Nasce in Italia il primo comprensorio sciistico europeo senza impianti di risalita


Nella frazione di Montespluga, in provincia di Sondrio, ha preso il via il progetto Homeland, un centro che promuove attività montane all’aperto a impatto ambientale zero. L’offerta è ampia e include escursioni, corsi formativi e scialpinismo. Il comprensorio, privo di impianti di risalita, si compone di 11 percorsi e 36 chilometri di tracciati e sorge a circa 2800 metri sul livello del mare. Stiamo parlando di un progetto avanguardistico, messo in piedi da un gruppo di giovani che ha immaginato e concretizzato il futuro dello sci. La parola chiave è “adattamento“, l’unica via per adeguare gli sport di montagna alla necessità di conservare la natura delle montagne senza stravolgerne i connotati e per adeguare lo sport invernale agli effetti del cambiamento climatico che stanno rendendo sempre più scarse le precipitazioni nevose.
Il direttore, Walter Bossi, 27 anni, ha spiegato che «durante la pandemia da Covid-19 lo scialpinismo è esploso. Molti sciatori tradizionali si sono avvicinati allo skialp, così il nostro centro si rivolge sia a chi vuole cominciare da zero sia a chi è già esperto. È un format che ha successo, i numeri sono in crescita, specialmente a livello europeo. Ci sono persone che vengono dalla Francia, dalla Polonia, dal Regno Unito». Niente impianti e niente piste attrezzate, quindi. «Noi creiamo l’alternativa in un momento in cui è necessario diversificare – ha aggiunto Bossi – i cambiamenti climatici ci stanno mostrando che non è sempre tutto possibile. E che la soluzione, oltre alla mitigazione, è il sapersi adattare».

Adattamento, ma anche diversificazione, perché, come la natura insegna, tanto più un (eco)sistema è diverso, tanto più questo sarà resistente e resiliente al disturbo. Le attività proposte di Homeland vanno proprio in questa direzione e non si limitano alla stagione invernale. In cantiere c’è infatti anche l’ipotesi di avviare attività nel periodo estivo, con trekking, guide e mini-spedizioni con campeggio notturno. «Siamo diventati un punto di riferimento, e vogliamo che il nostro progetto sia replicabile, perché è la risposta alla siccità, alla carenza di neve, agli elevati costi necessari per mantenere un comprensorio di sci tradizionale, specialmente a bassa quota».

Che la strada percorsa da Homeland sia quella giusta lo ribadiscono in tanti già da molto tempo. Conti alla mano, la stessa Banca d’Italia ha sottolineato che non conviene più fare investimenti nello sci alpino sotto i 2mila metri di quota. La neve è sempre più scarsa sotto certe quote e il ricorso al costosissimo e impattante innevamento artificiale sarebbe inevitabile. Ciononostante, la politica italiana va esattamente nella direzione opposta. Anziché destinare soldi per diversificare le attività, e aumentare la capacità delle economie di montagna di adattarsi alle mutate condizioni climatiche, si perpetra l’accanimento terapeutico sullo sci di massa. Solo alla fine del 2023, il governo ha stanziato 200 milioni di euro per stazioni a bassa quota, mentre si moltiplicano progetti di nuovi impianti e nuove piste decisamente anacronistici. Secondo il rapporto Nevediversa 2024 di Legambiente, si registrano 177 impianti temporaneamente chiusi, con una crescita di 39 unità rispetto all’anno precedente, mentre quelli aperti a singhiozzo sono saliti dagli 84 della valutazione passata a 93. I dismessi sono 260, a fronte dei 249 del Rapporto 2023, e gli impianti segnalati come sottoposti a “accanimenti terapeutici” sono 214, 33 in più in un anno. Smantellamenti e riutilizzi, passando da 16 a 31, sono invece praticamente raddoppiati.
Secondo un recente studio pubblicato sulla rivista Nature Climate Change, il manto nevoso sulle Alpi non è mai stato effimero come oggi in almeno seicento anni e, nell’ultimo secolo, la sua durata si è accorciata in media di un mese. Per non parlare degli Appennini, dove ormai, salvo brevi e centellinate finestre temporali, fa troppo caldo persino per la neve artificiale. Allo stesso tempo, i finanziamenti pubblici per l’innevamento artificiale continuano però a crescere. A livello nazionale il Ministero del Turismo ha stanziato di recente 148 milioni di euro per l’ammodernamento degli impianti sciistici, mentre appena 4 milioni sono stati destinati all’ecoturismo. Una strategia insostenibile da ogni punto la si guardi. La neve artificiale ha infatti un impatto ambientale ed economico elevatissimo, con costi energetici e idrici crescenti. Nel complesso, nel tentativo di prolungare la vita dello sci di massa, ogni anno vengono impiegati circa 95 milioni di metri cubi d’acqua e una spesa di 136 mila euro per ettaro di pista. A questo punto perché continuare ad investire miliardi nel mantenere in vita un modello turistico dal destino segnato anziché avviare una transizione verso un nuovo approccio alla montagna, più sostenibile e diversificato?

[di Simone Valeri]





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