Nessun soldato in Ucraina, ha ribadito Giorgia Meloni a Bruxelles, ma l’Italia vuole onorare gli impegni con l’Europa e l’alleanza con gli Stati Uniti. Quali sono i nodi politici, economici e militari per Roma posti dal nuovo piano di difesa dell’Ue?
Il Consiglio straordinario dei leader dell’Ue, riunitisi giovedì a Bruxelles, ha dato il via libera a investimenti per la difesa che potrebbero arrivare fino a 800 miliardi di euro, in risposta al disimpegno militare degli Stati Uniti sull’Ucraina e, in ottica futura, sulla sicurezza dell’Europa.
Il piano ReArm Europe, lanciato martedì dalla presidente Ursula von der Leyen, dovrà passare dalle proposte attuative della Commissione europea attese per fine marzo e forse da alcuni correttivi.
C’è però ormai il benestare dei 27 a un futuro in cui l’Europa dovrà pensare a se stessa, con la sola Ungheria che ha detto no a nuovi impegni per la difesa dell’Ucraina.
Sono queste le due prospettive che animano le capitali europee: il breve termine su Kiev, il lungo termine senza l’ombrello di sicurezza americano.
Le divisioni politiche in Italia sul riarmo Ue e sulla svolta di Trump
“Mi sono permessa di segnalare che il concetto di difesa sia un tantino diverso dal semplice nome dato al progetto di oggi, non dobbiamo solo parlare di riarmo”, ha dichiarato Giorgia Meloni al termine del vertice europeo a Bruxelles, “dobbiamo parlare di materie prime, di infrastrutture critiche, di cybersicurezza, della nostra autonomia strategica”.
L’accelerazione degli Stati Uniti, dopo il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, ha costretto la premier italiana a districarsi tra obblighi europei e lealtà atlantica e a tenere insieme le posizioni internazionali di Fratelli d’Italia e del resto della maggioranza, già divisa sulla questione dell’aumento del contributo alla Nato dal 2 al 3 per cento del Pil entro il 2030, che era in agenda per giugno al summit dell’Alleanza all’Aia.
Per il vicepremier Matteo Salvini, infatti, ReArm Europe è una scelta sbagliata. “Se dobbiamo investire dei miliardi, lo dobbiamo fare per sistemare le nostre scuole, i nostri ospedali e le nostre strade”, o al limite per gli stipendi di soldati e poliziotti, ha detto sui social il leader della Lega (Patrioti per l’Europa), che sposa anche la riottosità di Trump sugli aiuti a Kiev.
La sicurezza in Ucraina e nell’Ue è “impossibile” senza gli Usa, sostiene l’altro vicepremier italiano e ministro degli Esteri, Antonio Tajani di Forza Italia (Partito popolare europeo), per cui tuttavia investire in difesa “significa un’Europa più sicura che rafforzi anche competitività e crescita”.
Quali sono gli interessi dell’Italia nella difesa europea
La gamma di sì a denti stretti e no decisi è emersa anche all’interno dell’opposizione italiana, con il Partito democratico (nei Socialisti e Democratici all’Europarlamento) favorevole alla difesa ma non al riarmo dell’Ue, e la contrarietà piena di Movimento 5 stelle (nel gruppo della Sinistra) e dell’Alleanza Verdi Sinistra (in parte confluita nei Verdi in Europa), che parlano di razionalizzare le spese già effettuate nel settore della difesa.
“C’è un dato di fondo, che quando si parla di difesa e di questioni militari siamo ancora un po’ immaturi, nonostante gli anni di partecipazione alle missioni di stabilizzazione internazionale e il fatto che siamo stati sin da subito al fianco di Kiev con le forniture”, dice a Euronews Pietro Batacchi, direttore della Rivista Italiana Difesa (Rid).
Per Batacchi l’esigenza immediata che muove l’Europa è il supporto all’Ucraina. La partita vera tuttavia è la cosiddetta “autonomia strategica” dagli Stati Uniti e, in quest’ottica, le necessità per la difesa e l’economia italiane sono lontane dal fronte orientale della Nato.
“Abbiamo un problema di insicurezza dell’approvvigionamento energetico, abbiamo un problema grosso di protezione di condotte e cavi sottomarini, abbiamo un problema di tutela del nostro interesse nazionale in un quadrante che è prioritario e strategico, quello del Mediterraneo“, prosegue il direttore di Rid.
