pre-Galeazzi).

Raccontare più che raccontarsi

Sulla pagina social del ministro, poco sopra il post “compra l’auto elettrica o ti multo”, c’è il ‘Buon viaggio’ a Pizzul di Matteo Salvini, che delle commemorazioni di quelli famosi non se ne perde una; scorrendo, ecco la Società sportiva Lazio: “La sua pacatezza e la sua eleganza ci mancheranno”, due sostantivi (pacatezza ed eleganza) che “cozzano” (verbo pizzuliano) con la politica e ancor più rimandano a un tempo di brave persone, a un calcio di telecronisti non urlanti, non ancora schiavi del telespettatore, liberi dal senno di poi del commento tecnico e orgogliosi del poter raccontare, più che di raccontarsi.

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Quando il 31 maggio del 1986, giorno di Italia-Bulgaria, Nando Martellini è già pronto per raccontare ai telespettatori italiani le imprese (disastrose) dei campioni del mondo in carica ai Mondiali del Messico, un malore lo ferma prima del calcio d’inizio: è Pizzul a prendere per mano la Nazionale italiana, che da quel giorno in avanti racconterà televisivamente in cinque Mondiali e quattro Europei, qualificazioni incluse. Fino a Italia-Slovenia 0-1, agosto 2002, data della sua ultima telecronaca per gli Azzurri. Lo farà con la dichiarata “cura della parola”, con i modi forse meno eleganti del suo predecessore, ma assai vicini a quelli del ‘telecronista gentiluomo’, come veniva chiamato Martellini, anch’egli figlio di un altro calcio. Più in sintesi: “I telecronisti di oggi sono bravi, ma parlano troppo”, disse Pizzul prima di congedarsi.

Notti non tutte magiche

“Si è spenta la voce delle nostre notti magiche”, scrive la Juventus su X, perché il tributo va oltre le simpatie granata del telecronista. Nell’estate del 1990 la voce di Bruno Pizzul è stata quella delle ‘Notti magiche’ non meno del canto di Gianna Nannini ed Edoardo Bennato. A cominciare dall’urlo liberatorio “ed è gol! Proprio di Schillaci!” nell’Italia-Austria d’inizio Mondiale e fino al rigore di Aldo Serena calciato in pancia a Sergio Goycochea, l’Italia all’inferno e “l’Argentina finalista in Coppa del mondo, sono immagini che non avremmo mai voluto commentare…”. Quella notte, quando tutto sembrò compromesso, qualcuno gli preferì la radio, dove la Gialappa’s dalle telecronache alternative ed esilaranti mise il Morricone dei duelli del western di sottofondo alla cinica lotteria dei rigori, rendendo il dramma nazionale un po’ meno brasiliano.

Non che a Pizzul sia andata meglio a Usa ’94 (“Alto. Il Campionato del mondo è finito, lo vince il Brasile”, con Roby Baggio che ancora di notte si sogna il rigore), a Francia ’98 (traversa di Di Biagio nei quarti contro i padroni di casa), agli Europei del 2000 (il golden gol di Trezeguet nella finale, maledetta Francia ancora), ai Mondiali del 2002 (“Gol della Corea, l’Italia è eliminata, ha segnato Ahn”). Nessuna notte però fu meno magica di quella del 29 maggio 1985, quando gli hooligans inglesi uccisero 39 italiani dentro uno stadio belga fatiscente, gestito in modo criminale dagli organizzatori. Di quella mezza farsa che fu Juventus-Liverpool – giocata, si disse, per non creare ulteriori disordini –, Pizzul dovette farsi violenza per individuare un barlume di vittoria sportiva in un contesto che di sportivo non aveva più nulla da ore. Anni dopo sarebbe stato più tranchant: “È stata la telecronaca che non avrei mai voluto fare, non tanto per la difficoltà giornalistica in sé, ma perché ho dovuto raccontare, con le lacrime agli occhi, cose inaccettabili a livello umano”.


