Lazio – Oltre 8 donne su 10 nel Lazio hanno un contratto stabile (87,4 per cento) ma più di 3 su 10 di loro, ovvero il 33,4 per cento, ritiene che l’insieme delle politiche di conciliazione vita-lavoro attuate dalla propria azienda siano insoddisfacenti, a tal punto che 6 donne su 10, al rientro dopo la maternità, ha trovato molte difficoltà (60 per cento).
Tra queste donne, sicuramente rientrano quel 29,9 per cento di loro che ha denunciato pratiche di mobbing, demansionamenti, trasferimenti, blocchi di carriera e altre vessazioni. È questo il dato più significativo che emerge dalle risposte al sondaggio intitolato “Lavoro di donna. La parola alle protagoniste”, realizzato e lanciato sui canali social dalla Cisl regionale che, tra febbraio e i primi giorni di marzo, ha raggiunto circa 1000 donne fra lavoratrici, studentesse e pensionate della regione Lazio.
“Il sondaggio è uno strumento importante per entrare nella percezione più interiore e vera delle persone, in questo caso, delle donne che lavorano o hanno lavorato per una vita. E le risposte che abbiamo ottenuto sono davvero significative: una vera bussola per orientarci nel nostro lavoro di sindacato in rappresentanza e difesa delle lavoratrici e dei lavoratori – dichiara Enrico Coppotelli, segretario generale Cisl Lazio -.
Alla fine del questionario, abbiamo anche chiesto alle partecipanti di descriverci, con parole loro, come descriverebbero il binomio donna-lavoro, e ci sono arrivate delle definizioni davvero illuminanti. Hanno usato aggettivi come ‘faticoso, complicato, difficile, non valorizzato’, e all’opposto ‘necessario, liberatorio, una conquista, essenziale’.
Ecco, è in questi opposti che si esprime bene la percezione del valore e del senso del lavoro, ma anche delle sue difficoltà ancora così maledettamente attuali, proprio per le donne. Una conquista, ma anche, un fattore essenziale delle proprie vite che va migliorato. L’otto marzo è solo uno dei 364 giorni in cui dedicarci a questo. Migliorare la vita delle donne al lavoro è lavorare per una società migliore, più umana e, quindi, più giusta”.
Facendo una panoramica più generale del campione delle partecipanti al sondaggio, sono tutte italiane, prevalentemente romane (73,1 per cento), seguite da Frosinone (16 per cento), Viterbo (5,9 per cento), Latina (4,2 per cento) e Rieti (0,8 per cento), fanno un lavoro impiegatizio (70,1 per cento) e mediamente guadagnano tra i 25mila e i 50mila euro l’anno (61,5 per cento).
Con un’età compresa fra i 40 e 60 anni, sposata con figli, è questo l’identikit, anagrafico e professionale, della donna che ha risposto al sondaggio. Rispetto alla coerenza del titolo di studio e il lavoro svolto, il giudizio è mediamente positivo per il 59,8 per cento mentre per il restante 40,2 per cento non lo è. Rispetto al titolo di studio hanno risposto per la maggioranza donne con il diploma di licenza media (46,2 per cento), seguite dalle laureate (31,9 per cento) e quelle altamente specializzate con master, dottorati o altri percorsi post universitari (17,6 per cento). Il contratto di lavoro full-time (84,6 per cento) è molto più rappresentato rispetto al part-time (15,4 per cento).
Per lo più si tratta di donne inserite con qualifica di impiegate nel loro luogo di lavoro (70,1 per cento), mentre i quadri sono solo il 20,5 per cento e le dirigenti il 9,4 per cento. Fattori che, ovviamente, si riflettono sui redditi.
Secondo l’indagine della Cisl del Lazio, il 61,5 per cento di queste donne guadagna tra 25.000 e 50.000 euro. Agli opposti, tra chi dichiara meno, c’è il 22,2 per cento che guadagna tra i 15.000-20.000 euro, a seguire 10.000-15.000 euro (1,7 per cento), la fascia tra i 5.000-10.000 euro (4,3 per cento) e i meno 5.000 euro (0,9 per cento). Tra chi dichiara di più, invece, il 9,4% delle dirigenti corrisponde perfettamente alla percentuale di chi dichiara di guadagnare oltre i 50mila euro di reddito.
Altrettanto chiaramente si delinea la percezione che il contratto indeterminato e full time garantisca il welfare classico: per l’85,5 per cento delle donne, le condizioni di lavoro rispetto a ferie, malattie etc. è giudicato mediamente positivo, seppur con sfumature diverse e solo nell’11,1 per cento mediocri o scarse (3,4 per cento). Lo smart working, previsto nel 57,3 per cento delle strutture lavorative dei casi individuati, purtroppo non mette al riparo, come abbiamo detto, dalle difficoltà della conciliazione vita-lavoro e dal difficile rientro dalla maternità. Infine, rispetto alla distribuzione dei ruoli apicali in un’ottica di genere, il 78,6 per cento delle donne intervistate ha o ha avuto un datore di lavoro uomo, ma comunque con i datori e le poche datrici di lavoro le relazioni sono mediamente positive, anche se con diverse gradualità, nel 68,3 per cento dei casi, mediocri per il 19,7 per cento e inesistenti per il 12 per cento.
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