Come finanziare gli investimenti: la situazione di Roma
“Dopo un mese di amministrazione Trump è un po’ presto per dire che l’ombrello di sicurezza americano sull’Europa si è chiuso o si sta chiudendo”, aggiunge Batacchi, “ma credo che l’Unione europea abbia definitivamente maturato la consapevolezza che occorre dotarsi di una dimensione strategica, che non significa avere un esercito europeo“.
Serve per esempio “coordinare ricerca e sviluppo e politiche di procurement“, conclude, oppure creare un “board europeo dei responsabili nazionali degli armamenti, o della difesa, e un’aggregazione tra alcuni soggetti industriali” del settore.
La questione dunque, oltre che politica, diventa molto pratica: l’Italia sarebbe capace finanziariamente di fare un passo avanti sulla difesa europea?
Nel 2024 abbiamo contribuito alla Nato con circa l’1,5 per cento del Pil, meno di molti Paesi Ue e ben lontani dal 5 per cento con cui Trump dopo la rielezione aveva pungolato, se non avvisato, gli alleati oltreoceano.
Il piano di von der Leyen ha recepito la richiesta avanzata dall’Italia di attivare la clausola di salvaguardia, che consentirebbe di scorporare questi investimenti dai parametri fiscali del 3 per cento deficit/Pil richiesti dall’Ue.
Meloni però non vuole distogliere a fini militari i Fondi di coesione dell’Ue, seppure autorizzato dalla Commissione, sottolineando che i prestiti agevolati vanno comunque ripagati (si parla di eurobond per un totale di 150 miliardi di euro, di cui 18 all’Italia) e che “ci sono dei rischi per un Paese come l’Italia”, che è altamente indebitato.
Gli altri 650 miliardi per la difesa comune andranno poi messi dagli Stati. L’Italia vorrebbe che tali investimenti fossero computati nel budget Nato e, sulla scia della Germania, che il Patto di Stabilità venga rivisto alla luce del nuovo scenario internazionale.
Difesa, cosa può dare l’Italia all’Ucraina e all’Ue?
L’Europa sembra soffrire al momento soprattutto di una carenza nelle infrastrutture, nella logistica e nella produzione di munizioni di artiglieria e dell’attuale differenza di regole e programmi nazionali nei vari Stati Ue. Inoltre, la maggiore criticità dell’Ucraina è a oggi la scarsità di truppe.
“Abbiamo chiarito che non invieremo soldati, ripetiamo e ribadiamo che non riteniamo efficace questa soluzione“, ha dichiarato Meloni a Bruxelles, riproponendo di estendere all’Ucraina l’articolo 5 sulla mutua difesa e non un vera e propria entrata nella Nato.
Qual è allora il contributoche l’Italia potrebbe dare prima all’Ucraina e poi a una futura difesa comune?
“La credibilità di un’alternativa europea alle garanzie di sicurezza americane richiede diverse decine di migliaia di soldati, tanti mezzi, ma soprattutto la capacità di rifornirli e di tenerli a un livello di prontezza adeguato”, spiega a Euronews Elio Calcagno, ricercatore nel programma Difesa, sicurezza e spazio dell’Istituto Affari Internazionali (Iai).
“Sulla carta l’Italia è un Paese con delle forze armate di buon livello, che andrebbero adeguate. Nella pratica però è outstretched“, continua Calcagno, ossia “ha diverse migliaia di soldati dispiegate in giro per il mondo in missioni di peacekeeping dell’Onu o missioni europee”, senza dimenticare “il grosso problema di Strade Sicure“, un’operazione che tiene migliaia di militari a vigilare le città italiane.
L’Ucraina condivide 1940 chilometri di confini terrestri con la Russia e 1100 con la Bielorussia, oltre ad avere quasi tremila chilometri di coste. Secondo gli esperti, un disimpegno statunitense lascerebbe soprattutto un vuoto in termini di intelligence e di ricognizione satellitare.
“Quando si parla di utilizzo di artiglierie avanzate, missilistiche, se non si hanno dati satellitari su dove sono i bersagli, questi sistemi servono a poco”, aggiunge Calcagno, “è un settore dove i Paesi europei hanno fatto tanto negli anni per rendersi più indipendenti, però chiaramente parliamo di nulla in confronto agli americani”.
Secondo il ricercatore dello Iai, infine, l’Italia ha già dato all’Ucraina quanto poteva in termini di batterie missilistiche Samp/T, per quanto potrebbe sfruttare il fatto di essere tra le maggiori potenze aeree in Europa.
“Siamo stati fra i primi a introdurre l’F-35, abbiamo una grande flotta di Eurofighter, quindi quello è uno dei campi su cui in questo momento”, conclude Calcagno, “credo l’Italia possa contribuire in modo molto importante”.
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