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Nel 1974 è sé stesso nel film ‘L’arbitro’, di Luigi Filippo D’Amico

Eredità

Nel 1974 Bruno Pizzul recitò sé stesso ne ‘L’arbitro’ di Luigi Filippo D’Amico, con Lando Buzzanca nei panni nemmeno troppo irriconoscibili di Concetto Lo Bello, primo atto di un lento processo di canonizzazione mediatica del telecronista. “Non ho fatto nulla di così importante o di eroico, ho solo cercato di lavorare in modo apprezzabile e dignitoso, di comportarmi bene come quando facevo l’alpino alla scuola militare di Aosta”, aveva dichiarato a Repubblica nel settembre del 2023. Diceva di avere avviato “un ristorante stellato per volatili”, per dire dei suoi giorni da pensionato nel giardino di casa tra passeri, upupe, gazze, tortorelle e pettirossi. Già da tempo aveva lasciato la sua voce in eredità a Neri Marcorè prima e ad Angelo Pintus poi, che ne ha fatto l’imitazione più fedele. Pintus, che è Pizzul forse perché anch’egli friulano, lo imitava a scuola per far ridere i compagni di classe e poi da grande, raccontando le sfighe della Nazionale, ha rischiato di trasformarlo in un menagramo retroattivo. Ma per la bontà di fondo del giornalista, nessun tifoso al nome ‘Pizzul’ si sarebbe mai toccato le parti basse, semmai se lo sarebbe abbracciato, il telecronista, compagno di sventure.

“Un giorno me lo sono trovato di fronte nella mensa di Mediaset, nella pausa di un ‘Colorado Café”, racconta Pintus a ‘BSMT’, il podcast di Gianluca Gazzoli. “Era il 2009 o 2010: lo invito a mangiare con me e vedo che tutti ci fissano; nel silenzio generale si sente lui che mi dice, con le pause della telecronaca: ‘Mi fai una cortesia? Mi passi il sale?’. Ci fu un boato. ‘Ma stanno bene?’, mi dice; e io: ‘No, lei non può capire…’”.

Lessico familiare

A Bruno Pizzul è mancato un “campioni del mondo!”, da pronunciarsi quattro volte prima che altri lo facessero al posto suo. Eppure, anche senza la coppa, ha un posto nel cuore degli italiani vicino al predecessore, che nella notte di Madrid “campioni del mondo!” lo gridò tre volte. “Mio padre ha sempre detto che quella frase gli era venuta spontanea” ci disse nel 2022 Simonetta Martellini, la figlia. “Ma papà, per quanto persona semplice, umile, è sempre stato un po’ attore. In lui è sempre rimasta la passione della recitazione per diletto. Un minimo di tono recitativo, nelle sue telecronache e nelle presenze in tv, c’è sempre stato”. Dal canto suo, così parlava Pizzul: “Il mio rapporto con il lessico mi ha portato anche non poche critiche da parte di chi mi chiedeva più enfasi. Io, però, ho sempre pensato che fosse importante cercare un lessico vario all’interno di situazioni un po’ ripetitive come quelle di una partita di calcio”.

Bruno Pizzul non c’è più ed “è stato tutto molto bello”, come diceva lui. Sempre a Repubblica, sempre nella bella intervista concessa a Maurizio Crosetti dalla quale l’estratto sul lessico è tratto, nonno Bruno pieno di nipoti fino al collo commentò così quell’espressione che vale un’imitazione intera: “Mi piacerebbe che fosse uno sguardo sulla vita, dove non tutto è molto bello, ma tanto lo è. Bellissimo è il canto del gallo la mattina, bellissimo il suono delle campane e bellissime le voci dei ragazzini che giocano all’oratorio”. Parole che non necessitano di alcun commento tecnico. Al massimo, di un replay.

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Anno 1958, centromediano del Catania



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